lunedì 7 gennaio 2013

Verifica Storica - Non solo Gesù... nemmeno gli apostoli sono mai esistiti



Alfred Loisy, sacerdote cattolico francese (1857 - 1940), teologo esegeta di fama internazionale, docente di ebraico e Antico Testamento, propugnava la critica storica scientifica, applicata agli scritti neotestamentari, come primo metodo da seguire per la ricerca sulle origini del Cristianesimo. Con i suoi studi il biblista contestò la storicità della "Passione e Resurrezione di Cristo" dimostrando, inoltre, che Gesù non volle essere il fondatore di una nuova religione, tanto meno di alcuna Chiesa. L'esegeta cattolico, previa una corretta analisi filologica, si spinse ad affermare che Gesù, storicamente, fu un "Nazireo", non un "Nazareno", in quanto appartenente alla setta dei Nazirei, i consacrati a Dio che fecero voto di mantenere capelli e barba intonsi e astenersi dal bere bevande inebrianti (lo stesso voto di Sansone e, per i vangeli, di Giovanni Battista); pertanto l'identificazione intesa come "abitante di Nazareth" non era valida. In base agli scritti dello storico ebreo dell'epoca, Giuseppe Flavio, i Nazirei erano una setta di Giudei integralisti nazionalisti, avversari della dominazione pagana sulla terra d'Israele e, come tali, perseguitati sia dalla aristocrazia sacerdotale opportunista ebraica che dai Governatori romani o regnanti Erodiani. 

Come prevedibile, nel 1908 Loisy venne scomunicato dalla Chiesa Cattolica ...

Un biblista non deve limitarsi a comparare la documentazione evangelica con le testimonianze dei Padri della Chiesa per scoprire le numerose contraddizioni riscontrate nei testi dottrinali ad oggi pervenuti, ma il metodo più proficuo, ai fini dell’accertamento delle verità o delle falsificazioni, è quello di confrontare tali scritti e verificarne la corrispondenza attraverso analisi critiche più avanzate. Avvalendoci di informazioni comprovate contenute nella storiografia,escludiamo, inderogabilmente, l'utilizzo di qualunque congettura o ipotesi per cercare di "spiegare" determinate vicende descritte nei vangeli. Solo un presuntuoso sprovveduto può biasimare i documenti neotestamentari, fondamento della dottrina cristiana da oltre 1700 anni, limitandosi ad inventare teorie paradossali su cui costruire futili "verità" 

invece di basare le sue analisi su precise constatazioni di fatti realmente accaduti.

Per contro, anziché disquisire su cosa fecero o dissero Gesù, Apostoli e Maria Vergine - trattandosi di protagonisti oggetto di culto e descritti come autori di gesta, tanto mirabolanti quanto impossibili - primo dovere dei docenti di storia del Cristianesimo è quello di accertare che siano esistiti realmente indagando sui personaggi noti dell'epoca che, secondo i vangeli, risultano aver interagito con i "prodigiosi" Santi: uomini famosi, veri, e per questo rintracciabili nelle fonti trascritte, supportate da archeologia, filologia, epigrafi, numismatica. 

La ricerca critica testuale può verificare se la narrazione dei rapporti, intercorsi fra i Sacri interpreti della mitologia cristiana con le persone celebri di allora, si dimostra autentica, falsa o manomessa volutamente.

Tacito, Svetonio, Giuseppe Flavio, Cassio Dione, Plinio il Giovane, Esseni e Zeloti dei rotoli del Mar Morto, gli scribi patristi e molti altri, quando riportarono le cronache di allora, inconsapevolmente, hanno tramandato testimonianze, tali, che oggi permettono di ricostruire gli avvenimenti giudaici di duemila anni addietro e far luce sul vero messianismo (cristianesimo) primitivo del I secolo che dette origine, in epoca successiva, al mito di "Gesù Cristo".

La conoscenza degli eventi, tramite le fonti dell’epoca, ci consente di dimostrare la falsificazione di tutti gli “Atti del Sinedrio” di Gerusalemme (il Supremo Tribunale Giudaico) riportati nei Vangeli e in “Atti degli Apostoli” (le gesta di "Gesù", “san Pietro”, “san Paolo”, “santo Stefano”, ecc.). Ma la ricerca storiologica va oltre ed è in grado di scoprire il motivo delle mistificazioni e perché l’unico “Atto del Sinedrio” - a noi fatto pervenire nelle opere dello storico Giuseppe Flavio dalla morte di Erode il Grande sino al 66 d.C. - risulta essere soltanto quello di “Giacomo fratello di Gesù detto Cristo” ... rivelatosi manomesso dagli scribi cristiani, come proveremo nello studio seguente. 

Dagli “Atti” di un vero Sinedrio ebraico, mentre era in corso il “Processo a Gesù”, non sarebbe mai apparso che i Giudei osarono scagliare contro se stessi e i propri figli la maledizione riportata nei Vangeli (Mt 27,25):


“E tutto il popolo rispose: il suo sangue (di Gesù) ricada sopra di noi e i nostri figli”.

