venerdì 31 marzo 2017

Il "complotto" che piace al "sistema"


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Il complotto è da sempre una tecnica fondamentale dell’azione politica. Per ottenere un risultato favorevole in un ambiente competitivo nel quale operino dei rivali aventi interessi opposti a quelli perseguiti occorrono infatti alleanze, segretezza e stratagemmi.

Il concorrente va ingannato, confuso, isolato e destabilizzato, in modo tale da pregiudicarne le possibili contromosse e indurlo a cedere. È la logica non lineare della decisione in campo conflittuale a rendere necessaria la cospirazione, perché il corso d’azione più semplice è anche quello più immediatamente intelligibile da tutti, inclusi gli avversari che si vogliono sconfiggere. Capita allora il paradosso sul quale poggia tutto l’edificio della strategia: non è la retta il percorso migliore tra un attore politico e la soddisfazione del suo interesse, ma una fra le possibili traiettorie alternative più accidentali e meno prevedibili.

Non sono in questione il carattere moralmente positivo o negativo di un traguardo o di una linea operativa. Quello che conta è la modalità attraverso la quale i soggetti politici cercano di raggiungere i loro obiettivi laddove questi competano con quelli di altri attori. Solo una parte della lotta politica si svolge alla luce del giorno anche nelle democrazie più avanzate, come quella americana o la nostra.

Dobbiamo probabilmente a Niccolò Machiavelli la valutazione più corretta del peso relativo dispiegato sui processi politici dalle astuzie cospiratorie e dai vari fattori materiali concorrenti: nel Principe, testo che paradossalmente proprio gli italiani conoscono meno, probabilmente perché concentrati sullo stile della sua prosa, il segretario fiorentino è al riguardo chiarissimo.

Cesare Borgia, detto “il Valentino”, che pure incarna l’ideale dell’abile cospiratore ambizioso, fantasioso e privo di scrupoli, alla fine viene sconfitto e manca l’obiettivo di dare solidità al suo Stato perché neanche la sua capacità di manovra può ovviare alla precarietà della propria posizione geo­politica, legata alla sopravvivenza momentanea di un papa consanguineo e condizionata dall’insufficienza delle forze.

Machiavelli lo spiega ancora più efficacemente quando descrive le cause della nostra crisi di fine Quattrocento nel suoDell’arte della guerra, criticando i limiti di una classe dirigente impegnata a ottenere vantaggi marginali nell’incessante competizione tra i principati italiani attraverso la furbizia diplomatica o il sapiente utilizzo politico delle costosissime truppe mercenarie, mentre incombeva sulla nostra penisola la minaccia degli eserciti delle nuove grandi potenze europee, che l’avrebbero dominata per più di tre secoli [1].

È da qui, dunque, che si deve partire per valutare il ruolo svolto dalla cospirazione nella vicenda politica a fronte delle altre determinanti del successo o del fallimento. Il complotto non può spiegare sempre e comunque l’esito di un confronto, come giustamente viene rimproverato a coloro che ne fanno la chiave di lettura esclusiva delle dinamiche politiche, ma ipotizzarne l’esistenza e decifrarlo aiuta a comprendere le intenzioni delle parti coinvolte nella lotta e ricostruirne l’apporto a un dato risultato.


2. I politici più ambiziosi hanno piani e le grandi potenze delle strategie, la cui definizione è spesso rimessa a organismi, come il National Security Council americano, che tendono ad abbracciare tutte le articolazioni della Statecraft, ovvero l’azione di governo nella sua accezione più alta e più ampia. Tra le aspirazioni dei singoli e l’organizzazione delle politiche perseguite dagli Stati sul piano interno e nell’arena internazionale sono possibili contatti. Solitamente, è l’ascesa di un leader a posizioni apicali di responsabilità negli Stati più potenti a determinare il collegamento.

