sabato 31 marzo 2018

Talmudismo e sionismo alla conquista del mondo

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L’infiltrazione del talmudismo è globale e metastatizzata. Mi spiego a scanso di equivoci. A mio avviso termini come “sionismo”, “sionisti”, “anti-semitismo” e simili sono incorretti nella loro comune accezione e nei loro impliciti o sospettati connotati ideologici. Per non andare per le lunghe preferisco usare il termine “talmudismo” per identificare posizioni ideologiche ed essenzialmente razziste, esplicite nel “Talmud” testo equivalente al “Nuovo Testamento” per la religione cristiana.

I talmudisti, a livello mondiale, sono di gran lunga la setta più compatta e determinata nei suoi obiettivi, indipendentemente dal grado individuale di aderenza o ottemperanza ai molteplici e curiosi riti talmudisti. Non è necessario sfoderare Aristotele per dedurre che l”exceptionalism”, sbandierato direttamente da Obama e sempre meno indirettamente da Reagan in poi, è la versione laica del talmudismo con la dottrina del “popolo eletto.”

L’exceptionalism è il diritto auto-conferito di imporre (con la forza quando necessario), la propria volontà, cultura, governo e ideologia (americane), a chiunque e dovunque nel mondo, in base a un’ipotizzata “superiorità” degli us of a. E ringraziateci per permettervi di lasciarvi vivere se vi comportate bene, dicono gli eccezionalisti.

Lo schizzinoso che vede esagerazione nel ragionamento, lo vada a chiedere ai milioni di morti in Iraq, Afghanistan, Libya, Syria, etc. etc. Per non parlare dell’Unione Sovietica, dove il colpo ‘eccezionalista’ e’ riuscito alla perfezione, riuscendo a ridurre il paese in uno stato di povertà e divario sociale inimmaginabili solo due o tre anni prima, con conseguente riduzione della popolazione di ben quattro milioni durante i primi anni di “riforme.”

Come un articolista talmudista ha scritto di recente in un articolo di fondo sul “Los Angeles Times”, “Non m’importa niente che noi ebrei (leggi ‘talmudisti’) controlliamo il governo, la Corte Suprema, le banche, Wall Street, la “Federal Reserve” (la banca che stampa i dollari e li presta ad interesse al governo americano), Hollywood e l’educazione. Quello che m’importa è che continuiamo a controllarli.”

Che il talmudismo sia metastatizzato nelle cosiddette sinistre non deve sorprendere – le destre storiche il talmudismo le controlla da tempo.

Non per niente organi come il WSWS (organo in rete socialista), predica e predica contro il “capitalismo”, ma fatica e stringe i denti quando (raramente peraltro), è costretto a indirizzare qualche critica a Israele, per non alienare l’uditorio, che suppongo in gran parte ignaro delle circostanze ideologiche insite nel WSWS.

Per finire, allego un breve video che ritengo il piu’ educativo sul 9/11, proprio perchè non parla di chi furono i mandanti e gli esecutori dell’episodio apocalittico, ma si limita a dimostrare in modo inoppugnabile che la distruzione delle torri Uno e Due, per non parlare della Sette fu demolizione controllata.

Tra l’altro David Chandler, che appare nel video e anche apparve in uno degli shows qui a Portland (non mainstream), aveva dimostrato con un esperimento semplice e geniale - usando i video del crollo del WT7 - che la caduta era avvenuta con accelerazione gravitazionale (caduta libera).

Durante la presentazione del rapporto NIST (National Institute of Science and Technology) - 10mila pagine, 15 milioni di $$ di costo -  Chandler aveva totalmente smerdato il presidente Shiam. Incapace di rispondere alla breve dimostrazione di Chandler, Shiam si era immerso nel ridicolo dicendo che “la gravità è la forza che tiene insieme l’universo." “Tipica risposta di uno dei miei studenti che non ha neanche aperto il libro per studiare” – aveva commentato Chandler.

Ma l’assurdo (della NIST) era talmente grottesco che, tre mesi dopo, hanno corretto la versione precedente del “rapporto,” ammettendo che avevano sbagliato sull’accelerazione. Tuttavia per coprirsi il sedere, hanno aggiunto 2.5 secondi al tempo totale di caduta, chiara cazzata evidente a chiunque abbia il tempo di osservare il video e il grafico di Chandler (misura autentica) con quello artificiale della NIST. Ovvio scopo dell’aggiunta di tempo di caduta era copertura del sedere. Senza l’aggiunta la caduta e’ incontrovertibilmente libera (cioè demolizione controllata).


Come si leggeva nelle vignette western, non sparate sul pianista....

Jimmie Moglia

venerdì 30 marzo 2018

USA e l'arte della destabilizzazione... Guerre incombenti e notizie false


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Siamo entrati in una nuova fase dell’età delle destabilizzazione. Non bastava la bufala delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein nel 2003, non erano sufficienti i disastri delle primavere arabe con la guerra per procura contro l’Iran in Siria e il bombardamento di Gheddafi in Libia: bisognava fare un salto di qualità mettendo alle strette la Russia che ha vinto la guerra in Ucraina con l’annessione e della Crimea nel 2014 ed è diventata dal settembre 2015 il player decisivo a Damasco.

Ci voleva una nuova guerra fredda perché gli Stati Uniti e la Nato sono usciti strategicamente a pezzi dal confronto con Mosca, in particolare proprio in quel conflitto al terrorismo iniziato nel 2001 dopo le Torri Gemelle. Gli europei, pur di abbattere Assad insieme agli Usa e alle monarchie arabe, sotto lo sguardo attivo dell’aviazione di Israele nel Golan siriano occupato dal 1967, hanno esportato dalle loro periferie e poi importato il jihadismo del Medio Oriente mentre gli Stati Uniti sono stati costretti a tornare sul terreno in Iraq e poi anche in Siria con risultati quanto meno contradditori, fino al tradimento degli alleati curdi siriani abbandonati alla furia turca.

Inoltre gli europei hanno visto arrivare ondate di profughi: pur di bloccare la rotta balcanica la Germania e l’Europa si sono gettate in braccia al ricatto del presidente turco Tayyip Erdogan. Che oggi si è fatto la sua «fascia di sicurezza» in territorio siriano con l’approvazione di Russia e Iran.

Spicca in questo quadro la posizione dell’Italia che persevera nella sua dabbenaggine atlantica. Non paga di avere visto distruggere il suo più importante alleato nel Mediterraneo, di avere accolto maree di rifugiati dall’Africa – con la conseguenza che l’immigrazione è diventato il tema che ha ribaltato il quadro politico interno – si è accodata alle espulsioni dei diplomatici russi con un governo Gentiloni che neppure all’ultimo è stato capace di emettere un sussulto. Ci vogliono così, docili.

