giovedì 24 maggio 2012

Verona Romana - "Qualcosa su Verona me la fate dire?"

Teatro Romano di Verona, ai piedi del Colle di San Pietro

Qualcosa su Verona me la fate dire?

Si dice "il primo amore non si scorda mai" ed è vero. La prima città che ho sentito mia, che ho intimamente amata ed in cui, malgrado tutto, mi son sentito accolto, è stata Verona. Qualcuno potrà obiettare "ma come, non sei nato a Roma? Non hai amato Roma?".. E no, non l'ho amata, l'ho sempre sentita un luogo ed una comunità estranea, almeno sino al 1974, anno in cui -da poco tornato dal mio primo viaggio in India- sentii che qualsiasi luogo potesse essere la mia casa.. Fu allora che riconobbi Roma. Ma ciò avvenne solo perchè non facevo altro che meditare tutto il giorno e girovagare a piedi nei luoghi più magici della città eterna.

Con Verona è stata un'altra cosa, fu un abbraccio emozionale, quando la scelsi come mia dimora, ero adolescente, scappavo da Roma e volevo vivere in un modo libero e umano. Ed a Verona, trovai quel che cercavo, luoghi a misura d'uomo, amicizie, amori... Certo venivo sempre etichettato come "terrone".. ma dagli amici con un sorriso e dai nemici con "timore". Tant'è che in tutti gli anni in cui vissi a Verona, in cui vi impiantai le basi di un vivere libero e fuori dagli schemi, continuai a parlare con un leggero accento romanesco, così per sfizio, per "vezzo" come dicevo allora.

Ovviamente la parte di Verona che maggiormente amai ed in cui soggiornai più piacevolmente fu proprio la parte antica, quella che portava ancora la memoria di Roma. Il "Circolo Ex", la mia prima associazione, ed una delle primissime in Italia, in cui si celebrava la vita, la cultura, l'arte e la trasgressione in tutti i sensi, aveva sede in Piazzetta San Marco in Foro, quello cioè che era stato il Foro Romano.

Beh, qui però mi fermo non voglio raccontare troppo per non perdere di vista l'argomento dell'articolo che segue.

Paolo D'Arpini


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Il piano di fondazione di Verona Romana


Umberto Grancelli ne Il Piano di fondazione di Verona romana svela il volto dimenticato e sconosciuto di una città magica, espressa dalle proprie misure sacre, dagli antichi riti, dagli allineamenti astronomici, ma, soprattutto, lasciando che le pietre stesse ci parlino, oltre le scontate geometrie legate al cardo e al decumano, sebbene la forma reticolare colpisca al primo sguardo e le strade principali seguano gli assi cartesiani dove l’organismo cittadino ordinario troverà la sua forma palese.

Spingendosi più in profondità, una geometria occulta ci è allora lentamente svelata, concepita per restare immutata nei secoli, così che nessuno ha potuto scalfirla, tenendosi sottotraccia e mantenendo l’equilibrio dell’eterna tensione del cerchio e del quadrato. La parte “razionale”, lineare e allineata della Verona romana, è quella sviluppatasi dentro l’ansa protettiva dell’Adige, così che la città conosciuta e quella sconosciuta convivono: una dentro l’ansa, disposta a reticolo e l’altra, quella sacra, che è connessa alle forze delle origini e trova la sua sede sul colle di S. Pietro, dov’è il “palatium” del potere, il luogo della forza spirituale, dove il cielo comunica con la terra.

Attraverso punti riconducibili ad un disegno mandalico, ripresi successivamente anche da templi cristiani, Verona, come ogni altra “Città antica”, ci appare composta non solo di assi reticolati, ma anche di cerchi e di allineamenti tuttora rintracciabili e fissati sul “cammino” annuale del sole. Lentamente, ci è svelata una città incantata, in cui è vivo l’eco dell’incontro fra la sapienza dell’oriente e quella dell’occidente. Si tratta sempre della città come luogo fondato su principi eterni e trascendenti, frutto di conoscenze immemorabili, per lo più a noi sconosciute, secondo l’incessante alternarsi della luce e del buio, del solare e del sotterraneo.