Un eminente sacerdote e principe ebreo, come Giuseppe, discendente dagli Asmonei e da Sommi Sacerdoti, così come tutti i Giudei di allora e di oggi, non avrebbe mai potuto riconoscere verosimile questo paradosso: gli Ebrei, dopo averlo osannato, fanno crocefiggere il proprio “Messia” divino e nel contempo si maledicono per l’eternità. L'evento, se per assurdo fosse accaduto, sarebbe stato di una tale gravità che lo storico sacerdote, ligio al proprio credo, l'avrebbe riferito nelle sue cronache, poiché, poco prima della distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. ad opera di Tito, figlio dell'Imperatore Vespasiano, provvide personalmente a recuperare gli Atti del Sinedrio insieme a tutti i documenti conservati negli Archivi Pubblici (fatto che dimostreremo più avanti).

La mancata citazione di ulteriori Atti del Sinedrio, da parte dello storico, ci porta ad indagare su “Atti degli Apostoli” e sui Vangeli perché quanto viene riferito in questi manoscritti, in ultima analisi, avremmo dovuto trovarlo negli Atti di un vero Sinedrio e riportati dall'ebreo nel XVIII Libro di “Antichità Giudaiche”: l'epoca di Gesù. 

E’ grazie alla storia che possiamo dimostrare l’insussistenza degli Apostoli, pertanto, apriamo il sacro testo, redatto dall’evangelista Luca che ne descrive le imprese miracolose, e diamo inizio al confronto tra il mito teologale della "Salvezza per la Vita Eterna" con ... il razionalismo storico.


Atti degli Apostoli

Dopo l’ascensione in cielo di Gesù, gli Apostoli, rimasti nella Città Santa, danno inizio alla diffusione della dottrina predicata da Cristo. Sotto il portico di Salomone e nelle piazze, emulando il loro “Maestro”, si esibiscono in guarigioni straordinarie, esaltano il popolo e attirano le folle delle città vicine “che accorrevano, portando malati e persone tormentate da spiriti immondi e tutti venivano guariti”. Il Sommo Sacerdote e i Sadducei, “pieni di livore”, li fanno arrestare con l’accusa di “aver predicato in nome di costui” (Gesù Cristo) e, convocato il Sinedrio di Gerusalemme, il massimo Tribunale giudaico, avviano l’atto processuale minacciando di “metterli a morte” (At 5,12-33):

“Si alzò allora nel Sinedrio un fariseo, di nome Gamalièle, Dottore della legge, stimato presso tutto il popolo. Dato ordine di far uscire per un momento gli accusati, disse: «Uomini di Israele, badate bene a ciò che state per fare contro questi uomini (gli Apostoli). Qualche tempo fa venne Theudas, dicendo di essere qualcuno, e a lui si aggregarono circa quattrocento uomini. Ma fu ucciso, e quanti s’erano lasciati persuadere da lui si dispersero e finirono nel nulla. Dopo di lui sorse Giuda il Galileo, al tempo del censimento, e indusse molta gente a seguirlo, maanch’egli perì e quanti s’erano lasciati persuadere da lui furono dispersi. Per quanto riguarda il caso presente, ecco ciò che vi dico: Non occupatevi di questi uomini (gli Apostoli) e lasciateli andare. Se infatti questa teoria o questa attività è di origine umana, verrà distrutta; (come avvenuto a Theudas e Giuda il Galileo) ma se essa viene da Dio, non riuscirete a sconfiggerli; non vi accada di trovarvi a combattere contro Dio!». Seguirono il suo parere e li rimisero in libertà” (At 5,34-40).

Tutti i personaggi descritti nel brano sono realmente esistiti all’epoca, anche il sacerdote Gamalièle il cui figlio diverrà Sommo Sacerdote del Tempio nel 63 d.C. (Ant. XX 213); ma, dopo attento esame, la prima considerazione da fare è che questo evento, se fosse veramente accaduto, si è verificato quando Re Erode Agrippa I era ancora vivo. 

Infatti, al momento del sermone di Gamalièle sono vivi tutti gli Apostoli e fra questi, oltre a Simone Pietro, ancheGiacomo il Maggiore il quale, secondo l’evangelista, verrà ucciso dallo stesso monarca (che regnò sulla Giudea dal 41 al 44 d.C.) prima di morire (44 d.C.). Seguiamo ora gli eventi accaduti in Giudea e descritti da Giuseppe Flavio nel libro “Antichità Giudaiche” (Ant. XX cap.V, 97/102):

97. “Durante il periodo in cui Fado era Procuratore della Giudea, (44-46 d.C.) un certo sobillatore di nome Theudas persuase la maggior parte della folla a prendere le proprie sostanze e a seguirlo fino al fiume Giordano. Affermava di essere un Profeta al cui comando il fiume si sarebbe diviso aprendo loro un facile transito. Con questa affermazione ingannò molti.

