domenica 14 febbraio 2016

Anarchismo sociale e identità locale



La nuova destra? In Italia si va da Tarchi a Massimo Fini, da "Diorama letterario" ad "Arianna editrice"

Cercare di definire che cosa sia il fenomeno politico e culturale nominato "nuova destra" non è cosa semplice né dal punto di vista teorico, né dal punto di vista organizzativo. Per toglierci di dosso subito alcuni equivoci, affermo, da subito, che non intendo parlare né di quel coacervo nazional-conservatore, noto appunto come "new Right" (nuova Destra) relativo ai fenomeno anglo-americano della metà anni '80 dei governi della Margaret Tatcher e di Ronald Reagan, né a gruppi dell'estrema destra che si rifanno direttamente a simbologie, ideologie, pratiche esplicitamente naziste o fasciste.


Intendo invece parlare di quel fenomeno politico-culturale, nato nel 1968, intorno all'organizzazione GRECE (Groupement de Recherches et d'Études pour la Civilisation Européenne) e il cui leader, nonché teorico indiscusso, è Alain de Benoist. Il termine "Nuova destra" fu fatto proprio dal gruppo a seguito dell'attribuzione che diede loro il giornalista di "Le Monde", Thierry Pfister, all'interno di un articolo pubblicato il 22 giugno 1979.

La famiglia della Nuova Destra è composta oltre che dal GRECE e le sue pubblicazioni, "Élements", "Nouvelle école" e "Krisis", dai fiamminghi della rivista "Tekos", dagli italiani legati a Marco Tarchi ed alle riviste "Trasgressioni" e "Diorama Letterario", alle case editrici "La Roccia di Erec", che pubblica le riviste citate precedentemente, ad Arianna editrice, che edita tra gli altri De Benoist, Preve etc, a "Il Cerchio Iniziative editoriali" spostato più sul versante storico e cattolico tradizionalista (tra gli autori contempla ad esempio Franco Cardini), dalla rivista argentina "Disenso" del peronista di sinistra Alberto Buela. Difficilmente si potrebbero integrare a pieno titolo in questa area riviste eterodosse, ma di marca più tradizionalista sia in senso religioso che politico, come il settimanale tedesco "Junge Freiheit", o i conservatori "Zur Zeit" austriaco ed il popolare "Hespérides" spagnolo. Il che non significa, al contrario, che non esistano su alcuni tempi punti di contatto più che significativi.

L'origine.

Il GRECE viene fondato nel 1968 da militanti provenienti da diverse organizzazioni dell'estrema destra, in particolare dal FEN (Federazione degli studenti nazionalisti costituitasi nel 1960) che pubblica i "Cahiers universitaires", dal mensile "Europe-Action" e dall'insuccesso elettorale del REL (Rassemblement européen de la liberté) alle legislative del 1967, coalizione promossa dal movimento razzista, xenofobo ed anti-comunista denominato MNP (Movimento nazionalista del progresso). L'ideologia che fa da elemento costitutivo al GRECE poggia sostanzialmente su di un neo-nazionalismo europeo fondato su basi razziali – differenzialiste: "La Nazione determina talvolta un'etnia, ma non si confonde obbligatoriamente da essa. Essa è un dipartimento della razza. L'etnia è un'unità razziale di cultura." Questo è per de Benoist ed i suoi seguaci il presupposto per una politica planetaria di sviluppo razziale separato: "Organizzare, con i differenti gruppi razziali del mondo, una politica di coesistenza pacifica e liberale che permetta a ciascuno di esprimere (...) le sue attitudini e i suoi doni. Sopprimere, in proporzione, ogni contatto mirante alla fusione, all'inversione o allo sconvolgimento dei dati etnici, o alla coabitazione forzata di comunità differenti." Vedremo poi come, in modo variato, alcune di queste tematiche si ritrovino oggi nelle teorie neo-comunitarie e delle piccole patrie (Alain de Benoist è uno dei firmatari del manifesto di Massimo Fini – Movimento Zero. Manifesto dell'antimodernità)