E Di Maio e Salvini, i «nuovi», sono subito corsi dall’ambasciatore americano a Roma mentre si stava facendo ancora il nuovo esecutivo: come se non bastasse per andare al governo la legittimazione del voto del popolo italiano, dimostrando che l’anelito di sudditanza dei nostri politici non conosce salti e vuoti generazionali: meglio, di sicuro, della Nazionale di calcio.
Ma per stare al passo nella nuova era della destabilizzazione non basta seguire i vecchi copioni. Quando a Istanbul il 4 aprile si incontreranno Erdogan, Putin e il presidente iraniano Hassan Rohani, si materializzerà probabilmente un serio tentativo di spartizione in zone di influenza della Siria: un Paese della Nato, la Turchia, prova dunque a mettersi d’accordo con il «nemico», ma nessuno osa dire una parola, né l’Alleanza Atlantica né gli americani.

La Turchia ha cambiato campo ma non si può certificare perché ospita dozzine di basi Nato e i missili Usa puntati contro Mosca e Teheran.

Per mascherare questi fallimenti la Gran Bretagna, in concorso con gli Usa e la Nato, non ha esitato a strumentalizzare l’oscura vicenda dell’agente russo Skipral e del gas nervino. In mano però non abbiamo nessuna prova come pure sottolineava non un foglio particolarmente radicale ma il cattolico Avvenire, quotidiano moderato, puntuale nel rivelare le pesanti discrepanze che agitano l’Occidente.

Passa così in sordina anche la rielezione del presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi: è così imbarazzante che non ne parla nessuno; dagli Stati Uniti alla Russia, alla Cina, all’Europa, si fa finta di niente. È uno dei pochi argomenti che uniscono nel silenzio la comunità internazionale: siccome tutti vendono armi al Cairo o ci fanno affari, nessuno ha intenzione di sollevare la questione della democrazia in Egitto.

Alberto Negri
Il manifesto, 30 marzo 2018

giovedì 29 marzo 2018

Occidente... da centro a periferia del mondo


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La Russia per decenni, dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989 ha ammirato e puntato sui presunti "valori" dell'Occidente, ma negli ultimi anni si sta ricredendo e sta recuperando la propria identità storica, culturale, sociale e nazionalistica, e hanno perfettamente ragione a farlo, perché l'Occidente sta degradando in una maniera vergognosa, dando di sé una pessima immagine di assenza di consapevolezza che le cose sono cambiate e che l'Occidente non è più il centro del mondo e non ha alcun diritto di imporsi prepotentemente come in precedenza, la sua egemonia sta collassando e non vuole accettarlo. 

Allora si inventa falsi pericoli e nemici, incentivando in maniera perversa, patetica e pericolosa una sorta di russofobia che porterà solo danni, anche gravi, non solo commerciali e di potenzialità sprecate, ma anche il rischio di conflitti bellici assolutamente privi di senso. Sarebbe ora che le popolazioni europee manifestassero la loro disapprovazione verso questa politica di subordinazione idiota verso gli USA e di ingiustificata russofobia, mandando a casa tutti i politici prostituitisi agli USA, che non fanno gli interessi delle reciproche nazioni e popolazioni ma solo quelli americani. 

Claudio Martinotti Doria
 
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 L'Occidente brucia...

Come previsto, in tanti hanno speso pagine dedicate alla vittoria di Putin, andando a rintracciare le verità di questo trionfo così ampio, senza possibilità di appello, neanche insistendo sulla storia dei brogli e delle schede precompilate.  

Putin, durante i suoi oltre vent’anni di carriera politica, 18 dei quali trascorsi alla guida della Russia, ha costruito il suo consenso a partire, anzitutto, dal piano interno, uscito a pezzi dopo il periodo post-sovietico, per poi lanciare la Russia verso un nuovo lustro a livello internazionale.
 
L’establishment russo ha avuto, senza dubbio, il merito di accentrare il supporto del popolo attorno a sé, ed il compito è stato tutt’altro che semplice. Forse, dopo la disastrosa transizione liberale eltsiniana, non si poteva fare molto peggio, ma uno dei pregi della politica di Putin è stato quello sì, di mantenere un Paese con un senso forte di leadership, a tratti poco liberale, ma ha impedito una deriva definitivamente autoritaria e ultra-nazionalista, che restano sempre latenti e osservano da dietro la tenda il susseguirsi degli eventi.
Oggi tutti i russi scendono in piazza vestendo i colori della propria bandiera, o indossano le uniformi delle loro nazionali olimpiche, e nel contesto di esaurimento dei valori, in Occidente non si riesce a comprendere tutto ciò, giustificando la vittoria di Putin come una farsa necessaria e costruita a tavolino.
Margarita Simonyan, direttore di Rt, ha pubblicato un editoriale in cui descrive una situazione di quasi disprezzo per un Occidente che si rifiuta di comprendere quel Russky Mir restaurato e così inviso alle stanze del potere a Ovest del Muro di Berlino.
I russi, da sempre hanno avuto l’Occidente come modello da seguire, attratti forse solo dalle luci del capitalismo, e come biasimarli. E forse proprio il fatto che lo stereotipo occidentale della Piazza Rossa piena di carri armati e tante bottiglie di vodka, non è riuscito ad entrare nella perestroyka e comprendere ciò che è successo a Mosca, così come negli altri Paesi comunisti, dopo il 1985.
In tanti ancora si chiedono perché non siano stato celebrato il centenario della Rivoluzione d’ottobre del 1917, ma la risposta risiede nel fatto che la Russia di oggi non è lo specchio di quella Russia. Oggi, forse, vi sono più russi che rimpiangono lo Zar di quanti non rimpiangano Stalin. I russi non celebrano il loro recente passato, ma non lo cancellano.
Mentre negli Stati Uniti si abbattono le statue di Cristoforo Colombo, perché conquistatore sanguinario, in Russia le falci e martelli campeggiano su qualunque monumento, e Lenin in molti parchi indica ancora la direzione.
I russi non ammirano più l’Occidente, perché l’Occidente ha smarrito se stesso, i propri valori tradizionali, in favore di un incerto e transitorio senso di ultra-libertà,  responsabile dell’annichilimento dell’identità. Non sorprenda, poi, se in Russia il 95% dei consensi li raccolga un patriota come Putin, un Comunista conservatore e un Nazionalista.
Mosca e San Pietroburgo sono le uniche città in cui il consenso di candidati filo-liberali hanno visto percentuali che superassero il 2, perché il cosmopolitismo di determinate aree fa sì che l’influenza culturale dei giovani sia mediata anche da modelli esterofili. Ma la provincia rappresenta ancora il vero animus del popolo.
In Europa anche la Turchia ha subito lo stesso processo: dieci anni fa Istanbul era una città cosmopolita, al pari di Parigi o Berlino. Oggi la transizione re-islamizzante di Erdogan, sta cancellando il kemalismo dalle strade e dalle scuole turche. Eppure nessuno, nella provincia turca, vuole spodestare Erdogan.
Quando un popolo vanta un peculiare retaggio culturale, esso non può essere cancellato con un colpo di spugna. In Europa si è riusciti a seguire un modello, quello americano, vincente, per carità, sotto alcuni punti di vista, ma scevro di una storia millenaria, di un retaggio culturale secolare, e che quindi non può comprendere a pieno ciò che significa ricordare la propria storia.