L’azione dello Stato viene allora piegata prima all’esigenza di consolidare il consenso di colui che ne ha conquistato la direzione e poi asservita al perseguimento dei suoi obiettivi di potenza esterni. In questo senso, è particolarmente emblematico il percorso tracciato dall’attuale presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, che è sospettato di aver usato nel 2015 contro i propri avversari interni dell’Hpd curdo persino i jihadisti dello Stato Islamico, dopo averne sostenuto le ambizioni siriane per poter rovesciare il regime di Baššār al-Asad e allargare la sfera d’influenza di Ankara in Medio Oriente, prima di rovesciare pragmaticamente la propria politica dopo la presa d’atto della vittoria riportata sul terreno da russi e iraniani [2].

La cospirazione può avere molte declinazioni: con riferimento agli stessi episodi appena accennati, un maestro delle strategie asimmetriche come Jacques Baud è giunto a sostenere che americani e francesi avrebbero favorito il formarsi delloStato Islamico nella speranza che al-Asad lo reprimesse con una durezza tale da provocare l’attivazione contro se stesso dellaresponsibility to protect e l’internazionalizzazione della guerra civile siriana. A una funzione analoga sarebbe servito anche il bombardamento chimico di Ġūṭa, attribuito all’Esercito regolare siriano e invece quasi certamente opera di ribelli opportunamente riforniti, che avrebbero utilizzato armi proibite confezionate con proiettili di fortuna [3].

Un classico della letteratura basata sul complotto, in effetti, sono gli attacchi sotto false flag, cioè compiuti con una bandiera che non è la propria, solo per delegittimare un nemico e attirargli la più vasta riprovazione. Per alcuni si tratta di fantasie, ma sono ormai tanti coloro che ritengono altrettante messinscene anche il bombardamento del mercato di Sarajevo e la cosiddetta strage di Raçak, che tanta parte ebbero nel precipitare l’intervento della Nato rispettivamente in Bosnia-Erzegovina e nel Kosovo.


3. In Italia si fatica notevolmente ad applicare questi concetti alle dimensioni dell’alta politica internazionale, perché la lunga vacanza del nostro paese dalla storia ha portato i più a identificare la politica esclusivamente con la direzione dell’amministrazione e della funzione legislativa.

Le cospirazioni, conseguentemente, da noi circoscrivono il loro campo di impiego all’individuazione dei progetti dei nostri leader politici emergenti, che tuttavia la frammentazione del potere rende impossibile realizzare nella loro interezza, cosicché le previsioni concernenti i risultati della lotta diventano attendibili come quelle del tempo, soggette a troppe variabili per essere affidabili al 100%.

Ci sono state tuttavia fasi storiche in cui una capacità di lettura delle cospirazioni è comunque affiorata anche da noi, principalmente a causa dei forti legami che caratterizzarono durante la guerra fredda le relazioni tra le maggiori forze politiche interne e le due superpotenze che si contendevano il dominio del mondo.

Oggi esiste un consenso piuttosto largo, ancorché mai cristallizzatosi in una verità giudiziaria, sul fatto che il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro, così come l’attentato di Sofia a Enrico Berlinguer, fossero riconducibili alla necessità, avvertita da entrambe le superpotenze dell’epoca, di non alterare gli equilibri di Jalta. Per gli americani, il progetto coltivato dal presidente della Dc di cooptare al potere il Partito comunista comportava il rischio di un cambio di campo del nostro paese.

Mentre per i sovietici, una simile eventualità accresceva il pericolo di una sedizione dei partiti satelliti, minando la solidità del Patto di Varsavia [4]. Ma si trattava di verità indicibili, in quanto suscettibili di riverberarsi sul consenso delle masse alle scelte di posizionamento internazionale del paese, esattamente come quelle che concernevano la lotta senza esclusione di colpi condotta sul nostro territorio da israeliani e palestinesi [5]. Era più comodo e rassicurante pensare che tutto ciò che accadeva fosse solo il frutto di coincidenze o dei deliri di gruppi circoscritti di fanatici.