La prima rottura esplicita con il nazionalismo tradizionale francese di Barrès o di Maurras, come abbiamo visto, avviene sulla questione del nazionalismo europeo; la seconda invece, si consuma sulla questione della metapolitica, o come detto da loro stessi, dalla lettura di Gramsci a destra. Gramsci viene letto dal GRECE come teorico del "potere culturale": sta appunto alla destra organizzare questa controffensiva culturale conquistando ambienti politici, mediatici, universitari etc.: "L'economicismo liberale comincia allora ad essere fermamente denunciato quanto l'economicismo marxista, e l' 'americanismo', forma moderna dominante dell'egualitarismo e del cosmopolitismo 'giudeo-cristiano', diventa la figura del nemico principale"

L'azione intellettuale del GRECE, a partire dai presupposti appena citati, diviene a tutto campo: "Ci sono diversi modi di vedere il mondo e di stare al mondo (modi di 'destra' e di 'sinistra', se vogliamo), ... io non credo che esistano veramente idee di destra e di sinistra. Penso che ci sia un modo di sinistra e di destra di sostenere queste idee... Per il momento le mie idee sono a destra: non sono necessariamente di destra. Posso anche immaginarmi, e molto facilmente, situazioni in cui potrebbero trovarsi a sinistra." Per cui "Chiamo di 'destra', ma per pura convenzione, l'attitudine che consiste nel considerare le diversità del mondo e, di conseguenza, le disuguaglianze relative che ne sono necessariamente il prodotto, come un bene (...) Chiamo di destra le dottrine che considerano che le disuguaglianze relative dell'esistenza inducono dei rapporti di forza di cui il divenire storico è il prodotto... questo significa che, ai miei occhi, il nemico non è la 'sinistra' o il 'comunismo', oppure la 'sovversione', ma proprio quell'ideologia egualitaria...."

La prospettiva antiegualitaria radicale del movimento politico GRECE si risolve, naturalmente, in una prospettiva differenzialista altrettanto radicale, la quale nega, in maniera intelligente, la superiorità razziale richiamata dalle dottrine suprematiste fasciste o naziste, ma nega in maniera altrettanto potente la possibilità della costruzione di un meticciato che possa inficiare l'organicità presunta, naturalmente, con la quale si sono costruiti nei millenni popoli, etnie etc. In subordine a ciò, la supremazia di potenza viene relegata ad uno sviluppo storico in cui le disuguaglianze trovano a confrontarsi ed a scontrarsi in rapporti di forza per così dire "naturali". Il presupposto teorico di tutto questo è negare innanzitutto come intere civiltà si siano costruite sicuramente attraverso lo scontro militare, ma anche attraverso lo scambio e la contaminazione, pure fisica, di meticciato, tra intere popolazioni, a loro volta prodotto di scambi avvenuti secoli prima. Il secondo presupposto è quello di ritenere la formazione sociale, politica e culturale di intere popolazioni come prodotto di rapporti forza esplicitati in natura, come se il corrispondente organico della società, a-conflittuale in questa ottica, fosse l'organicità del corpo umano. La società è specchio e riproduzione del corpo (spirito, fisicità, intelligenza etc); la teoria razziale torna prepotentemente da dove si pensava di averla fatta uscire: se il corpo è sano, forte, intelligente... allora la società, unione omogenea di interessi che in essa, come nella famiglia trovano la sua ricomposizione è sana, forte, intelligente e quindi predominante sul proprio territorio, ma anche su quello degli altri, inferiori (diversi direbbero loro) per "natura".

