giovedì 23 ottobre 2014

Medio Oriente. Geopolitica ed il grande gioco sionista



 Nel giugno 2012, in occasione della Conferenza di Ginevra 1, che
doveva segnare il ritorno della pace e doveva organizzare una nuova
spartizione in Medio Oriente tra gli Stati Uniti e la Russia, la
Francia - che aveva appena eletto François Hollande - sancì
un’interpretazione restrittiva della dichiarazione finale. Poi
organizzò il rilancio della guerra, con l’aiuto di Israele e della
Turchia e il sostegno del Segretario di Stato Hillary Clinton e del
direttore della CIA David Petraeus.

 Dopo che Clinton e Petraeus erano stati eliminati dal presidente
Obama, la Turchia organizzò nell’estate del 2013, con Israele e la
Francia, il bombardamento chimico della Ghoutta presso Damasco
facendolo attribuire alla Siria. Ma gli Stati Uniti rifiutarono di
lasciarsi imbarcare in una guerra punitiva.

 A gennaio 2014, gli Stati Uniti fecero votare in una sessione segreta
del Congresso il finanziamento e la fornitura d’armi a Daesh con la
missione di invadere le aree sunnite dell’Iraq e la zona curda della
Siria, al fine di dividere questi grandi Stati. La Francia e la
Turchia armarono quindi Al-Qa’ida (il Fronte al-Nusra) affinché
attaccasse Daesh e costringesse gli Stati Uniti a tornare al piano
originale della Coalizione. Sebbene Al-Qa’ida e Daesh si siano
riconciliati a maggio a seguito di un appello alla calma di Ayman
al-Zawahiri, la Francia e la Turchia non partecipano ancora ai
bombardamenti alleati.

In generale, la Coalizione deli Amici della Siria, che comprendeva nel
luglio 2012 «un centinaio di Stati e organizzazioni internazionali»,
non ne comprende ora più di 11. La Coalizione contro Daesh raggruppa,
da parte sua, «più di 60 Stati», ma hanno talmente poco in comune che
il loro elenco resta segreto.

Interessi distinti

In realtà, la Coalizione è composta da numerosi Stati che perseguono
ciascuno obiettivi specifici e non riescono ad accordarsi sul loro
obiettivo comune. Si possono distinguere quattro forze:

 Gli Stati Uniti cercano di controllare gli idrocarburi della regione.
Nel 2000, il National Energy Policy Development Group (NEPDG)
presieduto da Dick Cheney aveva identificato - attraverso immagini
satellitari e dati di trivellazione - le riserve mondiali di petrolio
e aveva osservato le immense riserve del gas siriano. Durante il colpo
di stato militare del 2001, Washington decise di attaccare in
successione otto paesi (Afghanistan, Iraq, Libia, Libano e Siria,
Sudan, Somalia, Iran) per impadronirsi delle loro risorse naturali. Il
suo stato maggiore ha poi adottato il piano per rimodellare il «Medio
Oriente allargato» (che prevede anche lo smantellamento della Turchia
e dell’Arabia Saudita), mentre il Dipartimento di Stato ha creato
l’anno successivo il suo dipartimento MENA per organizzare le
"primavere arabe".

 Israele difende i suoi interessi nazionali: a breve termine, ha
continuato passo a passo la sua espansione territoriale.
Contemporaneamente e senza attendere di controllare l’intero spazio
tra i due fiumi, il Nilo e l’Eufrate, intende controllare tutta
l’attività economica della zona, tra cui beninteso gli idrocarburi.
Per assicurarsi la sua protezione nell’era dei missili, intende da una
parte prendere il controllo di una zona di sicurezza lungo la sua
frontiera (oggi ha cacciato le forze di pace al confine del Golan e le
ha sostituite con Al-Qa’ida) e dall’altra parte neutralizzare gli
eserciti egiziano e siriano prendendoli alle spalle (dispiegamento di
missili Patriot della NATO in Turchia, creazione di un Kurdistan in
Iraq e del Sud Sudan).

 la Francia e la Turchia continuano il sogno di restaurare i loro
imperi. La Francia spera di ottenere un mandato sulla Siria, o almeno
su una parte del paese. Ha creato l’Esercito siriano libero e gli ha
dato la bandiera verde, bianca, nera a tre stelle del mandato
francese. La Turchia, dal canto suo, intende restaurare l’Impero
Ottomano. Ha designato un wali fin da settembre 2012 per amministrare
questa provincia. I progetti turchi e francesi sono compatibili perché
l’Impero ottomano aveva ammesso che alcune sue province potessero
essere amministrate con altre potenze coloniali.

 Infine, l’Arabia Saudita e il Qatar sanno che non possono
sopravvivere se non servendo gli Stati Uniti e combattendo i regimi
laici, di cui la Repubblica araba siriana resta ormai l’unica
espressione nella regione.