Il colle di San Pietro con i suoi pozzi e le sue cavità, con il teatro ai suoi piedi, è la montagna sacra cui tutta la città si volge; forse è qui che si tracciò il pomerio, come nella fondazione di Roma (segnato da un fulmine inviato dalla divinità più alta), con l’aratro mosso da due buoi, uno di manto bianco e l’altro nero; un aratro a versoio, che in qualche museo dell’Etruria è ancora possibile vedere, con l’ala di bronzo che permetteva alla zolla mossa di essere capovolta, in maniera che il sotto diventasse il sopra e viceversa.

Liturgie rituali e tradizionali erano indispensabili per creare la città antica, secondo gesti compiuti non solo per delimitare, ma anche per orientarne la fondazione nel senso del cammino annuale del sole e verso le stelle o le costellazioni, che da sempre, peraltro, hanno determinato gli atti umani fondamentali. Non esiste cattedrale che non abbia il suo zodiaco e non fanno eccezione le principali chiese di Verona, la Basilica di San Zeno e il Duomo, che conservano pareti istoriate con queste dodici figure. Le stesse cattedrali sono la continuazione medioevale di questo sapere arcano, come Fulcanelli ha ricostruito nel suo Mistero delle Cattedrali.

Vivere, morire e rinascere; la morte è effettivamente un passaggio, un cambiamento di stato. Analogicamente, anche ogni città ha una sua individualità, è una creatura, un organismo che nasce e muta in un costante divenire. Il colle di S. Pietro era l’acropoli veronese, dove più alto sorgeva il tempio dedicato al dio Giano, che chiudeva e apriva ogni ciclo; due facce opposte di una divinità indivisibile che incarna il mistero dell’uomo come unità viva e creatrice, composta di aspetti contrastanti e complementari, che si influenzano vicendevolmente.

Non a caso Ops Consiva è la paredra di Saturno, ma anche consorte di Giano, ed è una divinità femminile preposta alla fertilità, alle acque sorgive e feconde, ai granai e alla conservazione del farro, base alimentare dei romani, grano particolare selezionatosi nel Lazio e legato anch’esso ai misteri del pane, alla morte e alla resurrezione. Già gli egizi solevano ricoprire il dio dei morti Osiride di cariossidi e farle germinare, perché il grano deve trasformarsi fino a morire e, infine, germinare nelle viscere delle madre terra, perché solo cosi potrà diventare nutrimento gli uomini. Ancora il pane era legato intimamente ai Misteri Eleusini come il vino era legato ai Misteri di Dioniso, e nella messa cattolica ritroviamo questi medesimi alimenti, per quanto ulteriormente trasfigurati in “carne” e “sangue” del Cristo.

Il colle di San Pietro è l’inizio e la fine di un viaggio eternamente ciclico, di morte e di rinascita, dove i volti di Giano posti sulla soglia osservano in opposte direzioni la partenza e l’arrivo. Questa divinità italica, come l’apostolo Pietro, è munita di chiavi per aprire o chiudere la porta della salvezza. Umberto Grancelli ci ha aperto le porte e accompagnato verso un altro orizzonte della conoscenza, ma anche verso la speranza che una parte di noi stessi, seppur piccola, troverà la liberazione eterna.

Luigi Pellini



Paolo D'Arpini quindicenne in cima al Colle di San Pietro a Verona (Vedi anche: http://saul-arpino.blogspot.it/)


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Commento ricevuto:

Il mio editore veronese -Giovanni Perez, nato a Napoli ma a Verona dalla nascita, edizioni "Vita Nova"- pubblicò nel 2006 "Il piano di fondazione di Verona romana" di Umberto Grancelli, pagg. 196 e nel 2009 "Verona.Origini storiche e astronomiche" di Adriano Gaspani, pagg.184.

Sempre interessato alla mia citta natale! Ove si è dimenticato il 18 maggio il 70° anniversario della morte di Angelo Dall'Oca Bianca, col quale mio padre ebbe amicizia (possiedo un vasto epistolario) dal 1922.
Ricordo di aver partecipato ai funerali del Pittore, accompagnando mio padre: avevo meno di 4 anni!

Ma ogni volta che sono a Verona visito la sua tomba, al centro dell'omonimo villaggio per i poveri da lui fatto costruire dal 1936, oltre quella di Umberto Boccioni, adiacente a quella dei miei nonni, e non lontana da quella della Madre di Dall'Oca.

Antonio Pantano

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