Il terzo congetturato è che le teorie egualitarie siano per forza di cosa appiattenti, omologanti ed omogeneizzanti perché si fanno forza su dei presupposti "naturali" sugli esseri umani che partono dall'idea dell'unicità della razza umana, al di là delle differenze insite in processi di diversificazione biologica, le quali non alterano il carattere di eguaglianza tra le persone (un cuore,un cervello, due occhi etc.). Le teorie egualitarie, dalle moderate a quelle estreme (comunismo ed anarchismo), assumono al proprio interno che il prodotto della differenziazione sociale sia in senso economico che in senso culturale e politico sia passato a e passi attraverso processi storici contestuali (geografici, climatici, risorse, numero di abitanti e facilità di contatti....) nei quali un ruolo significativo ha assunto il fenomeno dello sfruttamento, fenomeno che in chiave moderna si può ascrivere alla lotta di classe. I ragionamenti sulle differenze, passano, per gli egualitari dal principio che comunque si debba fare riferimento alla singolarità dell'essere umano ed alla varianza dei prodotti storici, che per le destre assumono invece una forma di a-temporalità, questa sì univoca, insita nella tradizione, o meglio nella Tradizione.

La grande abilità della Nuova destra, copiata poi, in parte, dalle destre storiche più o meno radicali, è stata quella di aver recuperato il differenzialismo con il quale la sinistra combatteva, a partire soprattutto dagli anni '60, forme di xenofobie varie, così come alcune teorie dell'ecologismo radicale e non  da ultimo il differenzialismo biologico proposto da correnti del femminismo separatista degli anni '70.

Ma su tutto questo occorrerà tornarci ancora sopra.

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Identità e Comunità

"In un mondo marcato dalla crisi generalizzata delle istituzioni e dei grandi sistemi di integrazione sociale, l'affondamento dello Stato-nazione e la crescente insignificanza delle frontiere territoriali hanno visto riapparire sotto forma di comunità e di reti di rapporti, una formidabile sete di ri-radicamento. La società civile si ristruttura spontaneamente, ricreando gruppi e 'tribù' che cercano di rimediare all'indifferenza crescente dei ruoli (…) ricorrendo alla democrazia diretta e al principio di sussidiarietà. Questo fenomeno, attraverso la sua rapida espansione 'virale', mostra da solo che si è già usciti dalla modernità. Il desiderio di eguaglianza, succeduto a quello di libertà, fu la grande passione dei tempi moderni. Quello dei tempi post-moderni sarà il desiderio di identità."
Il tema identitario è un argomento sul quale la nuova destra, ma non solo, sta cercando di costruire il suo impianto teorico forte per il secolo a venire: ma di quale identità si parla e quali sono i presupposti costitutivi di questo modello neo-comunitario?

In molti, infatti, anche a sinistra, hanno tentato di opporre forme di resistenza locale ai sistemi alienanti generali e generalizzanti di tipo mondiale, da cui il nome indecifrabile di globalizzazione. Dalla produzione dei formaggi di fossa, al recupero di lingue sommerse, ai balli tradizionali (penso alla mia vicina "Occitania") la gamma delle opposizioni alla globalizzazione cerca di trovare sponde anche dove sponde vere e proprie non ci sono: sono uno di quelli che pensano che se le cose (in genere) rimangono nel tempo, questo non avviene per processi decisionali dal basso o dall'alto che siano, bandiere e stendardi compresi, ma da prassi consolidate e non necessariamente spiegate. Tanto per capirci: dalle parti di mio nonno, nel profondo cuneese, quando ero piccolo tutti parlavano il dialetto, perché era normale parlare in dialetto. Adesso lo parlano ancora in tanti, ma non più come prima e molti ragazzi e ragazzi usano soltanto la lingua italiana. Non credo che su questo come su molte altre questioni sia possibile rimediare, sempre che si debba e sia giusto farlo, creando scuole, corsi di piemontese etc: sono processi artificiali che contrastano e non accompagnano evoluzioni o involuzioni che a dir si voglia, ma qui entriamo nel merito del giudizio di valore, di persone che abitano quei luoghi. Molti dei tentativi di recupero di tradizioni, senza che vengano messi mai in discussione, cosa di per sé, a mio parere, grave, le ragioni della nascita e dello sviluppo delle stesse, sono volti a costituire e a rimarcare diversità e differenze escludenti. 