Secondo altri, che hanno abbracciato tesi ancora più controverse, il terrorismo che sconvolgeva l’Italia negli anni di piombo avrebbe tratto linfa anche da Stati europei nostri alleati, come la Francia, che sarebbe stata interessata a indebolire il nostro paese per arginarne il recupero dopo la sconfitta patita nella seconda guerra mondiale. Forse una tesi non del tutto campata in aria, se si pensa che in fondo noi non eravamo stati da meno, avendo appoggiato l’Fln che cercava di affrancare con la lotta armata l’Algeria dalla soggezione a Parigi.

Si sono parallelamente affermate negli ultimi anni anche interpretazioni revisionistiche degli esiti del nostro Risorgimento: si pensi, ad esempio, a quanto ha scritto Eugenio Di Rienzo, che in occasione del centocinquantesimo anniversario della nascita del Regno d’Italia attribuì anche alle inclinazioni filorusse dei Borboni di Napoli, schieratisi con lo zar durante la guerra di Crimea, il decisivo appoggio britannico a Giuseppe Garibaldi durante la spedizione dei Mille, alludendo velatamente alla possibilità che potesse aver avuto una matrice simile anche il rovesciamento, maturato proprio nel 2011, del governo di Silvio Berlusconi. Peraltro, lo stesso Di Rienzo ha comunque posto alla base delle scelte fatte da Londra nel 1860 soprattutto l’interesse inglese a evitare che il nostro paese diventasse uno Stato vassallo di Napoleone III [6].


4. Il complotto ha quindi una valenza politica molto spiccata, sia quando lo si concepisce che quando se ne afferma l’esistenza, ad esempio per spiegare una sconfitta. Proprio le vicende occorse all’Italia nel 2011 sono state al centro di aspre controversie, che potranno verosimilmente essere risolte soltanto quando diventeranno accessibili tutti i documenti diplomatici prodotti negli ultimi anni.

Se la forzatura della nostra costituzione operata dal presidente della Repubblica del tempo è ormai generalmente ammessa, anche per effetto della pubblicazione di libri che hanno avuto un certo successo editoriale, come Ammazziamo il Gattopardo di Alan Friedman, in cui sono stati documentati gli sforzi profusi dal capo dello Stato del tempo per creare un governo di ricambio quando quello in carica godeva della piena fiducia delle Camere [7], ancora molte ombre circondano il contesto internazionale in cui l’operazione di sostituzione ai vertici di Palazzo Chigi venne portata a termine.

Chi crede alla teoria della cospirazione ipotizza apertamente che la guerra combattuta in quell’anno per abbattere il regime libico del colonnello Gheddafi avesse come suo vero scopo l’eliminazione di un’anomalia intervenuta nella politica estera del nostro paese, che aveva firmato con Tripoli e ratificato con una larga maggioranza parlamentare un patto di non aggressione ritenuto incompatibile con gli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Alleanza Atlantica [8].

Alcuni però si spingono anche oltre, alimentando il sospetto che l’autentico obiettivo del conflitto fosse proprio quello di indebolire l’Italia, indurre un cambiamento ai suoi vertici e, contestualmente, minare la coesione dell’Unione Europea. Sarebbe stata l’abilità del governo italiano, pronto a chiedere insieme alla Turchia il trasferimento all’Alleanza Atlantica della direzione politico-militare delle operazioni, a evitare nell’immediato guai peggiori a Silvio Berlusconi, mantenendo comunque Roma dentro la partita.

A quel punto, tuttavia, avrebbe preso corpo l’attacco condotto sul terreno finanziario, avviato nel giugno del 2011 dalla decisione della Deutsche Bank di cedere i titoli del debito pubblico italiano in suo possesso, che avrebbe determinato una crisi sempre più acuta del merito di credito della nostra Repubblica. Si parlò allora di un’offensiva della Germania contro l’Italia, ma in verità a quell’epoca il grande istituto di credito era ormai una public company nella quale gli azionisti tedeschi non erano più in grado di dettar legge. Il suo primo shareholder era invece la BlackRock americana, un potente fondo d’investimento presente nel capitale sociale di due delle tre maggiori agenzie di rating del mondo e alla cui testa si trovava Larry Fink, un democratico statunitense molto vicino alla famiglia Clinton.