 
La Russia non ci rispetta più, come dice la Simonyan. E le ragioni sono da ricercare nel nostro modello di società, non nell’autorità di Putin.           

Fonte: http://www.occhidellaguerra.it/lezione-dai-russi-perche-mondo-non-occidente/ 

martedì 27 marzo 2018

Tutti contro Putin... per il trionfo del NWO



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Mentre tutti i giornali e le TV nostrane sono impegnati sulle modeste vicende politiche di casa nostra fatte di patteggiamenti di basso livello, veti incrociati, piccoli ricatti, false promesse, a molti sfugge la drammaticità del contesto internazionale dove assistiamo ad uno scontro epocale dai risvolti molto pericolosi.

Le potenze nord-atlantiche, guidate dagli USA, puntano in modo sempre più aggressivo sulla Russia di Putin, rea di non inchinarsi agli interessi imperiali statunitensi come ai bei vecchi tempi di Gorbaciov ed Eltsin. 

Contemporaneamente cercano di far fronte alla perdurante stagnazione economica occidentale, ed ai continui pericoli di nuove crisi, cercando di tamponare l’ascesa impetuosa di concorrenti politici ed economici, tra cui si distingue la Cina. Questo grande ex-paese coloniale, un tempo preda privilegiata di imperialismi occidentali e giapponesi, non solo ha da tempo superato gli USA in termini di produzione globale (espressa in termini reali, cioè tenuto conto dei prezzi interni), ma ormai supera gli USA anche in settori tecnologici di avanguardia come quello dei supercomputer e della computazione quantistica (1).

Dopo le ridicole mai provate accuse lanciate agli hacker russi che avrebbero determinato la sconfitta della povera Clinton, ora la campagna denigratoria è stata lanciata dagli Inglesi, capeggiati dal borioso ministro degli Esteri Boris Johnson. Il cattivo Putin in persona è accusato di aver fatto avvelenare col gas Sarin (perbacco! Lo stesso che sarebbe stato usato anche in Siria!) una ex-spia di basso livello ormai in tranquilla pensione in Inghilterra da otto anni. Questa follia sarebbe stata commessa da Putin giusto alla vigilia delle elezioni presidenziali russe e dei Campionati di Calcio in Russia cui quel paese teneva moltissimo come rilancio di immagine. Un vero autogol! Peccato che gli Inglesi, pur di fronte alle argomentate richieste russe, non abbiano fornito alcuna prova.

La mancanza di prove non ha impedito però all’Unione Europea ed a tutti i paesi della NATO di seguire l’esempio britannico ed espellere circa 150 diplomatici russi. Anche il nostro Governo leccapiedi guidato da Gentiloni non ha voluto essere da meno ed ha espulso due diplomatici. Bisogna dare atto al leghista Salvini di essere stato l’unico a criticare questa decisione, forse perché i tanto deprecati “populisti” in questo momento sono più in grado di “leggere” la situazione, rispetto alle ormai decerebrate ex-sinistre. Tutta l’operazione si è dimostrata un completo fallimento visto l’autentico plebiscito ottenuto da Putin, intorno a cui tutto il popolo russo si è stretto, compresi i due principali candidati dell’opposizione (il comunista ed il nazionalista) che in fatto di politica estera sostengono pienamente il loro governo.

Il problema è che queste operazioni propagandistiche servono in realtà a preparare l’opinione pubblica occidentale a non opporsi ad un confronto anche sul piano militare con la Russia. Mentre i missili e le truppe corazzate della NATO sono ormai schierati a pochi chilometri dai confini russi e si minaccia una ripresa dei combattimenti in Ucraina, lo scontro più duro e diretto avviene in Siria. Qui il Governo laico del Presidente Assad si è dimostrato molto più forte del previsto. Spalleggiato da gran parte della civilissima multi-etnica e multi-religiosa popolazione siriana, e con l’aiuto importante dei Russi, il Governo ha progressivamente sconfitto tutti i gruppi di fanatici jihadisti e salafiti, in gran parte formati da estremisti stranieri, che avevano cercato di destabilizzare il paese.

L’ultima grande vittoria dell’esercito governativo è quella ottenuta con la liberazione dei sobborghi di Damasco definiti Ghouta. Qui da sei anni alcune bande terroriste tenevano in ostaggio la popolazione tormentando la popolazione del centro di Damasco, e specialmente i quartieri cristiani, con continui bombardamenti con mortai che mietevano molte vittime civili. Ora, quasi tutti i gruppi (Jaish Al-Islam finanziato dall’Arabia Saudita, Failaq Al-Ahram finanziato dal Qatar, Ahrar Al-Sham finanziato dalla Turchia, Tahrir Al-Sham facente parte di Al Qaida), sconfitti sul campo, hanno accettato di sgombrare la zona mediante salvacondotti. Questo ha posto fine anche all’assurda campagna pseudo-umanitaria, alimentata anche da giornalisti di regime, come Ricucci e le note Botteri e Goracci, che ha cercato fino alla fine di fermare l’operazione dell’esercito ed evitare la sconfitta dei fondamentalisti.

Purtroppo i protettori dei cosiddetti “ribelli” non demordono. L’esercito USA, servendosi anche dei miliziani curdi come carne da cannone, con la scusa della lotta all’ISIS, ha occupato tutte le zone della Siria orientale dove si trova il 70% dei giacimenti di gas e petrolio per sottrarre risorse al Governo siriano vittorioso per la ricostruzione post-bellica. Anche la zona strategica di Al Tanf, posta sulla grande autostrada Bagdad-Damasco è stata occupata dagli USA per bloccare le comunicazioni tra Siria ed Iraq. Gli USA dichiarano che non se ne andranno più e bombardano chi osa avvicinarsi. 