Su questo il lungo lavorio della Lega, ad esempio, ma anche di Illy, il centrosinistrorso nordestino e di tanti altri si è incanalato in questa direzione: recupero formale delle tradizioni come forma di chiusura verso "allogeni" in genere, terroni, negri, omosessuali etc. ed apertura massima al sistema mondiale di mercato, ovvero il capitalismo più sfrenato. Ed è proprio questa la caratterizzazione principale della comunità costitutiva della Nuova Destra: l'appartenenza ad essa è anteriore all'unione dei suoi membri. Si è membro di una comunità etnica, religiosa o sociale indipendentemente dal fatto che se ne voglia far parte o meno e che si sceglie come legame volontario, per acquisirne, al contrario, "diritti e doveri" di nascita. Questa posizione ha una inequivocabile connotazione razziale: se i diritti sono nativi, ovvero di appartenenza, da questi stessi diritti ne sono esclusi automaticamente tutti coloro che non fanno parte della comunità stessa. Questo concetto sta anche alla base di una certa idea di multiculturalismo sociale come semplice coesistenza di comunità separate all'interno di uno stesso territorio, che è poi il modello dell'apartheid interno, contraltare politico al progetto assimilazionista statolatrico e neo-illuminista dei governi integrazionisti. Per provare a fare un esempio concreto, la nuova destra non potrebbe mai intervenire contro la pratica dell'infibulazione, qui come in altri territori del mondo, perché in astratto non esistono diritti umani e tantomeno diritti delle donne in quanto tali, ma solo diritti appartenenti a comunità storiche e quindi risolvibili all'interno di quelle. In questo senso, ma ciò avviene in molte spiegazioni anche a sinistra, non vengono mai messe in discussione le modalità con cui una "comunità" si appropria di pratiche, di varia nefandezza, né in che modo queste corrispondano a nuovi innesti prodotti da altri inserimenti sociali e culturali (ad esempio l'Islam). 

La tradizione viene appunto risolta in forma storica inamovibile a-temporale e soprattutto a-conflittuale. Si pensa ciò che se ciò avviene da secoli, questo, per solo fatto appunto che capita, sia di fatto accettato acriticamente da tutti i membri della società, che non produca conflittualità interne né esterne e così via. È lo stesso discorso pernicioso sull'autodeterminazione dei popoli, che non si capisce bene in che cosa di debbano auto-determinare, se non nella forma della resistenza alle ingerenze imperialistiche. Ma appunto, riproviamo a chiamare le cose con il loro nome, ovvero che se ci si oppone all'invasione economico-politica e militare di predoni armati da governi di vario tipo, si tenta di resistere ai nuovi imperialismi criminali e massacratori, ma questo non implica affatto che nel processo, inverso all'occupazione, di auto-determinazione si stia costruendo una società libera da sfruttamento, clericalismo, sopraffazioni, maschilismo etc. Nessuno potrà convincermi, per quanto pensi che sia giusto opporsi ai bombardamenti assassini di Israele, che Hezbollah sia un movimento liberazione.
La domanda identitaria tenta di rispondere, a priori, al quesito primordiale: "Chi sono?" La comunità chiusa sta alla base delle scelte che l'individuo effettua e tramanda valori e comportamenti che creano l'individuo in quanto persona e, di conseguenza, le appartenenze non vengono mai scelte, ma sono fissate una volta per tutte.