98. Fado però non permise loro di raccogliere il frutto della loro follia e inviò contro di essi uno squadrone di cavalleria che piombò inaspettatamente contro di essi uccidendone molti e facendone altri prigionieri; lo stesso Theudas fu catturato, gli mozzarono la testa e la portarono a Gerusalemme.

99. Questi furono gli eventi che accaddero ai Giudei nel periodo in cui era Procuratore Cuspio Fado (44 – 46 d.C.). 

100. Il successore di Fado fu Tiberio Alessandro (Procuratore dal 46 al 48 d.C.), figlio di quell’Alessandro che era stato Alabarca in Alessandria.

101. Fu sotto l’amministrazione di Tiberio Alessandro che in Giudea avvenne una grave carestia durante la quale la Regina Elena comprò grano dall’Egitto con una grande quantità di denaro e lo distribuì ai bisognosi, come ho detto sopra.

102. Oltre a ciò, Giacomo e Simone, figli di Giuda Galileo, furono sottoposti a processo e per ordine di Alessandrovennero crocefissi; questi era il Giuda che - come ho spiegato sopra - aveva aizzato il popolo alla rivolta contro i Romani, mentre Quirinio faceva il censimento in Giudea”.

Tali avvenimenti, separati fra loro da due o tre anni, sono la prova che il sacerdote Gamalièle non ha mai potuto pronunciare nel Sinedrio il discorso a difesa degli Apostoli perché in quello stesso momento il Profeta “Theudas” era ancora vivo. Infatti, facendo attenzione alle date, seguiamo la storia di Giuseppe Flavio:

- nel 44 d.C. muore Re Erode Agrippa I ma, essendo il figlio troppo giovane per governare, l’Imperatore Claudio decide di ricostituire la Provincia romana di Giudea, Samaria, Idumea, Galilea e Perea; di conseguenza …

- nel 44 d.C. gli fa subentrare, come Governatore della Provincia, il Procuratore Cuspio Fado che durante il suo incarico (44-46 d.C.) fa uccidere “Theudas”, la cui testa viene portata ed esibita in Gerusalemme come monito rivolto a chi volesse seguire il suo esempio;

- nel 46 d.C. il Procuratore Tiberio Alessandro sostituisce Cuspio Fado e, nel corso del suo mandato (46/48 d.C.), dopo un processo, dà l’ordine di crocifiggere Giacomo e Simone.

Pertanto, all’interno del Sinedrio convocato in seduta deliberante per decidere sulla sorte dei “dodici Apostoli”, da quanto abbiamo letto in “Atti”, come ha potuto l’evangelista Luca far dire a Gamalièle che “Theudas” era morto mentre Erode Agrippa era ancora vivo? ... e Cuspio Fado (che avrebbe poi ucciso Theudas), non era ancora subentrato ad Agrippa? 

Noi abbiamo constatato, semplicemente, che quel discorso era falso: Gamalièle non poté farlo perché Re Erode Agrippa e “Theudas” erano ancora vivi entrambi. Fu scritto in epoca successiva da uno scriba cristiano con lo pseudonimo “Luca” e lo mise in bocca a Gamalièle, importante membro del Sinedrio vissuto realmente, per discolpare, in un processo del Tribunale giudaico, gli Apostoli arrestati, fra cui Simone e Giacomo, dall’accusa di istigazione uguale a quella di Theudas, Giuda il Galileo e i suoi figli Giacomo e Simone; accusa che comportava la pena di morte da parte dei Romani. Ma, poiché il discorso era (ed è) una assurdità è evidente che non fu fatto, pertanto era falso sia l’arresto che l’assoluzione, perciò, a quella data, nessuno degli Apostoli era stato arrestato. 

Al contrario, al verso 102, come sopra abbiamo letto in “Antichità”, sia Giacomo che Simone, figli di Giuda il Galileo, “furono sottoposti a processo” e fatti giustiziare: quindi colpevoli e non più latitanti (nel 46/48 d.C., dopo la morte di Erode Agrippa).


Contrariamente a quanto evidenziavano le vicende concrete, il vero scopo di san Luca era far apparire ai posteri che il Sinedrio aveva assolto gli “Apostoli”, fra cui Giacomo e Simone, dall’accusa, così come articolata in ipotesi da Gamalièle, di essere equiparati ai Profeti rivoluzionari Giuda il Galileo, i suoi figli Giacomo e Simone e Theudas. Imputazione, come abbiamo visto, fatta "smontare" da un Gamalièle che, nella realtà, non avrebbe potuto prevedere la morte improvvisa di Re Agrippa I, né l'incarico del Procuratore Cuspio Fado, né che questi avrebbe poi ucciso Theudas.  

Tale “Atto del Sinedrio”, inventato e riportato in “Atti degli Apostoli”, convocato mentre Erode Agrippa era ancora vivo, è una falsificazione tesa a fugare ogni dubbio sulla condotta zelota degli “Apostoli”, dissociandoli dai sobillatori Theudas e Giuda il Galileo, e ad introdurre l’altra menzogna correlata: la “fuga” dal carcere di Simone Pietro per l'intervento di un angelo di Dio (sic! At 12,7) nonché l’uccisione di Giacomo, falsamente addebitata al Re da “l’evangelista” impostore.