I Russi dichiarano che risponderanno se minacciati, e Putin fa sapere di possedere missili che possono colpire ogni zona del mondo senza essere intercettati. Da parte loro i Curdi, dopo aver fatto da mercenari agli USA sperando nel loro aiuto, tradendo Assad che li aveva accolti in Siria insieme al loro capo Ocalan rifugiato e protetto in Siria per 20 anni, ora sono “scaricati” e devono sostenere l’attacco della Turchia di Erdogan. Chi scrive è stato in passato sostenitore del PKK (Partito Comunista Curdo) visitando varie volte le zone di confine tra Turchia, Siria ed Iraq; ma oggi non può far altro che criticare le sciagurate ed autolesioniste scelte dei dirigenti curdi.

Anche Israele, mentre continua a massacrare e scacciare la gente palestinese e ad arrestare anche le ragazzine che hanno osato resistere ai soldati, sostiene alla frontiera siriana, nel Golan e nel bacino dello Yarmuk, le formazioni salafite e dello Stato Islamico per tenere a distanza l’esercito di Assad ed i suoi alleati, gli Hezbollah libanesi, che già sconfissero lo stato sionista nel 2000 e nel 2006.

Dulcis in fundo”: ora Trump, dopo aver minacciato di denunciare l’accordo di compromesso raggiunto tra Obama e l’Iran, dopo aver spostato l’Ambasciata USA a Gerusalemme (“capitale indivisa dello stato ebraico”), scatena anche una avventata guerra dei dazi contro la Cina, che certamente gli si ritorcerà contro. Invece, rimanendo in Estremo Oriente, sembra essersi ammosciata la campagna di minacce contro la Corea Popolare. Il fatto è che questo piccolo e combattivo stato si è dotato di armi atomiche; non come l’Iraq di Saddam e la Libia di Gheddafi che non avevano l’atomica; e se ne sono viste le conseguenze.

Ma l’eco di questo scontro epocale che vede un confronto duro e pericoloso tra gli USA ed i loro alleati, da un lato, e Russia, Cina, Siria, Iran, Venezuela, Cuba, ed altri stati indipendenti dall’altro, giunge attutito in Italia dove si discute solo “de minimis”. Anche l’ex-sinistra “radicale”, quella che abboccò all’inganno delle “primavere arabe” e, ancor prima, alla “rivoluzione” contro Milosevic finanziata da George Soros, dorme sonni tranquilli parlando al massimo, ed impropriamente, di “migranti” o ricorrendo ad un “antifascismo” strumentale.

Vincenzo Brandi

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(1)”La sfida USA-Cina per l’egemonia tecnologica”, F. Garofalo, Marx21.it

lunedì 26 marzo 2018

La fine dell'uomo


Gli interventi dell’uomo nel tentativo di “aggiustare” la vita sul pianeta sono diventati talmente pesanti da mettere a rischio la stessa esistenza umana. Infatti il controllo sulle altre specie e sulla natura  coinvolge anche l’uomo, che non è separato dal mondo animale e dalla natura.

Le regole della vita sono molto semplici, ogni specie sia vegetale che animale ha una interrelazione mutualistica con il suo habitat e con tutte le specie che lo condividono. Le piante hanno bisogno degli animali per la loro riproduzione e propagazione, gli erbivori sono controllati dai carnivori e così si mantiene un equilibrio fra ambiente e suoi abitanti.

Ma dove l’uomo è intervento immediatamente questo equilibrio è andato perso. Lo abbiamo visto con la desertificazione del Nord Africa e del Medio Oriente causata da un esagerato incremento dell’allevamento domestico e di transumanza. 

Questo più l’abitudine venatoria nei confronti di specie ritenute nocive o -al contrario- utili all’economia umana hanno trasformato talmente l’habitat da renderlo irriconoscibile… Tutto ciò in passato avveniva in modo quasi impercettibile, poiché gli avvenimenti sopra descritti si protraevano per lunghi periodi di tempo, secoli, se non millenni, ed era alquanto difficile per l’uomo riconoscerne gli effetti (legati al suo comportamento).
Ben diversa è la situazione attuale. Oggi l’intervento umano sull'ambiente  ha una conseguenza presso che immediata e non si può far a meno di considerare le cause -come gli effetti strettamente interconnessi- delle mutazioni in corso. Dove l’uomo interviene la natura e la vita recedono.

Persino ove l’uomo cerca di rimediare ai mali del suo operato anche lì combina guai peggiori. Lo abbiamo visto ad esempio con la politica dei ripopolamenti artificiali di specie faunistiche scomparse in una data bioregione e recuperate in altri luoghi del pianeta per esservi reimmesse. 

Questa politica di recupero ambientale è invero deleteria. I danni causati all’habitat dall’introduzione di specie non autoctone sono enormi. Tant'è che di tanto in tanto, con la scusa del sovrappopolamento, ci si inventa partite di caccia per il contenimento di dette specie.

A dire il vero la mia impressione è che questa pseudo  politica ambientale è solo funzionale ad interessi altri, che non sono quelli della natura. La natura, se lasciata a se stessa, trova sempre il modo di armonizzarsi, creando una altalena di presenze fra fonti alimentari, specie predate e specie predatorie ma dove interviene l’uomo appare il caos. Ma oggi sembra  impossibile che la natura sia lasciata a se stessa, dovrebbe scomparire l’uomo. 

La specie umana è aumentata numericamente a dismisura e non ha predatori, né  grosse epidemie che secoli fa decimavano la popolazione, e cibare tutte queste persone, carnivori o vegetariani che siano, porta comunque ad un’alterazione dell’habitat naturale.

Inoltre gli animali sono sempre più visti come oggetti di abbellimento -se inseriti nei parchi- o d’uso alimentare o industriale -se allevati intensivamente. 

Potete allora vedere che questo gioco delle parti danneggia tutti i cittadini e la natura stessa che è continuamente manipolata pro e contro questo e quello. Insomma un pretesto affaristico in una società che non considera l’animale diversamente da un plusvalore qualsiasi.

Il rapporto fra uomo natura e animali è andato nel corso di questo ultimo secolo deteriorando sino al punto che gli alberi e gli animali,  un tempo simboli di vita, totem, archetipi e divinità, sono relegati nei parchi, nelle riserve o negli zoo o utilizzati come cavie o  carne da macello, come fossero “oggetti” e non esseri viventi dotati di intelligenza, sensibilità e coscienza di sé. 

Anche se etologi famosi, come ad esempio K. Lorenz e tanti altri, hanno raccontato le similitudini comportamentali e le affinità elettive che uniscono l’uomo agli animali, il metodo utilitaristico, che per altro si applica anche nella società umana verso i più deboli ed i reietti, ha preso il sopravvento.

Pare, ma non è detto, che al momento opportuno si risvegli nella coscienza umana la consapevolezza della comune appartenenza alla vita.