Esistono altre forme di comunità non chiuse? A questo quesito non so rispondere. Penso però che la questione aperta dalla nuova destra e da alcune sinistre sia seria ed importante proprio per le ricadute politiche, a mio parere negative, che si possono avere. Allora quale risposta o quali risposte, sempre che sia possibile darle, da un punto di vista di classe ed anarchico. Partiamo inizialmente da due postulati:
1) Ognuno di noi nasce in contesti sociali, politici, culturali, economici che sono la costruzione e l'intreccio di tantissimi fattori che si muovono sia su di una scala temporale consequenziale o lineare sia su una scala di contemporaneità. Da essi non possiamo in alcun modo prescindere, ma possiamo però lottare per modificarli e contribuire a modificarli in virtù di principi e valori propri e in virtù di scambi con altre persone che portano similarmente a noi principi e valori comuni.
2) I nostri principi e valori comuni, e mi riferisco in particolare a quelli di eguaglianza sociale, ovvero di comunismo anti-gerarchico ed anticapitalistico, e di libertà come ricerca e come accesso libero alla sperimentazione (culturale, sociale etc.), ovvero l'anarchia, sono nati ed impregnati di positivismo ottocentesco europeo, limite intrinseco teorico e geografico allo sviluppo universalistico delle nostre teorie.
Quale è allora la nostra forza, o meglio quale dovrebbe essere?
1) Le nostre teorie si rifiutano di pre-determinare gli esiti della storia, ma provano a cambiarla come atto cosciente e volontario dell'essere umano volto a modificare la condizione di sudditanza nella quale si trova.
2) Le nostre teorie, benché ancorate a luoghi ed ambienti, quando parlano di giustizia sociale radicale parlano invero ai più nel mondo e parlano gli stessi linguaggi di persone che richiamano con parole diverse gli stessi concetti.
3) La nostra grande forza è nella libera sperimentazione, dove, accomunati da principi comuni di eguaglianza e di libertà, non abbiamo modelli pre-costituiti di socialismo da caserma.
E quindi pensiamo, alla fine, che in ogni luogo, le persone, liberamente associate, possano trovare la loro strada per liberarsi dalle tradizioni di sfruttamento e mantenere ciò che, invece, provenendo dal passato più o meno remoto possa contribuire alla loro crescita a quella degli altri ed alla loro libertà. Sappiamo anche che questo processo, sempre che avvenga, non sarà né indolore, né senza conflitto: anzi di conflitto si nutre e del conflitto si fa motore.

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Religione contro l'uguaglianza

"L'egualitarismo è penetrato nella cultura europea in una fase di crisi all'inizio della nostra era, attraverso un'antropologia nuova, di cui il giudeo-cristianesimo è stato un vettore"... "Introdotta nel pensiero europeo per mezzo del giudeo-cristianesimo - con il tema dell''eguaglianza davanti a Dio' – l'ideologia egualitaria si è laicizzata nel XVIII secolo."

Uno degli attacchi, e forse il più importante, diretti della Nuova Destra contro la modernità occidentale passa attraverso lo scontro con l'ideologia egualitaria: il tema dell'antiegualitarismo, sia di tipo biologico-razziale, convogliato, come abbiamo già visto, nel differenzialismo anti-assimilatore, sia di tipo spirituale – culturale, è forse il vero cardine attorno al quale ruotano tutte le altre ipotesi politiche e meta-politiche, non solo della nuova destra, ma, si può a ben ragione dire, di tutte le destre sino ad ora conosciute. La vera novità teorica, che poi così nuova non è, ma lo vedremo più avanti, è l'attacco che la Nuova Destra porta al pensiero cristiano-giudaico, come sistema estraneo, appunto penetrato, nella cultura europea declinante.

L'assunto base è molto semplice: il pensiero giudaico-cristiano, da cui la religione ebraica da una parte e cattolica e protestante dall'altra, pone tutti gli esseri umani in un sistema di eguaglianza di fronte a Dio. Questo modello culturale, traslato in un contesto laico, traspone quell'equivalenza sul terreno propriamente umano, del quale i rappresentati escatologici sarebbero le nuove religioni egualitarie, ovvero il liberalismo, il socialismo, il comunismo e l'anarchismo.
"Ciò che particolarmente caratterizza il pensiero egualitario è la sua tendenza 'monoteista' e riduttiva. Ritenendo che gli individui siano essenzialmente identici (e che su questa identicità fondamentale si fonda la loro eguaglianza, generatrice dei loro 'diritti'), esso tende a ricondurre tutto all'Unico. Tende ad eliminare la diversità dal mondo."
Ecco che il sillogismo della Nuova Destra trova qui il suo pieno compimento: pensiero giudaico cristiano - monoteismo → uguaglianza degli uomini di fronte a Dio → uguaglianza fra gli esseri umani → uguaglianza laica → teorie universalistiche (comunismo, anarchismo...) → razzismo unidimensionale (contro le differenze): "Su scala mondiale, la contraddizione maggiore ormai non è più tra la destra e la sinistra, il liberalismo e il socialismo, il fascismo e il comunismo, il 'totalitarismo' e la 'democrazia', ma tra coloro che vogliono un mondo unidimensionale e coloro che si schierano per un mondo plurale fondato sulla diversità delle culture, tra coloro che difendono i diritti di un 'uomo' astratto e coloro che difendono la causa dei popoli e i diritti e i doveri dei cittadini che li compongono"