Per quanto sia noto che la politica di avvicinamento a Mosca condotta dal nostro governo dell’epoca fosse molto invisa Oltreoceano, è piuttosto probabile che il tentativo di condizionare il destino politico del nostro paese vada ricondotto a un disegno più complesso, che aveva a oggetto le prospettive a lungo termine dell’euro e quelle a breve della politica monetaria europea. L’ex premier spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero lo avrebbe ben chiarito nelle pagine del suo El dilema dedicate al summit del G20 di Cannes, raccontando delle fortissime pressioni esercitate da Barack Obama in quella occasione affinché almeno un grande Stato dell’Eurozona venisse sottoposto alla tutela del Fondo monetario internazionale. L’Italia resistette, ma la reputazione della divisa unica subì un colpo dal quale non si sarebbe più ripresa [9].


5. La teoria del complotto ha dei meriti che i suoi detrattori tendono a negare per difetto di realismo. Il più grande è quello di fornire un’interpretazione degli eventi alternativa alla narrazione dominante, che spesso trascura l’apporto dei singoli e delle loro scelte alle grandi svolte storiche, oppure la piega ad altre esigenze, come la creazione e il mantenimento del consenso. Con riferimento agli episodi di cui si è dato conto, e al modo in cui una letteratura cospiratoria li ha interpretati, i totem infranti sono numerosi, a partire dal dubbio insinuato sulla vera natura della politica statunitense nei confronti dell’Europa in questo tormentato dopo-guerra fredda, non sempre benigna.

Proprio l’attitudine a esplorare i cambi di paradigma rende interessante questa particolare declinazione borderline del pensiero politologico. In un’epoca come la nostra, nella quale la solidità e la valenza delle alleanze sono continuamente soggette a revisione, pensare l’impensabile diventa infatti un elemento potenzialmente cruciale dell’analisi politica. Strutture formali e rapporti di fatto delle relazioni internazionali divergono sempre più frequentemente, come provano anche i contenuti dei cablogrammi carpiti e resi di pubblico dominio da WikiLeaks. Sta inoltre aumentando il ricorso a strumenti di azione e influenza opachi e sempre «negabili» per poter perseguire gli interessi nazionali in una condizione di assoluta impunità.

Anche nell’analisi geopolitica risulta davvero impossibile prescindere dallo studio delle cospirazioni possibili e probabili. Se la ricognizione dello stato delle cose si limitasse alla rassegna delle relazioni stabilitesi tra gli Stati tramite gli strumenti del diritto internazionale, ben poco capiremmo di quanto accade. Va quindi respinto l’uso aggressivo che talvolta viene fatto del concetto di complotto per delegittimare una lettura degli eventi che non collima con gli interessi politici che si desidera tutelare. È una pratica intellettualmente disonesta e paradossalmente rivelatrice della debolezza del messaggio che si intenderebbe invece proteggere.

È altrettanto evidente che non si può ricorrere al complotto per sfuggire alle proprie responsabilità. Affermare che si è stati allontanati dal potere da una vasta coalizione di interessi interni ed esterni al nostro paese, come pure si è fatto forse non senza fondamento, non può esimere chi ne è rimasto vittima da una seria autocritica del proprio operato e delle scelte che hanno provocato l’aggregarsi di cartelli ostili tanto potenti. Non offre quindi alcun alibi.


6. Le teorie cospiratorie vanno utilizzate sempre con parsimonia e valutate con intelligenza e senza preconcetti, tenendo presenti tutte le variabili in gioco e la credibilità delle ipotesi che vengono fatte relativamente ai comportamenti degli attori che sono studiati. Chiamare sistematicamente in causa le iniziative trasversali ordite da organizzazioni più o meno strutturate, dalla massoneria al cosiddetto Club Bilderberg, tutte le volte che non si riesce ad afferrare cosa succeda è certamente una scorciatoia suggestiva, ma anche una tentazione da respingere.