Risultato: un falso Atto del Sinedrio non poteva che essere nullo, pertanto la sua datazione e il suo scopo erano e sono nulli. Ne consegue che introdurre in “Atti degli Apostoli” un finto Atto del Sinedrio di Gerusalemme, il Supremo Consiglio del Sommo Sacerdote del Tempio, con funzioni giudiziarie e amministrative (pur se asservito al potere imperiale di Roma), operante nel I secolo, è un reato cui si deve rispondere di fronte alla storia.

Luca non si sbagliò ma fu costretto ad inventare questo "Atto del Sinedrio" perché voleva impedire l'identificazione di un apostolo con lo stesso nome di uno dei fratelli di Gesù. Inoltre doveva nascondere la relazione che intercorreva fra gli altri apostoli - con l'identico appellativo dei restanti fratelli di Cristo - e Giuda il Galileo, famoso capo della rivolta popolare giudaica, nel 6 d.C., contro la dominazione di Roma. A tale scopo citò Gamalièle, un noto fariseo Dottore della Legge (ricordato più volte da Giuseppe Flavio ma defunto da molte generazioni), per fargli testimoniare il falso sia su Theudas che su Giuda il Galileo, dal momento che quest'ultimo morì prima del Profeta e non "dopo di lui sorse Giuda".                 

Oltre a fungere da "testimonianza", fu spacciato per vero un "giudizio" di assoluzione emesso nel corso di un"processo", istruito appositamente nell'ambito del Sinedrio, poichè lo scriba redattore di "Atti" aveva letto "Antichità Giudaiche" di Giuseppe Flavio ed al verso 102, come abbiamo visto sopra, é riferito che "Giacomo e Simone, figli di Giuda il Galileo, furono sottoposti a processo". 

Pertanto, l'astuto evangelista celebrò un finto "contro processo" apposta per diversificare gli eventi ed impedirne la sovrapposizione grazie alla "assoluzione" degli apostoli Giacomo e Simone; in contrasto agli omonimi Zeloti, Giacomo e Simone, i quali, viceversa, furono condannati alla crocefissione. Lo scriba cristiano, infatti, sapeva bene che entrambi gli apostoli erano anch'esssi "Zeloti" ... e fra poco lo verificheremo anche noi.


Uno studioso che, seguendo la narrazione dello storico ebreo, giunge ai paragrafi dal 97 al 102 del XX Libro di “Antichità”, laddove si parla di Theudas e di Giacomo e Simone, i due figli di Giuda il Galileo, si rende conto che sono versi manomessi e il 101 addirittura interpolato per intero, ossia “incollato” in quel punto del Libro. 

Esso si richiama ad una gravissima, luttuosa, carestia che afflisse i Giudei, già descritta dettagliatamente dall’ebreo qualche capitolo prima, la cui datazione era vitale per la dottrina cristiana: avrebbe permesso di individuare l’anno in cui fu giustiziato “Gesù”, le cause e il contesto storico che provocò l'evento. 

Nell'argomento VIII dimostriamo la falsificazione della carestia riportata anche in "Atti degli Apostoli" e in "Historia Ecclesiastica" di Eusebio di Cesarea.


Ma procediamo per gradi e ritorniamo al testo di Giuseppe Flavio sopra riportato di (Ant. XX 97/102) sottoponendolo ad una analisi filologica. Notiamo che Giacomo e Simone erano due veri appellativi giudaici indicati col  patronimico, mentre "Theudas" non era un nome bensì un attributo che nel greco antico (koiné) voleva dire “Luce di Dio”. 

Esso rende l’idea di una traduzione corretta dall'aramaico (Giuseppe scrisse le sue opere in tale idioma poi ne curò la versione in greco) ma non è accompagnato dal nome proprio né da quello del padre quindi non identificabile come dato storico da tramandare ai posteri; pur essendo evidente che si trattava di una persona importantissima se i Romani portarono la sua testa, nientemeno, dal fiume Giordano sino a Gerusalemme per esibirla alla popolazione come mònito.L’anomalia di questo attributo senza nome e senza patronimico è condivisa sia in “Atti degli Apostoli” (lo abbiamo visto col discorso di Gamalièle) che dal Vescovo Eusebio di Cesarea (IV sec. d.C.), il quale, unico storico oltre all'ebreo, riporta l'episodio esattamente come lo abbiamo letto sopra nella sua “Historia Ecclesiastica” (II cap. 3°,11); e questo importante dato, già da solo, ci consente di dimostrare quale fu la mano del falsario.

Grazie alla carica di rilievo e all’influenza che esercitò sull’Imperatore Costantino e la sua Corte, Eusebio fu il primo cristiano ad aver la possibilità di accedere agli Archivi Imperiali e fece manomettere gli scritti di Giuseppe Flavio allo scopo di impedire l'identificazione dei veri protagonisti evangelici.