Il forte "paradosso" costruito dalla Nuova destra si basa sulla correlazione tra universalismo – internazionalismo, diritti umani come entità ascrittiva del genere umano e razzismo indifferenzialista. Se fate caso tutte le campagne xenofobe e razzistiche portate da gruppi neofascisti o leghisti negli ultimi anni hanno utilizzato lo stesso schema di accuse, sapientemente veicolato dalla Nuova destra: l'immigrazione rompe con l'omogeneità, naturalmente presunta, sulla quale si sono costruite le comunità nel corso dei secoli e proprio in funzione della sua duplice funzione di spaccatura e di mescolamento omologante, che l'immigrazione è in quanto tale razzista o meglio, universalmente razzistica.
La riscoperta di un nuovo paganesimo diviene, per la Nuova Destra, condizio sine qua non della possibile rinascita imperiale di una Europa che ritrova così le su radici più profonde: "Le tre grandi sfide oggi lanciate all'identità europea e che mettono in discussione la sua continuità storica sono la multirazzialità, la distruzione delle proprie culture e delle tradizioni, e l'urto della civiltà tecnoeconomica, del 'tecnocosmo'. Nessuna di queste sfide – che dunque costituiscono al contempo una minaccia di dissoluzione e di omogeneizzazione esterna – è insormontabile. Anzi: solo superandole gli europei inaugureranno una nuova era della loro storia. Poiché, come sempre, i popoli 'metamorfici' cui apparteniamo debbono vivere ed assumere questo paradosso: restare fedeli a se stessi realizzando una mutazione di se stessi, un'autotrasgressione, che potrà provenire solo dall'abbandono della parte giudeo-cristiana, umanista ed universalista della nostra eredità. Questa condizione è necessaria per finirla con il nichilismo, malattia tipica esclusivamente degli europei moderni, come intuiva Nietzsche, e interamente proveniente dalla mentalità giudeo-cristiana"
La Nuova Destra riconosce quindi, all'interno dell'alveo delle tradizioni europee, e non della Tradizione in senso evoliano, correnti storiche preponderanti, tra cui quella giudaico-cristiana, diade per loro inscindibile, che occorre superare con il recupero di un nuovo e "pluralistico", in senso anti-totalitario, paganesimo. Tutto nuovo? L'attacco contro le chiese (protestanti e cattoliche), la cosiddetta Kirchenkampf, a cui fu dato il via nella Germania hitleriana nel 1933, riprendeva il rinnovamento religioso patriottico che accompagnò il Kulturkampf (battaglia contro la cultura) in età bismarckiana. 