L’evoluzione della Coalizione

Queste quattro forze hanno potuto collaborare solo durante la prima
parte della guerra, da febbraio 2011 a giugno 2012. Si trattava in
effetti di una strategia di quarta generazione: alcuni gruppi di forze
speciali organizzavano incidenti e agguati qui e lì, mentre le
televisioni atlantiste e del Golfo mettevano in scena una dittatura
alauita che reprimeva una rivoluzione democratica. Le somme investite
e i soldati schierati non rappresentano granché e ognuno pensava di
poter tirare un po’ la coperta su di sé una volta che la Repubblica
araba siriana fosse stata rovesciata.

Tuttavia, nei primi mesi del 2012, il popolo siriano ha cominciato a
dubitare che il presidente Bashar al-Assad torturasse i bambini e che
la Repubblica venisse rovesciata a favore di un sistema confessionale
di tipo libanese. La sede dei takfiristi dell’Emirato Islamico di Baba
Amr lasciava presagire la sconfitta dell’operazione. La Francia
negoziò allora l’uscita della crisi e la restituzione degli ufficiali
francesi che erano stati fatti prigionieri. Gli Stati Uniti e la
Russia negoziarono al fine di sostituirsi al Regno Unito e alla
Francia e di spartirsi l’insieme della regione, così come fecero
Londra e Parigi con gli accordi Syke-Picot del 1916.

Da quel momento, niente funzionava più nella coalizione. I suoi
successivi fallimenti dimostrano che non può vincere.

Nel luglio 2012, la Francia organizzava in pompa magna a Parigi
l’incontro più importante della Coalizione e rilanciava la guerra. Il
discorso pronunciato da François Hollande era stato scritto in
inglese, probabilmente dagli israeliani, e poi tradotto in francese.
Il Segretario di Stato Hillary Clinton e l’ambasciatore Robert S. Ford
(formato da John Negroponte) s’impegnavano nella più vasta guerra
segreta della storia. Come era già accaduto in Nicaragua, eserciti
privati reclutavano mercenari e li inviavano in Siria. Solo che
stavolta questi mercenari vebivano inquadrati ideologicamente per
addestrare delle orde jihadiste. La supervisione delle operazioni
sfuggiva al Pentagono per tornare in mano al Dipartimento di Stato e
alla CIA. Il costo di questa guerra fu enorme, ma non fu imputato al
Tesoro degli Stati Uniti, né della Francia né della Turchia, giacché
fu interamente coperto dagli esborsi dell’Arabia Saudita e del Qatar.

Secondo la stampa atlantista e del Golfo, qualche migliaio di
stranieri vennero e dare manforte alla "rivoluzione democratica
siriana." Ma non c’era nulla di una "rivoluzione democratica", bensì
gruppi di fanatici che scandivano slogan come «Rivoluzione pacifica: i
cristiani a Beirut, gli alauiti nella tomba!» [1] oppure ancora «No a
Hezbollah, no all’Iran, vogliamo un presidente che tema Dio!» [2].
Secondo l’Esercito arabo siriano, non sono state poche migliaia, bensì
250mila, gli jihadisti stranieri che sarebbero venuti a combattere, e
spesso a morire, dal luglio 2012 al luglio 2014.

Ora, il giorno dopo la sua rielezione, Barack Obama costringeva alle
dimissioni il direttore della CIA, il generale David Petraeus, e si
sbarazzava di Hillary Clinton durante la formazione della sua nuova
amministrazione. Cosicché all’inizio del 2013, la Coalizione si basava
quasi solo esclusivamente sulla Francia e la Turchia, con gli Stati
Uniti che facevano il meno possibile. Questo era ovviamente il momento
che aveva atteso l’Esercito arabo siriano per lanciare la sua
inesorabile riconquista del territorio.

François Hollande e Recep Tayyip Erdoğan, Hillary Clinton e David
Petraeus intendevano rovesciare la repubblica laica per imporre un
regime sunnita che sarebbe stato posto sotto il dominio diretto della
Turchia, ma che avrebbe compreso anche alti funzionari francesi. Un
modello ereditato dalla fine del XIX secolo, ma che non rappreentava
alcun interesse per gli Stati Uniti.

Barack Obama e i suoi due segretari alla Difesa, Leon Panetta e Chuck
Hagel sono guidati da una politica radicalmente diversa: Panetta è
stato espresso dalla Commissione Baker-Hamilton e Obama è stato eletto
sulla scorta del programma di tale Commissione. Secondo loro, gli
Stati Uniti non sono né devono essere una potenza coloniale nel senso
mediterraneo del termine, il che vale a dire che non dovrebbero
prendere in considerazione di controllare un territorio installandovi
dei coloni. L’esperienza dell’amministrazione Bush in Iraq è stata
estremamente costosa rispetto al suo ritorno sugli investimenti. Non
dovrebbe essere riprodotta.