Fra le centinaia di appellativi giudaici dell'epoca, con il patronimico aggiunto obbligatoriamente al nome proprio per identificare le persone, l'unico da eliminarsi era quello di Giuda il Galileo. Qualsiasi altro sarebbe stato lasciato  nella cronaca ... tranne quello del fondatore, il 6 d.C., della "quarta filosofia zelota" (così la chiamò lo storico), nazionalista rivoluzionaria, che propugnava l'uso della forza per liberare la terra d'Israele dall'occupazione romana ed eliminare le caste sacerdotali, opportuniste corrotte, così come quelle dei ricchi privilegiati ebrei.

I copisti amanuensi cristiani non potevano lasciare intatte, in un documento storico, descrizioni di vicende che, una dopo l'altra, vedevano come protagonisti tre uomini, giustiziati dai Governatori imperiali, con i nomi corrispondenti a quelli di tre fratelli di Gesù (stiamo per verificarlo), per di più risultanti figli di colui che fu Capo degli Zeloti; di conseguenza fecero passare il titolo "Theudas" come se fosse un nome, dopo aver cancellato quello vero, ma, senza rendersene conto, firmarono la contraffazione con le proprie mani quando scrissero "sobillatore di nome Theudas"* nel testo originale greco. Basta rileggere i brani storici su riportati per verificare che l'ebreo Giuseppe Flavio ha citato i diversi protagonisti direttamente col rispettivo appellativo, senza mai specificare "di nome": sarebbe stato superfluo in quanto già "nomi". La necessità di evidenziare un attributivo come "nome" dipese proprio dal fatto che non lo era.
*  Il lemma originale giudaico, che Giuseppe Flavio tradusse in greco con "Luce di Dio", significava "Uriel" אוּרִיאֵל

Nessun giudeo dell'epoca si chiamava così perché nella mitologia ebraica (cfr Bellum V 388) era l'angelo che, con la spada fiammeggiante di Dio, fece strage (185.000 uomini) di Assiri: l'intero esercito di Re Sennacherib il quale, dopo aver invaso il regno di Giuda, teneva sotto assedio Gerusalemme. Non fu un caso se il sedicente profeta Giuda "Theudas" adottò come soprannome un titolo divino che per quella gente personificava la suprema giustizia vendicativa di Yahwè contro gli aggressori della Terra Promessa al Suo popolo. Il santo appellativo calzava perfettamente con gli intenti degli Zeloti ... ma Cuspio Fado non era un seguace del Credo israelita e, abbiamo letto, "Uriel" non lo impressionò affatto. 
   
Del resto, la leggenda semitica è un adattamento in chiave religiosa di un verosimile episodio bellico, accaduto nel 701 a.C., testimoniato da una tavoletta d'argilla trovata nel palazzo reale di Ninive e conservata presso il British Museum.
In essa si riporta, più realisticamente, che "i capi dei Giudei pagarono 30 talenti d'oro e 800 d'argento oltre un immenso bottino" al Re Sennacherib per togliere l'assedio a Gerusalemme ... và da sè che le gesta dei "santi" eroi dell'Antico Testamento sono soltanto una leggenda alla pari degli altri miti.  


Riguardo a Giacomo e Simone rileviamo che manca la motivazione per cui, una volta processati, furono condannati alla crocefissione; non era infatti sufficiente la semplice discendenza da Giuda il Galileo, come imputazione, perché si sarebbe violata la legge romana (innanzitutto) e quella ebraica. Tanto più la prassi voluta dal diritto romano imponeva l'iscrizione del reato su di un cartello appeso al collo del giustiziato e l'evento successe quando lo storico Giuseppe Flavio aveva dieci anni. Inoltre, dal modo estemporaneo con il quale viene introdotto il par. 102 (basta rileggerlo) risulta chiaro che lo storico ebreo ha già parlato in un precedente passo delle gesta di entrambi gli Zeloti poiché vengono citati come fossero già conosciuti.
La motivazione della discendenza, peraltro, sarebbe valsa subito anche per "Menahem", il cui vero nome, lo dimostreremo, era Giuseppe, ultimo figlio di Giuda e fratello minore di "Jeshùa", il quale morirà molto tempo dopo in circostanze precise ma non a causa della discendenza dal fondatore dello zelotismo. Giuseppe non poteva risultare fra gli "Apostoli" perché, all'epoca di "Gesù" adulto, era troppo giovane per essere riconosciuto capo carismatico in grado, con le sue profezie, di trascinare uomini disposti a rischiare la vita per un ideale nazional religioso.

Lo stesso vale anche per Theudas: il semplice fatto che “sobillasse” i suoi seguaci ad attraversare il Giordano per i Romani non aveva alcuna importanza, perciò anche questo dimostra che la notizia originale è stata successivamente mutilata da scribi copisti come l'altra riguardante Giacomo e Simone. Ma perché “l’evangelista Luca” era talmente interessato a lui al punto di farlo dichiarare morto, da Gamalièle, anteriormente a Giuda il Galileo? Semplice: conosceva chi fosse realmente perché aveva letto “Antichità Giudaiche” prima che venissero censurate dagli amanuensi e, così come vi trovò scritto che i seguaci del Profeta erano quattrocento *, al contempo seppe che era figlio di Giuda il Galileo, ma, facendo risultare che muore prima di lui, egli non potrà mai essere identificato come suo figlio.