Due furono le correnti principali di questo rinnovamento religioso:
la prima, legata all'ideale "völkisch", dichiarava di volersi riallacciare alla tradizione ancestrale del culto germanico fondato sul riconoscimento di un rapporto diretto tra l'individuo e il Creatore. La società più famosa di questa corrente spirituale fu il Bund für teines Deutschtum, fondata nel 1894. L'idea sottostante era quella di germanizzare Cristo e, contemporaneamente, di nazionalizzare la chiesa. La seconda corrente, più radicale della prima, era costituita dai seguaci della Deutschreligion, chiesa formata da neopagani panteisti. 'Il cristianesimo, sostengono i "radicali", è una "disgrazia per il nostro popolo", perché "incita a una fuga dal mondo, mentre l'uomo germanico vuole abbracciare la vita con gioia e forza; esso rinnega la sua natura, l'amore sessuale, il matrimonio, la famiglia (...) rammollisce e spezza la volontà di lottare e il rigore del pensiero. Ha inoculato in noi delle rappresentazioni di Dio estranee, giudeo-orientali. Nell'anima dell'ariano vive un senso più puro e più limpido di Dio, della natura e della vita'. I più accaniti fautori della fede germanica si riuniscono in comunità all'interno delle quali "Cristo è sostituito da Sigfrido e Baldur, mentre, a partire dagli scritti di alcuni uomini tedeschi, viene compilata una 'Bibbia dei Germani'.
Idee nuove che hanno radici antiche.
Non sarà forse un caso che De Benoist sia ospite quasi fisso dei Giovani Padani, e non è un caso che i giovani padani amino culti nordici di varia natura, compresi eroi e divinità. Ma, forse, non è nemmeno un caso che gruppi nordici di fratellanza nazista considerino la Lega nord molto più vicina a loro di un qualsiasi movimento neo-fascista nostrano. Sillogismo per sillogismo.

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L'Europa tra piccole patrie e impero


"Quegli stessi che si gloriano di difendere la tradizione di un'Europa Imperiale e padrona della propria storia non intravedono altra via d'uscita al loro combattimento che all'ombra (o con l'appoggio) degli Stati Uniti. L'equivoco non potrebbe essere più profondo. Esso dimostra la debolezza spirituale di un'Europa pronta (persino nei suoi migliori elementi) a rifugiarsi dietro le apparenze fallaci di un preteso 'Occidente' o di un'inesistente solidarietà delle 'razze bianche'"
Per la Nuova destra le "patrie carnali", le nuove comunità federate, hanno un contorno statuale ben preciso: l'Europa come potenza terzoforzista (tra Asia e Americhe). Lo scontro in atto è per la Nuova Destra una lotta tra continenti e tra espressioni culturali portati storici di civilizzazioni differenti. 

In tutto questo "l'Europa… non dovrebbe essere confusa con l'"Occidente"…l'Europa non appartiene al campo occidentale… Bisogna finirla con questo termine di "Occidente", che… ci divide arbitrariamente dall'Est europeo e ci colloca nel campo americano… Noi siamo pronti a batterci per la difesa del continente e del modello europeo. Non ci batteremo per la 'difesa dell'Occidente'"
All'interno della tradizione nazi-fascista si sono da sempre confrontate e scontrate due linee guida: la prima, contraria allo stato-nazione, ha avuto come obiettivo di fondo la costruzione di un grande Impero europeo razziale, che ci ricorda un po' l'attuale progetto Euro-Asiatico, dominato dai popoli nordici, ma comprensivo, in forma subordinata, delle altre razze bianche inferiori, ovvero quelle mediterranee (italiche, ispaniche, greche..) e degli slavi europei. Era questo il grande progetto del Terzo Reich. La seconda trazione affonda invece le proprie radici nel nazionalismo di inizio secolo, che trovò poi sbocco conseguente dapprima nelle Grande Guerra del 1914 – 18 e poi nei fascismi europei, di cui quello italiano rappresentò la forma compiuta del progetto nazional-statale.
La Nuova destra ripercorre la prima strada innovandola in due sensi: il primo è quello federale, mentre il secondo è quello delle piccole patrie omogenee a democrazia diretta. 