Paolo D'Arpini

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domenica 25 marzo 2018

Iran - L'odio dell'Occidente per i laici. Il caso di Ahmadinejad


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Una interessante notizia, che riporto alla fine del post, mi spinge a parlare dell'ex presidente iraniano Mahmoud Ahmadiejad. Durante il suo mandato come presidente della Repubblica Islamica dell'Iran i governi occidentali con al seguito i grandi media mainstream, non hanno fatto che strillare contro Mahmoud Ahmadiejad, accusandolo di ogni nefandezza, tra le quali la non-lapidazione di Sakineh Ashtiani. Non-lapidazione, perché non fu né poteva essere lapidata. Eppure il “prestigioso” Corriere della Sera con un articolo di Monica Ricci Sargentini scriveva il 19 marzo del 2014: “E’ stata rilasciata per buona condotta Sakineh Ashtiani, la donna iraniana condannata nel 2006 alla lapidazione per adulterio e per il suo presunto coinvolgimento nell’uccisione del marito.” (il grassetto è dell'articolo).

Una sfilza di fake news in un singolo incipit. 1) La Ashtiani era stata condannata all'impiccagione, perché in Iran non si pratica la lapidazione. 2) La Ashtiani era stata condannata a morte per l'assassinio del marito in complicità con l'amante e non fu mai processata per adulterio. 3) La Ashtiani non fu liberata per buona condotta, ma perché ricevette il perdono dei famigliari dell'ucciso.

Quando si parla di presstitute, si usa un termine molto preciso.

Comunque per il caso Ashtiani si mobilitò tutto il cucuzzaro dei bombardatori umanitari, con in testa quel gentiluomo di Sarkozy che si fece aiutare anche da quel genio della moglie Carla Bruni. L'obiettivo era la demonizzazione di Mahmoud Ahmadinejad e della Repubblica Islamica.

Ma quali erano le reali colpe di Ahmadiejad agli occhi dell'Occidente e della sua presstitute?

Cercherò di vederle da punto di vista importante ma accuratamente sottaciuto: era laico e progressista.
Ahmenadinejad è stato il primo presidente laico della Repubblica Islamica dai tempi di Abolhassan Banisadr nel 1980. E i laici nei Paesi islamici sono da sempre odiati dall'Occidente “laico e progressista”.

Fu odiato l'algerino Ahmed Ben Bella, stimatissimo combattente per la libertà del suo Paese, fu odiato lo splendido Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso, Paese a maggioranza islamica. Odiato e ucciso da un complotto di Stati Uniti e Francia. Fu odiato e ucciso Saddam Hussein. Fu odiato e ucciso Muammar Gheddafi (anche in questo caso da Stati Uniti e Francia). E' oggi odiato Bashar Assad.

Tutti laici e, per quanto male se ne voglia o possa dire, scrupolosi difensori delle differenti convinzioni religiose e della non ingerenza dello Stato nella vita privata dei cittadini. Una cosa inammissibile in Occidente dove l'Impero Britannico speculava sui sacrifici umani dell'Orissa, reprimeva i movimenti anti-casta e si appoggiava su tutto ciò che di retrivo poteva trovare, giungendo a bloccare le riforme antifeudali dell'Impero Moghul e gestendo il più grande narcotraffico della Storia, imposto con le due Guerre dell'Oppio all'Impero Cinese che da questo flagello voleva invece salvaguardare i propri sudditi (colpa enorme agli occhi di Londra).

E noi eravamo i “civilizzatori”.

Ahmadinejad era contrario alla pena di morte. Alcuni di voi lo sanno, ma so anche che la maggioranza dei miei corrispondenti lo ignorano e a loro principalmente mi rivolgo. Non è colpa vostra, ma perché le sue dichiarazioni contro la pena di morte sono state censurate dalla nostra presstitute.

Ahmadinejad cercava vigorosamente di laicizzare l'Iran. Anche questo non lo sapete. Non sapete che moltissime sue proposte di legge in tal senso furono bloccate.
Ahmadinejad era inviso al clero sciita. Scommetto che non sapete che mentre era in carica aveva rischiato una fatwa, istigata dall'entourage dello sconfitto candidato presidente Mir-Hossein Mousavi, il cocco dell'Occidente che la nostra presstitute descriveva come una sorta di “Gandhi iraniano” ma era un boss petrolifero colpevole dello sterminio di decine di migliaia di militanti della sinistra laica ed islamica iraniana.
Ahmadinejad era antimperialista e anche antiliberista. 

Aveva ad esempio esteso la sicurezza sociale ai tessitori di tappeti che la aspettavano da anni senza averla. Questa era la sua grande colpa, la colpa vera. Lo sapevate?

Cosa sta combinando oggi Mahmoud Ahmadinejad?
Ha accusato con una lettera la Guida Suprema ayatollah Ali Khamenei, di storno illegale di 80 miliardi di rials. Lo sapevate? E avreste le palle per farlo se foste iraniani? Beh, la notizia è recente, ma qualcosa mi dice che non verrà mai messa in prima pagina dalla nostra presstitute, se pure verrà mai pubblicata.

In febbraio aveva chiesto la liberazione dei prigionieri politici e la destituzione del capo del sistema giudiziario, Sadeq Larijani. Lo sapevate?

Come risposta è stato messo agli arresti domiciliari assieme al suo collaboratore Esfandiar Rahim-Mashaei, simbolo in Iran della lotta per la laicizzazione delle istituzioni della Repubblica.

Lo sapevate? Mi sa di no.

Piotr

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sabato 24 marzo 2018

Canapa o cannabis? Le piante si adattano ai nostri desideri...




Sia la "cannabis indica" che la "canapa sativa" fra di loro si fecondano e si mescolano. Un po' come succede nell'accoppiamento fra un nero ed una donna bianca. Possono prolificare  e ciò dimostra che sono della stessa specie. Esiste la selezione naturale e la selezione artificiale ma se la natura è lasciata a se stessa alla fine la canapa si adatta semplicemente al clima ed alla latitudine. Infatti la canapa coltivata in Italia per centinaia o migliaia di anni era una pianta completamente adattata al clima ed alla latitudine dell'Italia. Dal che se ne deduce che se prendi i semi della cannabis indica e li pianti in Italia nel giro di qualche generazione le piante si adatteranno al clima ed alla latitudine italiana, ovvero produrranno una quantità inferiore di resina rispetto alle consorelle coltivate in India...