* Lo scriba falsario commise l'ingenuità di riportare questo dato storico preciso in "Atti degli Apostoli", pur essendo destinato ad essere modificato in "Antichità". Uno "squadrone di cavalleria" romana consisteva di 120 cavalieri, i quali, ben addestrati ed equipaggiati con armamento pesante, piombarono sugli Zeloti ed il suo capo massacrandoli agevolmente.  

La lettura comparata fra i vangeli con le fonti storiografiche dell'epoca ci consentirà, procedendo nello studio, di individuare nel famoso Capo Zelota il reale padre di "Jeshùa". Ma non basta, la verità é definitivamente venuta a galla con la scoperta di Gàmala, la città di Giuda il Galileo, un potente Dottore della Legge che rivendicava il diritto a divenire Re dei Giudei, come riferito da Giuseppe Flavio (Ant. XVII 272).

Le analisi appena fatte vengono confermate dalla realtà archeologica nonché dalla descrizione di Gàmala dello storico ebreo la quale corrisponde esattamente alla narrazione dettagliata di Nazaret che ritroviamo in tutti i vangeli; al contrario, la città attuale di Nazaret non ha nulla che coincida con la sua esposizione riferita in tali documenti.
Si può prendere visione della dimostrazione pubblicata nella ricerca successiva.
 
Grazie a questi studi si sta evidenziando una realtà storica in contrasto con la nuova teologia, il cristianesimo come lo conosciamo oggi, evolutosi da una dottrina primitiva filo giudaica zelota che postulava una figura diversa di Messia ... e i primi ad esserne consapevoli, ovviamente, furono gli stessi "Padri" creatori della religione riformata.
Ecco perchè l’evangelista sapeva che il nome del “Profeta Theudas” era “Giuda”, ma in “Atti” lo chiamò “qualcuno” per evitare che l’attributo “Profeta” potesse essere collegato ad “Apostolo”. Allora diamo un’occhiata agli “Apostoli”.

 Nominativi e qualifiche degli Apostoli nei vangeli canonici

Vangeli di Matteo e
  Giovanni “detto Marco”
Vangelo di
Luca
Vangelo di
Giovanni
Atti degli Apostoli
di Luca
 Simone Kefaz (pietra), Barionà
 Simone, detto Pietro, il Galileo
 Simone, detto Pietro (il Galileo)
 Simone, detto anche Pietro
 Andrea, fratello di Simone
 Andrea, fratello di Simone
 Andrea, fratello di Simone
 Andrea
 Giacomo di Zebedeo: boanerghés
 Giacomo di Zebedeo  (boaner)
 Giacomo di Zebedeo (boaner)*
 Giacomo (boanerghès)
 Giovanni suo fratello: boanerghés
 Giovanni fratello di Giacomo  
 Giovanni di Zebedeo (boaner)*  
 Giovanni  (boanerghès)
 Filippo
 Filippo
 Filippo
 Filippo
 Bartolomeo
 Bartolomeo
-
 Bartolomeo
 Matteo il Pubblicano (Mt 10, 3)
 Matteo o Levi, un Pubblicano
-
 Matteo
 Tommaso
 Tommaso
 Tommaso detto Didimo
 Tommaso
 Giacomo di Alfeo
 Giacomo di Alfeo
                              -
 Giacomo di Alfeo
 Thaddaeus (Taddeo) é Theudas 
 Giuda di Giacomo, zelota 

 Giuda, non l'Iscariota

 Giuda (fratello) di Giacomo
 Simone il cananeo, figlio di Cleofa
 Simone lo zelota
 Simone iscariota
 Simone lo zelota
 Giuda iscariota
 Giuda iscariota
 Giuda figlio di Simone iscariota
 Mattia


 Natanaele di Cana
 Saulo (Paolo)


 Il discepolo che "Gesù" amava:
 Giovanni (boanerghés)