Ma il contesto all'interno del quale popoli e nazioni autogovernate si muove è quello di un forte stato Europeo, armato, imperiale (gerarchico) ed essenzialmente chiuso. "In quanto tradizionalista (ossia in quanto fondante la mia comprensione del mondo sui lavori di René Guénon e di Julius Evola), l'Impero, l'idea di Impero, mi appare come la forma positiva e sacra dello Stato tradizionale. Al contrario ritengo che il nazionalismo non sia altro che una tendenza ideologica della modernità, sovversiva, profana, laica, orientata contro l'unità dell'ordine sopranazionale dell'Impero, della forma ecumenica. D'altra parte, in quanto russo, l'Impero mi sembra la forma di sovranità più adatta al mio popolo e ai suoi fratelli europei, il più naturale in fondo. Forse siamo, noialtri russi, l'ultimo popolo imperiale del mondo." Così precisava Aleksander Dughin, esponente di spicco della Nuova destra russa agli inizi degli anni 90 del secolo scorso in un convegno organizzato dal Grece a Parigi il 24 marzo del 1991. E sia Dughin che De Benoist conclusero affermando la "superiorità dell'idea che conserva la diversità a beneficio di tutti. Affermiamo il valore del principio imperiale." In questa grande Europa federale ci sono spazi per autonomie, popoli, piccole e grandi patrie, ma non c'è posto per i nemici ed uno di questi è rappresentato dagli Stati Uniti d'America e dal suo substrato culturale, ovvero l'americanismo: "Di fronte all'attuale americanizzazione, la linea di divisione attraversa (…) le famiglie intellettuali e politiche. Non c'è più né destra né sinistra, né maggioranza né opposizione. C'è il partito di coloro che accettano la sottomissione e il partito di coloro i quali non hanno dimenticato che, per un popolo, l'indipendenza è i vero nome della libertà (…) 

È un appello solenne alla resistenza che lanciamo. 

Di fronte all'imperialismo americano, di fronte ai 'collaborazionisti' dell'atlantismo, di fronte a coloro che lasciano morire la lingua francese, di fronte ai quei grandi specialisti delle relazioni internazionali che non sanno contare oltre il due, diciamo che l'unità dell'Europa si farà solo a partire da una presa di coscienza dello stato di subordinazione nel quale essa si trova. Diciamo che è tempo di gettare le basi di una dottrina Monroe europea, che è tempo che il Mediterraneo ridiventi un mare nostrum, che è tempo di affermare le prerogative della potenza continentale contro la potenza marittima. Diciamo che è tempo di innalzare una statua alla nostra libertà".

Nazione Europa, contrapposizione ad altri blocchi dominanti, ed in particolare a quello statunitense, rifiuto di ciò che proviene da oltremanica (forme culturali comprese), alleanza strategica con il Terzo mondo, alleanza militar-culturale, che non prevede alcuna forma di scambio, se non quella funzionale ad abbattere il livellamento americanizzante della nostra società. A leggere o rileggere queste cose, nettamente e concettualmente di destra, si trovano pezzi consistenti, se non addirittura maggioritari, della sinistra anti-globalizzazione, compresa anche quell'area sedicente antimperialista: antiamericanismo, che spesso si risolve in nazionalismi di varia natura, che qua e là appoggiano o sottovalutano governi criminali e piccoli imperialismi locali (Siria, Iran, Iraq di Saddam etc.); oppure nazionalismi europei di vecchia marca socialdemocratica, come quello che appoggia una rinascita potente e poderosa di un nuovo militarismo continentale, ovvero l'esercito europeo (comunisti italiani ed affini) da contrapporre all'imperialismo statunitense; oppure le piccole patrie europee, le nuove e vecchie autodeterminazioni locali o regionali, spesso segnate da un separatismo nazional-capitalistico ancor prima che linguistico e culturale (guarda caso quasi tutte le regioni che aspirano all'autonomia statuale sono anche quelle economicamente più ricche: Catalogna, Paesi Baschi, Slovenia, Croazia, Fiandre etc…). Sembra quasi che per combattere l'attuale forme di dispiegamento del capitalismo e le sue nuove forme di dominio non ci si possa che ridurre a ripercorrere strade già praticate, già sconfitte o che preludono a nuovi domini, a nuovi sfruttamenti ed a nuove sconfitte. In questo senso l'anarchismo sociale e rivoluzionario può ancora essere la più nuova tra le vecchie strade, proprio perché la discriminante che pone è sempre tra le varie forme di sfruttamento, qualsiasi siano i nomi che esse prendono, e di governo, comunque in ogni caso, e le forme di autorganizzazione sociale che fanno proprie, sperimentandole, forme e luoghi di autogoverno.

Pietro Stara (Umanità Nuova)



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