Dopo che la Turchia e la Francia hanno cercato di impelagare gli Stati
Uniti in un vasto bombardamento della Siria, mettendo in scena la
crisi chimica dell’estate 2013, la Casa Bianca e il Pentagono hanno
deciso di riprendere il bandolo della matassa. Nel gennaio del 2014,
hanno convocato una riunione segreta del Congresso al quale è stata
fatta votare una legge segreta che approva un piano di divisione
dell’Iraq in tre parti nonché la secessione della regione curda della
Siria. Per far questo, hanno deciso di finanziare e armare un gruppo
jihadista in grado di realizzare ciò che il diritto internazionale
proibisce all’esercito statunitense: una pulizia etnica.

Barack Obama ei suoi armati non stanno prendendo in considerazione il
rimodellamento del "Medio Oriente allargato" come un obiettivo in sé,
ma solo come un mezzo per controllare le risorse naturali. Usano un
concetto classico, divide et impera, non per creare posizioni di re e
presidenti in nuovi Stati, ma per continuare la politica degli Stati
Uniti in vigore dai tempi di Jimmy Carter.

Nel suo discorso sullo stato dell’Unione del 23 gennaio 1980, il
Presidente Carter sanciva la dottrina che porta il suo nome:
Washington ritiene che gli idrocarburi del Golfo siano indispensabili
alla sua economia e gli appartengono. Pertanto, qualsiasi rimessa in
causa da parte di chiunque, in virtù di questo assioma, sarà
considerata «un attacco agli interessi vitali degli Stati Uniti
d’America, e un tale attacco sarà respinto con ogni mezzo necessario,
compresa la forza militare». Nel corso del tempo, Washington si è
dotata dello strumento di questa politica, il CentCom, e ha esteso la
sua zona riservata al Corno d’Africa.

Pertanto, l’attuale campagna di bombardamenti della Coalizione non ha
più alcun rapporto con l’obiettivo iniziale di rovesciare la
Repubblica araba siriana. Non ha rapporto alcuno con la sua vetrina di
"guerra al terrorismo". Essa punta esclusivamente a difendere gli
interessi economici dei soli Stati Uniti, se necessario con la
creazione di nuovi Stati, ma non necessariamente.

Allo stato attuale, il Pentagono è simbolicamente aiutato da qualche
aereo saudita e qatariota, ma non dalla Francia né dalla Turchia.
Rivendica esso stesso di aver condotto più di 4.000 sortite, ma di
aver ucciso soltanto poco più di 300 combattenti dell’Emirato
islamico. Se ci atteniamo al discorso ufficiale, ne risulta che per
uccidere un solo jihadista occorrono più di 13 missioni aeree e un
numero imprecisato di bombe e missili. Si tratterebbe perciò della
campagna aerea più costosa e più inefficiente della Storia. Ma se si
considera il ragionamento precedente, l’attacco di Daesh contro l’Iraq
corrisponde a una manipolazione dei prezzi del petrolio che li ha
fatti cadere da 115 dollari al barile a 83 dollari, ossia un calo di
quasi il 25%. Nouri al-Maliki, il primo ministro iracheno
legittimamente eletto, che vendeva la metà del suo petrolio alla Cina,
è stato subitaneamente stigmatizzato e rovesciato. Daesh e il governo
regionale del Kurdistan iracheno hanno ridotto essi stessi il loro
furto di petrolio e l’esportazione di circa il 70%. L’insieme degli
impianti petroliferi utilizzati dalle aziende cinesi sono stati
puramente e semplicemente distrutti. Di fatto, il petrolio iracheno e
il petrolio siriano sono sfuggiti agli acquirenti cinesi e sono stati
reintegrati nel mercato internazionale controllato dagli Stati Uniti.

In definitiva, questa campagna aerea è un’applicazione diretta della
"Dottrina Carter" e un monito al presidente Xi Jinping che tenta di
concludere, qua e là, dei contratti bilaterali di fornitura di
idrocarburi per il suo paese, senza passare per il mercato
internazionale.

Anticipare il Futuro

Da questa analisi possiamo concludere che:

 Nel periodo attuale, gli Stati Uniti sono disposti a condurre una
guerra solo per difendere il loro interesse strategico a controllare
il mercato internazionale del petrolio. Di conseguenza, possono andare
in guerra contro la Cina, ma non contro la Russia.