Il vangelo di Giovanni, come concorda la maggioranza dei biblisti, era già concluso al verso 30 del 20° capitolo, e in esso non risultano mai i due apostoli Giovanni e Giacomo. Soltanto nel 21° e ultimo cap. (Gv 21,2), aggiunto in epoca posteriore, dopo la resurrezione di Cristo leggiamo: "...i figli di Zebedèo..." e basta. L'apostolo "Giovanni" non compare mai nel vangelo di Giovanni col risultato che "Giovanni" non conosce se stesso, neanche come apostolo, da qui la necessità di aggiungere un secondo finale, al verso 25 del cap. 21, ottenendo un doppione del precedente (Gv 21,2).
Come dimostreremo con le prossime analisi, il nome "Giovanni" non appare perché é Lui il Messia, "coperto" da un avatar inventato lasciato senza nome con l'intento di farlo sopravvivere alla sua morte: "il discepolo che Gesù amava".  
Nella tabella constatiamo che l'apostolo Taddeo, "Taddaios" (in greco) "Thaddaeus" (in latino), è presente solo nei vangeli di Marco e Matteo ma, nelle rispettive lingue, era un nome inesistente nel I secolo; inoltre la loro similitudine poteva costituire una guida utile agli storici nel ricercare una corrispondenza con "Theudas" e, dopo averla intuita, sovrapporre il Profeta giudeo all'apostolo cristiano. Consapevole del rischio, nella tabella osserviamo che Luca ignora di proposito la scelta dei “Dodici” voluta da Cristo, secondo Matteo e Marco, e chiama Thaddaeus (Theudas) col suo vero nome:“Giuda di Giacomo” 
“Giuda di Giacomo. Tutti erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i suoi fratelli” (At 1,13-14).
Il brano lucano, riferito a "Giuda di Giacomo", non indica relazione di parentela, sebbene, nella "Lettera di Giuda" (1,1) lo stesso apostolo si definisca "fratello di Giacomo". E' questa "fratellanza", inaccettabile dalla propria dottrina, il vero motivo per cui la Chiesa oggi "dubita della sua autenticità", accampando ragioni diverse ma pretestuose, seppure si parli di più fratelli di "Gesù". Essa ha scelto recentemente, fra i tanti codici manoscritti in Suo possesso, quelli che riportano "Giuda figlio di Giacomo", fingendo di ignorare che altri amanuensi "testimoniarono" sul Codice Sinaitico "Giuda fratello di Giacomo" e, al contempo, fratello di "Gesù", stando al vangelo (in seguito epurato), letto nel IV secolo dal Vescovo Eusebio di Cesarea, in base al quale il prelato dichiarò nella sua "Historia Ecclesiastica" (3,20): "Giuda, dettofratello del Signore secondo la carne". Testimonianze significative - ma pericolose per "l'Immacolata Concezione" unigenita della Madonna, Madre di Dio- da smentire con forzature impudenti come quella del vangelo di Giovanni (Gv 6,71), ove spunta fuori un "Giuda, figlio di Simone Iscariota" col risultato che anche suo fratello Giacomo sarebbe figlio di Simone Iscariota.
Fra poco capiremo bene il movente che indusse i copisti cristiani a manomettere l'identità di questi "Giuda".
 
* La "Vergine Maria", sarà considerata "Madre di Dio" (Theotòkos - Lc 1,43) nel Concilio di Efeso del 431 d.C. con delibera imposta da san Cirillo; un secolo dopo la morte di Eusebio di Cesarea.

Alcuni codici anziché "Taddaios" (Taddeo) riportano "Lebbaios" (Lebbeo), altri fondono, senza alcun senso in quanto diverse, le due designazioni in "Lebbeo soprannominato Taddeo", o viceversa. Fin qui si dimostra solo l'esigenza di modificare "san Taddeo" allontanadolo da un "Thaddaeus" troppo simile al vero "Theudas".
Ma la ricerca chiarisce definitivamente queste manomissioni quando in manoscritti vetero latini, a loro volta ripresi da vangeli greci arcaici, leggiamo che "Thaddaeusè chiamato "Giuda Zelota", come risulta nei codici contrassegnati secondo l'ordine dello "Apparato Biblico" nelle versioni vetus latinae "a,b,g,h,q": a= vercellensis; b= veronensis; g= sangermanensis (Paris); h= claromontanus (Roma Vat.); q= monacensis (Monaco).
Quello che oggi viene definito come "Apparato Critico Biblico" consisteva di un elevato numero di vangeli, modificati ripetutamente sin dall'inizio, tradotti molti secoli addietro dal greco e trascritti in latino per essere diffusi in Europa, durante e in seguito la disgregazione dell'Impero Romano, allo scopo di soppiantare le credenze religiose autòctone  illudendo quei popoli con la promessa della resurrezione dopo morti.

Stabilito che "Thaddaeus" nella realtà era "Theudas" - dal significato "Luce di Dio", un titolo riconosciuto ad un sedicente Profeta di nome Giuda - ritornando al "Giacomo" su richiamato, notiamo che Luca in "Atti degli Apostoli" non sente il dovere di specificare a quale “Giacomo” si riferisce, dei due che nomina in tale documento, e ciò significa che in origine c’era un solo Giacomo.
Infatti in "Atti" non vediamo mai questi due "Giacomo" interagire affiancati e, fatto gravissimo, non viene riportato il"martirio" di Giacomo il Minore (il secondo): ne accertiamo la causa tramite apposita successiva indagine in cui si dimostra l’inesistenza di Giacomo detto “il Minore” o “il Giusto”. Infine, cadendo nel banale come abbiamo appena visto con Giuda, i vangeli accreditano anche questo “Giacomo” di troppe paternità (Alfeo, Clopa, Zebedeo e Cleofa) per poter essere giustificato storicamente come persona reale.

