mercoledì 16 febbraio 2011

Ecologia sociale... quando si chiamava semplicemente "umanità" - Ricordo d'infanzia di Caterina Regazzi



Amore Paolo, oggi, guardando una delle vecchie foto riesumate dagli album che mia madre con tanta premura aveva riempito mi sono "ricordata" dell'atmosfera che si respirava allora.

Era il 1960 o il '61, eravamo a Treia a casa di "zia Augusta", io potevo avere circa due anni, sembro, senza paura di sembrare vanitosa, una bambolina, me ne sto in braccio all'adorante Valeria che mi chiamava "giuggiola".

E in effetti un albero di giuggiole c'era nel loro cortile, in mezzo a un pergolato e qualcuno, quando erano mature, me ne raccoglieva un po' ed io le gustavo con molto piacere. Questo ricordo, tra i primi della mia vita, fece si che una albero di giuggiole venisse poi piantato nella casa dei miei a S. Lazzaro di Savena, in provincia di Bologna, venti anni dopo, e poi nella casa di Bologna, trenta anni dopo.
In quella casa a Treia si stava come se fosse una casa di villeggiatura, un ristorante, una casa in campagna come era in effetti, e ci si stava benissimo grazie anche all'ospitalità calorosa dei proprietari che, una volta presoti nelle loro "grinfie" sembrava non volessero più lasciarti andare.

Guardate le espressioni dei volti..... sorrisi così difficilmente si vedono al giorno d'oggi. Erano sorrisi forse carichi di ingenuità, ma anche di gioia vera, pura per il semplice stare insieme a condividere l'aria buona che si respirava, il sole, del buon cibo e la compagnia di gente che non si vergognava di manifestare amore a tutto tondo. Niente secondi fini, niente da dare in cambio. Si godeva del momento presente, magari si, pensando anche al domani e sperando che sarebbe stato un altro "oggi".

I gatti che mai mancavano in quella casa (servivano per mangiare i topi) mangiavano anche gli avanzi e che pulizia che facevano! Mi ricordo che lì nacque il mio amore per loro e lì, timidamente imparai come si tengono in braccio, delicatamente, senza tirare loro la coda o fare dispetti come spesso i bambini fanno.

Zia Augusta, moglie mansueta e remissiva del burbero Ugo, cucinava e cucinava e faceva la maglia. Ricordo due maglioni che mi fece: erano entrambi lavorati a jaquard, uno sull'arancione ed uno sul rosso. Sembravano dipinti col pennello quei disegni! Mia madre, una persona che almeno da giovane, non si attaccava alle cose, appena fui un po' troppo grande per indossarli, li diede via, così come tutte le altre mie cose di bimba. Si è salvata solo una bambola e qualche pupazzo di peluche.
E' bello pensare di poter in qualche modo vivere ancora quelle atmosfere.

Ciao, Caterina Regazzi

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