domenica 27 ottobre 2013

Cesio 137 nei mirtilli di provenienza bulgara


Un’indagine autonoma condotta dal giornale giapponese Shukan Asahi (poi confermata dall’autorità sanitaria giapponese) ha verificato la presenza di contaminazione da Cesio 137 nella confettura di mirtilli confezionata da una azienda  di Asiago.


I mirtilli, riporta l’articolo, sono di provenienza bulgara e viene evocata l’incidenza del fallout di Chernobyl.

Questo riscontro pone degli inquietanti interrogativi sulla circolazione degli alimenti radioattivi nella Comunità Europea e, ancor di più, a livello intercontinentale.


Il paradosso è che mentre ci preoccupiamo della eventuale provenienza di pesce contaminato dall’Oceano Pacifico giapponese sulle nostre tavole, una contaminazione supplementare va invece ad aggravare la situazione radioecologica dei cittadini giapponesi nel campo della catena alimentare, direttamente sui loro deschi.


E’ necessario capire come la circolazione di alimenti contaminati possa avvenire così liberamente e come dalla raccolta al confezionamento non ci siano controlli o come questi, eventualmente, possano essere aggirati.


In secondo luogo, indipendentemente dai valori – qualora questi fossero ricompresi in quelli di norma radioattiva previsti dalla leggi della Comunità Europea o qualora la dose di confettura per contaminarsi fosse “elevata” sulla base delle norme comunitarie ed internazionali -  è doveroso ricordare che il Cesio 137 non esiste in natura, essendo un prodotto dell’attività umana.


Sempre di più, quindi, – oltre ai controlli e alla verifica del rispetto delle norme e delle procedure correlate al trattamento e alla circolazione degli alimenti – è doveroso, necessario ed impellente, nei casi di riscontro di contaminazione da Cesio 137, analizzare il rateo fra Cesio 137 e Cesio 134 per capire se la contaminazione alimentare è riferita a fallout pregressi, o più recenti, senza doverla sempre ricondurre superficialmente o frettolosamente a Chernobyl (che diventa la panacea per tutti i fallout)  o senza correre il rischio (voluto o no?) di potere inavvertitamente rilevare o rivelare fallout più recenti e/o riferiti ad altre cause (come, forse, potrebbe essere per i cinghiali radioattivi o per situazioni più gravi o silenziate come il fallout “ignorato” di Rovello Porro del 1989 (vedi:http://www.progettohumus.it/public/forum/index.php?topic=2101.0).


E’, inoltre, scientificamente risaputo, che il danno da contaminazione è correlato all’azione costante delle basse dosi di radiazione nel tempo e che, quindi, il problema non è fissare a livello comunitario e internazionale delle norme di soglia massima, ma porre delle norme e dei controlli che assicurino una verifica altrettanto costante e puntuale dello stato radioecologico degli alimenti circolanti, ponendo soprattutto particolare attenzione alla selvaggina, ai funghi, ai frutti di bosco, ai prodotti caseari e della pesca correlandoli ad una attenzione ancor più rigorosa dei luoghi di provenienza, sulla base delle mappe delle ricadute globali o a macchia di leopardo, dei fallout di cui si ha certezza, come quello di Chernobyl o altri (Three Mile Islands, Sellafield, Cheliabynsk, Vandellos, Tricastin, Fukushima, ecc.).

Ne va della salute di tutti i cittadini, a livello mondiale.

I riferimenti all’articolo del Shukan Asahi sono a questo link:http://www.progettohumus.it/public/forum/index.php?topic=2154.0


Massimo Bonfatti

Presidente di Mondo in Cammino

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