sabato 24 febbraio 2018

USA - Candidati democratici pompati e la "fantasy story" del Russia Gate



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Asini e buoi dei paesi tuoi e degli Usa
Quando si tratta di buoi, cervi, renne, rinoceronti, che danno del cornuto all’asino, gli Stati Uniti d’America sono, al solito, maestri e noi, al solito, i ragazzi e (non se l’abbiano a male le femministe) le ragazze di bottega: gli sguatteri che arrivano dopo, trafelati e ai piedi del podio. Negli Usa è successa una cosa che rovescia tutto nel suo contrario. Il Russiagate è svaporato e trasfigurato nel ridicolo. Il grande accusatore di un’elezione americana decisa da hacker russi, è il procuratore Robert Mueller, già capo dell’FBI, la più grande associazione a delinquere mai apparsa sul pianeta, fondata nel 1924 e retta fino al 1972 dal capo gangster Edgar Hoover che, a forza di spionaggio e ricatti, ha tenuto al guinzaglio tutti i presidenti della sua epoca (salvo Kennedy e Nixon e s’è visto). Di fronte alla clamorosa assenza della benché minima prova a supporto dell’assunto, in pieno affanno l’aspirante boia dello sventurato Donald Trump s’è inventato 13 blogger russi che, da un antro in San Pietroburgo, avrebbero diffuso notizie talmente malvage su Hillary Clinton da convincere 62,3 milioni di fessacchiotti tra Manhattan e Beverly Hills a votare il suo avversario. Talmente boccaloni da non aver avuto nemmeno bisogno, come gli italiani, dei pacchi-dono Usa per votare democristiano, o di una scarpa su due per votare Lauro.

Crolla il Russiagate, emerge l’FBIgate
A seppellire definitivamente la panzana Russiagate, con tanto entusiasmo spappagallata anche da noi nelle larghe intese tra “manifesto”, “Repubblica” e tutti gli altri fakenewisti dei massmedia atlantisti, è arrivata la deflagrazione di una bomba a talmente alto potenziale che... non ne ha parlato nessuno. Né i paladini della libera stampa come Washington Post, New York Times, CNN, CBS, BBC, nè quei ragazzi della bottega di Soros, del “manifesto”, del “Corriere”, devi vari canali tv. Un esercito di “tre scimmiette”. Eppure l’affare è gigantesco, tanto grosso quanto le corna sull’ungulato del Russiagate. Vale per la mandria taurina dello Stato Profondo Usa, con dentro tutta l’intelligence, l’FBI, il ministero della Giustizia, Wall Street e il Pentagono, che si riprometteva di avviare all’impeachment il burattino sfuggito al controllo). Al confronto quelle di Trump sono corna di capretto.

Un Watergate dei Democratici
Si chiama “Nunes Memo”, cioè memoriale di Devin Nunes, che è il presidente della Commissione Intelligence (Servizi Segreti) della Camera. Un rapporto risultante da un’inchiesta della Commissione che è stato prima secretato, poi pubblicato sotto pressione dell’opinione pubblica e del Partito Repubblicano, felice di poter rivoltare la frittata democratica che avrebbe dovuto incartare il presidente repubblicano e che ora, coinvolgendo ministri e direttori dell’FBI, potrebbe aprire le porte del carcere proprio a chi pensava di sotterrare la capa di pannocchia.
Conviene approfondire l’argomento andando su internet. Qui si dica solo che tranne silenzi, borborigmi imbarazzati, risolini e balbettii, l’establishment politico e mediatico non ha saputo contrapporre una cippa. L’inchiesta ha appurato che FBI e Ministero della Giustizia avevano cospirato per incastrare Trump nella fandonia di un suo ruolo di agente di Putin e traditore della patria. Utilizzando un noto pendaglio da forca ed ex-spia britannica, Christopher Steele, pagato per la bisogna da FBI e Ministero della Giustizia, ma anche dal partito Democratico, avevano fabbricato un dossier che pretendeva di provare che Carter Page, consigliere di Trump nella campagna elettorale, era in mano a Putin e ai suoi ordini rovinava la vita a Hillary.. Sulla base di questa bufala si erano fatti, illegalmente, assegnare dal Tribunale per la Sicurezza dell’Intelligenc (FISC), ricorrendo, abusivamente, alla Legge sulla Sicurezza dell’Intelligence (FISA), il mandato per spiare Trump e tutto il suo staff nel corso della campagna elettorale. In piena collaborazione con la CIA.
Niente di meno che un altro Watergate, ancora più sporco, da porre, oltrettutto, accanto al sabotaggio, effettuato dal Comitato Nazionale Democratico, dell’altro candidato del partito alla presidenza, Bernie Sanders, in forte ascesa. Un’ondata di calunnie tese anche a distrarre dall’immane scandalo (subito seppellito dall’FBI) delle mail riservate di Stato che l’allora Segretaria di Stato scambiava sul suo account privato addirittura con Anthony Weiner, marito della sua più stretta collaboratrice, Abedin, e pedopornomane scoperto e condannato. Era questa la candidata alla presidenza degli Usa pompata dalla “sinistra” italiana e, con particolare passione, dal “manifesto”.


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"Nella vita moderna niente è più efficace di un luogo comune: affratella il mondo intero." (Oscar Wilde)

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