...la canapa, in se stessa -come pianta- non è "droga", infatti facevo l'esempio dell'uva per spiegare che a seconda di dove viene coltivata produce più zuccheri. La canapa in Italia è stata coltivata per millenni e fino a 60 anni fa era una pianta comune e nessuno ha mai rilevato che fosse "uno stupefacente". Mentre se avviene la legalizzazione, come prospettato da alcuni parlamentari, allora sì che venderanno "droga" con il bollino dello stato sopra, ne più ne meno come oggi fanno con i liquori e con il tabacco...

Nota bene si parla di cannabis, non di canapa, e di "legalizzazione". Il che lascia intendere che si vuole regolamentare l'uso e la coltivazione di una "sostanza" da immettere nel mercato con il bollino dello stato, come succede con gli alcolici e con le sigarette. Alcuni deputati di fazione estrema hanno poi aggiunto al mazzo anche la legalizzazione della prostituzione, quindi completando la partita di "sesso droga and rock and roll".

Ma – secondo me - non dovremmo parlare di legalizzazione bensì di liberalizzazione e non chiamarla cannabis, marijuana ecc, dandogli l’accezione di “droga”, ma chiamarla con il suo nome comune: canapa. Solo la canapa esiste, un’unica pianta che a diverse latitudini e climi ha proprietà diverse, esattamente come l’uva (come scritto nel mio articolo: Canapa, pianta salvifica, perché fu proibita in Italia?   https://www.terranuova.it/News/Agricoltura/La-canapa-bioregionale-non-e-droga)

Finché la canapa bioregionale non potrà ritornare libera nei nostri campi e giardini, assieme a tutte le altre piante medicinali, alimentari e di varia natura, non potremo mai attuare una sana ecologia botanica.

Quando ancora vivevo nella Valle del Treja, in un terreno denominato "Tempio della Spiritualità della natura", lasciavo che la vegetazione si esprimesse liberamente e senza alcun mio intervento ed ho potuto così osservare la crescita spontanea di varie piante considerate "velenose" o allucinogene, come ad esempio lo stramonio ed i papaveri decorativi, ecc. Tra l'altro anche a Treia, dove ora risiedo, fino agli anni '50 del secolo scorso (in cui subentrò la proibizione) era consuetudine coltivare la canapa, vista anche la vicinanza del fiume Potenza che ne facilitava la lavorazione. 

Ed inoltre c'è da considerare che  prima dell'avvento del tabacco la canapa non veniva fumata al massimo veniva utilizzata per farne tisane calmanti e, come i semi del papavero in Sicilia,  serviva a preparare dolcetti per "tener tranquilli i bambini", o in erboristeria come integrativo, ecc.

Tra l'altro la canapa potrebbe sostituire il petrolio in molti usi, sia come combustibile che come materie plastiche, purtroppo con il consumismo e l'americanismo, la conoscenza che un tempo accompagnava queste piante prodigiose è quasi scomparsa. E non appena la conoscenza di una pianta viene riportata alla coscienza - per esempio, non appena qualcuno decide di incidere la testa di un papavero da oppio per farne uscire il lattice – ricompare anche il tabù. Fatto curioso, coltivare Papaver somniferum per uso decorativo è legale, a meno che ciò non sia fatto con la consapevolezza di coltivare una droga: allora come per magia, lo stesso, identico atto fisico diviene il reato di “produzione di una sostanza controllata”. A quanto pare, l’Antico Testamento e il codice penale associano entrambi piante proibite e conoscenza.

Per fortuna la coltivazione dell'uva e del luppolo, trasformabili in sostanze inebrianti (vino e birra), e dell'iperico (un antidepressivo), camomilla e valeriana (entrambe blandi sedativi) non è ancora proibita (anche se qualcuno ci sta pensando)...

Per tutte queste ragioni non sono affatto d'accordo sulla "legalizzazione" della "cannabis" ma sono assolutamente favorevole alla libertà di coltivazione e di spontanea crescita di ogni pianta che la natura ha creato. Soprattutto se tali piante possono avere una funzione di utilità, donare benessere e disinquinare anche i terreni, come ad esempio può fare la canapa. Apprendere poi il suo corretto uso  - come avviene per qualsiasi altra erba o sostanza naturale - è più un fatto di “educazione e conoscenza” che di “regolamentazione”, poiché la dipendenza la da un cervello portato alla dipendenza, all’alcool, al sesso, alla coca cola… non la pianta in sé.

Paolo D'Arpini  - Rete Bioregionale Italiana


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Articolo in sintonia: 
http://www.circolovegetarianocalcata.it/2016/03/24/cannabis-la-legalizzazione-richiesta-dallintergruppo-ha-fini-speculativi-commerciali-e-di-schedatura-dei-consumatori/

venerdì 23 marzo 2018

La NATO festeggia il 7° anniversario della distruzione della Libia



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Sette anni fa, il 19 marzo 2011, iniziava la guerra contro la Libia, diretta dagli Stati uniti prima tramite il Comando Africa, quindi tramite la Nato sotto comando Usa. In sette mesi, venivano effettuate circa 10.000 missioni di attacco aereo con decine di migliaia di bombe e missili.

A questa guerra partecipava l’Italia con cacciabombardieri e basi aeree, stracciando il Trattato di amicizia e cooperazione tra i due paesi.

Già prima dell’attacco aeronavale, erano stati finanziati e armati in Libia settori tribali e gruppi islamici ostili al governo, e infiltrate forze speciali, in particolare qatariane.

Veniva così demolito quello Stato che, sulla sponda sud del Mediterraneo, registrava «alti livelli di crescita economica e alti indicatori di sviluppo umano» (come documentava nel 2010 la stessa Banca Mondiale). Vi trovavano lavoro circa due milioni di immigrati, per lo più africani.

Allo stesso tempo la Libia rendeva possibile con i suoi fondi sovrani la nascita di organismi economici indipendenti dell’Unione africana: il Fondo monetario africano, la Banca centrale africana, la Banca africana di investimento.

Usa e Francia – provano le mail della segretaria di stato Hillary Clinton – si accordarono per bloccare anzitutto il piano di Gheddafi di creare una moneta africana, in alternativa al dollaro e al franco Cfa imposto dalla Francia a 14 ex colonie africane.

Demolito lo Stato e assassinato Gheddafi, il bottino da spartire in Libia è enorme: le riserve petrolifere, le maggiori dell’Africa, e di gas naturale; l’immensa falda nubiana di acqua fossile, l’oro bianco in prospettiva più prezioso dell’oro nero; lo stesso territorio libico di primaria importanza geostrategica; i fondi sovrani, circa 150 miliardi di dollari investiti all’estero dallo Stato libico, «congelati» nel 2011 su mandato del Consiglio di sicurezza dell’Onu.