Procediamo con l'analisi testuale evidenziando che Taddeo, ovvero Taddaios in greco e Thaddaeus in latino, erano nomi inesistenti in quelle lingue nel I secolo (verificare consultando i rispettivi vocabolari); furono traslazioni volutamente errate da un idioma all’altro per impedire l’identificazione dell'apostolo "Thaddaeus" col "Profeta Theudas" di nome Giuda, fratello di Giacomo, a sua volta fratello di Giovanni e di Simone, chiamati anche Boanerghès. O meglio, se leggiamo l’insieme dei fratelli riportati nei Vangeli, risulta:
“Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, Ioses (Giuseppe), di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui con noi?” (Mc 6,3);“Non è forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone eGiuda? E le sue sorelle non sono tutte fra noi?” (Mt 13,55-56).

Sono tutti nomi di stretta tradizione giudaica ai quali manca “Giovanni” (uno dei "boanergès"), indicato con “costui” perché, come stiamo per rilevare, è lui il soggetto di cui parlano i Giudei. Se fosse stato un qualsiasi ebreo di nome “Gesù” (Jeshùa) lo avrebbero chiamato in questo modo, senza problemi, come per i suoi fratelli; inoltre,violazione gravissima al costume giudaico, non viene identificato con il patronimico bensì col nome della madre: è evidente che, oltre il Suo, non doveva risultare neanche il nome del padre. Se i passi di “Marco” e “Matteo” li avesse scritti un vero testimone ebreo avrebbe riferito così:
“Non è Gesù, figlio di (bar) Giuseppe il carpentiere, il fratello di Giacomo, Giuseppe, di Giuda e di Simone?”.

Come sopra abbiamo visto, Giuda il Galileo era padre di Simone e Giacomo ma, essendo questi fratello di Giuda Thaddaeus (vedi tabella), ovvero Giuda Theudas, ciò significa che Giuda il Galileo era anche suo padre.

Poiché Giuda il Galileo fu capo degli Zeloti, il movimento ebraico estremista violento, gli evangelisti hanno dovuto individuare i fratelli di Gesù con il matronimico anziché col vero nome del genitore.
Lo scriba cristiano, altrònde, non poteva far nominare “Gesù” ai Giudei in quanto "Jeshùa" è inteso nei vangeli come "Salvatore Divino", quindi non riconosciuto da Ebrei in "Attesa" del loro Messia Salvatore, al contrario degli evangelisti che hanno creduto nel Suo "Avvento" in epoca storica successiva. Invero, se fosse stato il "Gesù Cristo" mirabile, come ci è stato inculcato oggi, i suoi paesani non l'avrebbero certo indicato come un semplice "carpentiere". Infine, il primo a non chiamarsi mai "Gesù" fu proprio Lui: in nessun vangelo Cristo afferma di chiamarsi "Gesù", ecco perchè non poteva essere il Suo vero nome (la analisi sul doppio significato del nome "Gesù" è pubblicata nell'XI argomento). 

E' doveroso evidenziare che nel "Novum Testamentum Graece et Latine", A. Merk - Roma - Pontificio Istituto Biblico, anno 1933, in una nota a fondo pagina, il curatore, sacerdote gesuita Agostino Merk, riferì che alcuni codici latini - classificati, D R (Epm E Q) ed altri greci classificati, S D 565 1424 1207 MUss 472 280 Ass V, risalenti al IX secolo - nel brano ora citato di Matteo (Mt 13,55-56) tra i fratelli, figli di Maria, è presente anche "Iohannes" "Iωαννης" (Giovanni). Tali codici, da secoli utilizzati per indottrinare i popoli di mezza Europa, sono stati contrassegnati con un asterisco (*) a significare che "non sono attendibili". Ecco perché.


I lettori si saranno già resi conto del motivo per cui gli esegeti ecclesiatici della "Divina Provvidenza", vere eminenze grige nascoste, furono costretti a fare una cernita fra i manoscritti (eliminando quelli che includevano Giovanni dall'insieme dei figli di Maria) quando capirono che bastava sottrarre dal totale dei figli di Maria, riferito nei codici "non attendibili" di Matteo, l'insieme dei fratelli citati nel vangelo di Marco (che indica "Gesù" con "costui"), per capire che "Gesù" (il cui vero significato è "Salvatore") era il nome di Giovanni.
Al fine di impedirne l'identificazione con "Gesù", gli amanuensi decisero di depistare i credenti assegnando al fratello "Giovanni" un padre chiamato "Zebedeo" ed un solo fratello: Giacomo. Ma di "Giacomo", fra gli apostoli, ve ne sono due: Giacomo il Maggiore e Giacomo il Minore. 


Il problema, ancora irrisolto per la Chiesa, é conoscere il nome del padre di Giacomo il Minore, il martirio del quale non è riportato in "Atti"; un aspetto gravissimo che depone a sfavore delle testimonianze di tutti gli evangelisti i quali avrebbero dovuto distinguerli ... se fossero esistiti due "Giacomo". 


Emilio Salsi

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