 La Francia e la Turchia non saranno mai in grado di realizzare i loro
sogni di ricolonizzazione. La Francia dovrebbe riflettere al ruolo che
l’AfriCom le ha assegnato sul continente nero. Essa può continuare a
intervenire in tutti gli stati che tentano di avvicinarsi alla Cina
(Costa d’Avorio, Mali, Repubblica Centrafricana) e riportare l’ordine
"occidentale", ma non sarà mai in grado di ripristinare il suo impero
coloniale. La Turchia dovrebbe ugualmente abbassare i toni. Anche se
il presidente Erdoğan riesce a fare un’alleanza contro natura tra i
Fratelli Musulmani e gli ufficiali kemalisti, dovrebbe abbandonare le
sue ambizioni neo-ottomane. Soprattutto, dovrebbe ricordarsi che
finché è un membro della NATO, il suo paese è più di ogni altro
suscettibile d’essere la vittima di un colpo di Stato
filo-statunitense, così come lo sono stati prima di lui il greco
Georgios Papandreou e il turco Bülent Ecevit.

 L’Arabia Saudita e il Qatar non saranno mai rimborsati dei miliardi
che hanno investito a fondo perduto per rovesciare la Repubblica araba
siriana. Peggio ancora, è probabile che dovranno pagare per una parte
della ricostruzione. La famiglia Saud dovrebbe continuare a soddisfare
gli interessi economici statunitensi, ma evitare di perseguire guerre
di grande ampiezza e considerare che - in qualsiasi momento -
Washington può decidere di partizionare la loro proprietà privata,
l’Arabia Saudita.

 Israele può sperare di continuare a giocare sotto il tavolo per
provocare nel medio termine l’effettiva divisione dell’Iraq in tre
parti. Otterrebbe così un Kurdistan iracheno paragonabile al Sud Sudan
che è stato già creato. È tuttavia improbabile che possa collegarvi
immediatamente il Nord della Siria. Allo stesso modo, è improbabile
che possa spodestare la missione UNIFIL nel Libano meridionale e
sostituirla con Al-Qa’ida come ha fatto con la missione UNDOF alla
frontiera siriana. Ma in 66 anni Israele ha preso l’abitudine di osare
molto spesso per ottenere ogni volta qualcosa in più. In realtà è
l’unico vincitore in questa guerra contro la Siria e all’interno della
Coalizione. Non solo ha indebolito il suo vicino siriano per lunghi
anni, ma è riuscito a costringerlo ad abbandonare il suo arsenale
chimico. Così è oggi l’unico Stato al mondo a disporre ufficialmente
sia di un arsenale nucleare sofisticato, sia un arsenale chimico e
biologico.

 L’Iraq è di fatto diviso in tre Stati separati di cui uno, il
Califfato, non potrà mai essere riconosciuto dalla Comunità
internazionale. Inizialmente, non vediamo che cosa impedirebbe la
secessione del Kurdistan, se non la difficoltà di spiegare per quale
incanto abbia aumentato il suo territorio del 40% in rapporto alla sua
definizione amministrativa, compresi i campi petroliferi di Kirkuk. Il
Califfato dovrebbe gradualmente lasciare il posto a uno Stato sunnita,
probabilmente governato da uomini che hanno ufficialmente "lasciato"
Daesh, ma in maniera meno crudele. Si tratterebbe in tal caso di un
processo paragonabile a quello della Libia, dove sono stati collocati
al potere veterani di Al-Qa’ida senza sollevare la minima protesta.

 La Siria gradualmente ritroverà la pace e si concentrerà sulla sua
lunga ricostruzione. Si rivolgerà allo scopo alle imprese cinesi, ma
terrà Pechino lontano dai suoi idrocarburi. Per ricostruire la sua
industria petrolifera e per sfruttare le sue riserve di gas, si
rivolgerà a imprese russe. La questione dei gasdotti che la
attraverseranno dipenderà dai suoi sostegni iraniano e russo.

 Il Libano continuerà a vivere sotto la minaccia di Daesh ma mai
l’organizzazione avrà un ruolo diverso da quello dei terroristi. Gli
jihadisti saranno solo un mezzo per congelare un po’ di più il
funzionamento politico di un paese che affonda nell’anarchia.

 Infine, la Russia e la Cina dovrebbero urgentemente intervenire
contro Daesh, in Iraq, in Siria e in Libano, non tanto per compassione
per le popolazioni locali, quanto perché questo strumento sarà presto
utilizzato contro di loro dagli Stati Uniti. Già ora, se Daesh è
controllata dal principe saudita Abdul Rahman, che finanza, e dal
califfo Ibrahim, che dirige le operazioni, i suoi ufficiali principali
sono georgiani, tutti membri dei servizi segreti militari, e talvolta
cinesi turcofoni. Inoltre, il ministro della difesa georgiano ha
ammesso, prima di smentirsi, di aver ospitato campi di addestramento
per jihadisti. Se Mosca e Pechino esitano, dovranno affrontare Daesh
nel Caucaso, nella valle di Ferghana, e nello Xinjiang.

Thierry Meyssan - Rete Voltaire

Traduzione
Matzu Yagi

Fonte
Megachip (Italia)

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