Dei 16 miliardi di euro di fondi libici, bloccati nella Euroclear Bank in Belgio, ne sono già spariti 10 senza alcuna autorizzazione di prelievo. La stessa grande rapina avviene nelle altre banche europee e statunitensi.

In Libia gli introiti dell’export energetico, scesi da 47 miliardi di dollari nel 2010 a 14 nel 2017, vengono oggi spartiti tra gruppi di potere e multinazionali; il dinaro, che prima valeva 3 dollari, viene oggi scambiato a un tasso di 9 dinari per dollaro, mentre i beni di consumo devono essere importati pagandoli in dollari, con una conseguente inflazione annua del 30%.

Il livello di vita della maggioranza della popolazione è crollato, per mancanza di denaro e servizi essenziali. Non esiste più sicurezza né un reale sistema giudiziario.

La condizione peggiore è quella degli immigrati africani: con la falsa accusa (alimentata dai media occidentali) di essere «mercenari di Gheddafi», sono stati imprigionati dalle milizie islamiche perfino in gabbie di zoo, torturati e assassinati.

La Libia è divenuta la principale via di transito, in mano a trafficanti di esseri umani, di un caotico flusso migratorio verso l’Europa che, nella traversata del Mediterraneo, provoca ogni anno più vittime dei bombardamenti Nato del 2011.

Perseguitati sono anche i libici accusati di aver sostenuto Gheddafi. Nella città di Tawergha le milizie islamiche di Misurata sostenute dalla Nato (quelle che hanno assassinato Gheddafi) hanno compiuto una vera e propria pulizia etnica, sterminando, torturando e violentando. I superstiti, terrorizzati, hanno dovuto abbandonare la città. Oggi circa 40.000 vivono in condizioni disumane non potendo ritornare a Tawergha.

Perché tacciono quegli esponenti della sinistra che sette anni fa chiedevano a gran voce l’intervento italiano in Libia in nome dei diritti umani violati?


 Manlio Dinucci

(il manifesto, 20 marzo 2018)

giovedì 22 marzo 2018

Invasione programmata e conflitti teleguidati, utili all’economia di guerra ed al controllo delle masse


Siamo stati resi schiavi del sistema, non fosse altro che tramite le pressioni esercitate ormai a livelli parossistici a livello fiscale, finanziario, lavorativo, previdenziale, sanitario, ecc., siamo cioè già ridotti in schiavitù in tutti i settori essenziali per poter vivere una vita decente e dignitosa.
L’invasione programmata ed i conflitti teleguidati  hanno probabilmente solo lo scopo di ridurre al silenzio ed all’inerzia i più recalcitranti, quella esigua minoranza ancora in grado di pensare autonomamente e dubitare delle mistificazioni propinate dai mass media a libro paga dell’establishment.
L’economia di guerra sta nuovamente trionfando e le voci pacifiste saranno messe a tacere in quanto anacronistiche e fuori luogo. Con l’alibi della difesa della civiltà occidentale potranno perpetuare i loro piani di consolidamento di potere e controllo delle fonti energetiche e del business planetario, oltre che delle popolazioni che sempre più stavano allontanandosi dalla subordinazione alle istituzioni politiche ritenute indegne ed incapaci di rappresentarle e pertanto stavano cercando soluzioni alternative. 
In questo modo quel residuo patetico di democrazia che passa sotto il nome di “elezioni”, diventeranno solo un rito per avallare un candidato o un gruppo di burattini anziché un altro.
Come se a teatro o al cinema si potessero scegliere gli attori prima che la produzione si attivi per realizzare l’opera. Ma gli autori, i registi, i produttori, i distributori, ecc., rimarranno segreti, e saranno loro ovviamente a gestire gli attori e decidere le trame scrivendo le sceneggiature. L’unica libertà di cui disporremo è rifiutare di vedere il frutto di quanto da loro programmato ma ne subiremo comunque le conseguenze.
E le ripercussioni saranno sempre più gravi, perché coloro che dirigono questo teatrino tragico e cinico hanno da tempo perso il lume della ragione, hanno oscurato la coscienza e la consapevolezza regredendo a livelli evolutivi primordiali, nonostante l’immenso potere di cui dispongono. Hanno cioè optato per una scelta distruttiva antitetica rispetto al senso della vita, alla vitalità, alla condivisione, alla cooperazione, alla convivialità, all’evoluzione, ecc., preferiscono il delirio di onnipotenza e l’isolamento dorato, come spettatori perversi di un teatro dell’assurdo nel quale l’obiettivo finale sembrerebbe il voler spegnere le “anime” delle persone addomesticandole, riducendole a gregge, sacrificabili in qualsiasi momento.
Claudio Martinotti Doria

mercoledì 21 marzo 2018

Religione e prostituzione (con usura aggiunta)

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Cosa non si fa per la pecunia, soprattutto quando “non olet” ma profuma di donna…. A turni alterni personaggi politici di destra, sinistra o centro rispolverano la proposta di riaprire le “case chiuse” per togliere il degrado del sesso consumato per strada, garantire l’igiene dei rapporti, evitare la piaga dello sfruttamento… ma sopratutto incrementare le entrate dello stato con nuove tasse sul sesso a pagamento.  Ed appare strano che il vaticano che solitamente mette bocca su tutte le iniziative sociali  non si sia mai pronunciato sulla “regolamentazione della prostituzione”… Ma a pensarci bene strano non è  poiché sin dai tempi del papa re le  imposte sulle “puttane” contribuirono grandemente all’edificazione della chiesa.  Povere puttane, vilipese, offese e sfruttate in tutti i modi. (P.D'A.)
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Religione: le opere della chiesa grazie alle curiali a all'usura  - Il Vaticano per secoli ha ricevuto profitti dalla prostituzione e dall'usura.     Lo stato pontificio investiva i soldi ottenuti con le tasse sulle prostitute in opere pubbliche, moltissimi monumenti e chiese sono stati finanziati con i soldi della prostituzione, che alla fine quindi qualcosa di buono ha prodotto.Pio IV costruì Borgo Pio con i soldi delle “curiali”. Viene spiegato con tutta chiarezza in una bolla dello stesso Papa.

Il Ponte di Santa Maria, l’odierno Ponte Rotto (come racconta Costantino Maes nel suo “Curiosità Romane”, Grotta del Libro editore) fu restaurato «similmente, merce’ questa sozza, ma pur legittima imposta».Nell’archivio della Reverendissima Camera Apostolica si conserva il volume che spiega quanti soldi di tasse furono prelevati alle prostitute per quei lavori.Altri libri raccontano che la strada presso il Tevere, prossima alla Porta del Popolo, era il principale ingresso alla città fino al XIV secolo. Scorreva in mezzo ai campi, maltenuta e piena di buche. Eppure, presso il Porto di Ripetta c’era un gran traffico di commerci e una strada acconcia sarebbe stata ben vista e utile.

Provvide Leone X: raddrizzò l’attuale via di Ripetta, tagliandola in mezzo ai terreni circostanti e asfaltando tutto. La strada prese il nome del Papa, ma poi tornò a chiamarsi di Ripetta. Dove furono presi i soldi per i lavori? Dalla tassa sopra ai lupanari. Lo racconta l’amministratore signor Corvisieri nelle sue “Posterule Tiberine”.Non da meno l'usura fu fonte di enormi entrate per il Vaticano.Grazie all'usura la chiesa aumento in maniera esponenziale le sue già  immense ricchezze... 

(Virginia Colonna)


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Articolo collegato: 

martedì 20 marzo 2018

Gli incentivi per le biomasse aiutano l'inquinamento ambientale?

           
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 I vantaggi degli incentivi all’uso di biomassa, dal lato delle minori emissioni di CO2, si contrappongono agli effetti negativi sulla qualità dell’aria per le maggiori emissioni di particolato, NOx ed altri inquinanti

È ormai assodato il ruolo importante che gioca il riscaldamento domestico nell’ambito della qualità dell’aria a scala locale e regionale. A questo proposito vedere l’indagine di Innovhub - Stazioni Sperimentali per l’Industria sulle emissioni da apparecchi a gas, GPL, gasolio e pellet.

All’interno dell’indagine viene citato lo studio condotto da ENEA Impatti energetici e ambientali dei combustibili nel riscaldamento residenziale, che ha valutato quanto le politiche di decarbonizzazione e di sostegno alle fonti rinnovabili, tra cui le biomasse legnose, impattano sul settore del riscaldamento domestico, da un punto di vista energetico, ambientale ed economico.
Lo studio, attraverso strumenti modellistici per la simulazione di scenari energetici e di qualità dell’aria (TIMES-Italia e GAINS/MINNI), approfondisce dunque gli aspetti tecnologici e ambientali di queste politiche e ne analizza le ricadute economiche.
Per quanto riguarda gli effetti sulla qualità dell’aria, vengono prese in considerazione le emissioni di anidride carbonica, particolato, ossidi di azoto e composti organici volatili non metanici.
Tutti gli scenari esaminati mostrano che le emissioni complessive di inquinanti, come il particolato primario, si riducono al 2030 grazie al miglioramento delle tecnologie adottate. Tuttavia le riduzioni sono minori laddove aumenta l’uso di biomassa legnosa nel settore residenziale.
Nonostante una situazione di generale miglioramento del quadro emissivo, in tutti gli scenari rimangono in Italia aree sensibili nelle quali le concentrazioni di particolato resterebbero superiori sia alle raccomandazioni dell’OMS che ai più elevati limiti europei.
In tali aree, per ridurre ulteriormente le concentrazioni e contenere di conseguenza i rischi per la salute, le Amministrazioni locali dovrebbero prevedere e imporre
  • standard emissivi molto più stringenti sui piccoli impianti a biomasse legnose nel settore residenziale
  • misure per scoraggiare l’uso stesso delle biomasse legnose tal quali in impianti domestici
  • favorire la sostituzione di camini aperti/chiusi con tecnologie efficienti, a gas o con produzione di calore da altre rinnovabili (elettriche o termiche).
Al governo centrale spetterebbe invece l’adozione di standard generali sulle caratteristiche degli impianti.
In linea generale i sostegni alle biomasse legnose nel settore residenziale, nell’ottica della decarbonizzazione, dovrebbero in primo luogo essere condizionati all’uso delle migliori tecnologie disponibili dal punto di vista ambientale e di quelle più efficienti dal punto di vista energetico.
Gli standard emissivi delle tecnologie da incentivare dovrebbero diventare nel tempo sempre più rigorosi, almeno nelle aree sensibili; inoltre sarebbero utili incentivi indiretti, come quelli per la ricerca e l’innovazione sui sistemi di abbattimento del particolato (filtri o altro) più efficaci e a basso costo.

Viste le attuali politiche di sostegno per le biomasse legnose (IVA al 10% sulla legna, niente accise per legna e pellet) e nonostante il passaggio al 22% per l’IVA sul pellet, un aumento dell’uso di biomasse nel riscaldamento domestico avrebbe, secondo lo studio, un effetto negativo sul gettito fiscale. Si suggerisce l’opportunità di ripensare la fiscalità energetica in ottica ambientale: le tasse dovrebbero essere cioè rimodulate considerando anche gli impatti negativi sulla salute provocati dalle emissioni di inquinanti atmosferici oltre che gli impatti sul clima provenienti dalle emissioni di anidride carbonica.

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(Fonte: Arpat)

lunedì 19 marzo 2018

Il peccato originale appartiene solo alle religioni che l'hanno inventato


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Sulla necessità di riconoscere da parte della Chiesa che non esiste un peccato originale che in tutti si trasmette. 
E' infatti oggi riconosciuto che il racconto dei primi undici capitoli della Genesi non ha carattere storico ma mitologico, si tratta di antiche tradizioni popolari ebraiche.

E' infatti ovvio che Adamo non può essere il primo uomo, né Eva la prima donna, né ambedue la prima coppia; per le quali, secondo i risultati della paleoantropologia, bisognerebbe arretrare di centinaia di migliaia d'anni.

Per cui non è storico né reale Adamo, come non è storico né reale il suo peccato; e tanto meno la sua trasmissione.

Può darsi che Paolo lo pensasse, in quel passo della Lettera ai Romani. In verità, però, a Paolo premeva il raffronto tra Adamo da cui parte la storia di peccato dell'umanità; e il Cristo, da cui parte la nuova storia della redenzione e della grazia.

E' lì che si frappone il famoso errore di traduzione dal greco al latino: in quo, in Adamo tutti hanno peccato; errore che viene assunto in termini stretti e rigorosi da una Chiesa che mira a deprimere l'uomo per dominarlo meglio; la Chiesa gerarchica e imperiale, tanto lontana dal modello evangelico e apostolico della comunità fraterna.

Urge ora che all'umanità sia tolta questa falsa macchia, questo pseudo-peccato presente nell'uomo fin dalla concezione, nel bambino, nella sua mirabile innocenza.
Anche Papa Wojtyla lo ha sentito e ha creato per questo una commissione apposita; che però non ha concluso molto.

Bisogna ora fare il passo decisivo, liberare l'umanità da questo falso peccato e dalle sue conseguenze.  Confidiamo che papa Francesco, nel suo amore per i suoi fratelli gli uomini, lo voglia fare.

 Prof. Arrigo Colombo

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