Non perché si tratti di fenomeni ininfluenti, tutt’altro, ma perché è difficile sfuggire alla sensazione che anche le élite più spregiudicate abbiano bisogno della forza di uno Stato per realizzare i propri progetti: possibilmente di quello di volta in volta più potente, che ne può meglio assecondare le ambizioni.

La politica non si fa mai eterodirigere del tutto, anche se poteri formali e raggruppamenti di interessi possono stabilire delle importanti sinergie, soprattutto in un’epoca come quella attuale nella quale la ricchezza è straordinariamente concentrata, cosicché diventa difficile distinguere l’agenda di personalità come George Soros da quelle dei suoi alleati investiti di responsabilità istituzionali.

Per orientarsi occorre una bussola concettuale. La logica realista dell’interesse e della forza di chi lo persegue dovrebbe essere decisiva, così come l’attenta ponderazione degli indizi disponibili. Se si ha accesso alla capacità di acquisire informazioni attraverso canali riservati o impiegando strumenti come le agenzie di intelligence, il complotto può fornire orientamenti per l’indagine.

Gli obiettivi dichiarati e quelli effettivi dell’azione politica restano solo parzialmente allineati persino nella più trasparente delle democrazie, perché qualsiasi ambizione individuale e collettiva deve essere resa socialmente accettabile e capace di calamitare consensi. Imporre limiti all’analisi e alla ricognizione dei fatti accresce il rischio del fraintendimento della realtà.

Ma va evitato anche il pericolo opposto di rincorrere continuamente incubi e fantasmi, che alimentano le paranoie di un potere fragile e isolato. In ultima analisi, si deve accettare la prova dei fatti, che possono smentire o validare la tesi cospiratoria, permettendo di attribuire altri significati agli eventi.


The reverse of the United States one-dollar bill depicting a Pyramid with 13 steps and the Eye of Providence. (Photo by: Godong/UIG via Getty Images)



Note
1. In particolare, N. Machiavelli, Dell’arte della guerra, Libro VII, 1521, 16-26.
2. Cfr. M.F. Ottaviani, Il Reis, L’Aquila 2016, Textus Edizioni, pp. 284 e 303 dove si evidenzia il ruolo svolto al riparo di qualsiasi interferenza da parte della polizia turca dalla cellula Is di Adıyaman, guidata da Mustafa Dokumanci, nella recrudescenza degli attacchi ai curdi dopo le elezioni politiche turche del giugno 2015. Sono stati in particolare attribuiti a due esponenti di quel gruppo, i fratelli Alagöz, i due attentati di Suruç e Ankara, che tra il 20 luglio e il 10 ottobre 2015 hanno mietuto ben 134 vittime, inducendo l’Hdp a fermare la sua campagna elettorale.
3. J. Baud, Terrorisme. Mensonges politiques et stratégies fatales de l’Occident, Paris 2016, Editions du Rocher.
4. La bibliografia di riferimento è ricca. Qui basterà tuttavia richiamare G. Fasanella, R. Priore, Intrigo internazionale, Milano 2010, Chiarelettere; F. Imposimato, S. Provvisionato, Doveva morire, Milano 2011, Chiarelettere; G. Fasanella, C. Incerti, Berlinguer deve morire, Milano 2014, Sperling & Kupfer; P. Cucchiarelli, Morte di un Presidente, Firenze 2016, Ponte alle Grazie.
5. Con il governo italiano intento a coltivare tanto l’Olp quanto lo Stato ebraico. Durante la guerra del Kippur, l’Italia negherà agli Stati Uniti la possibilità di utilizzare le sue basi nelle operazioni di rifornimento a Israele, mentre l’intelligence di Roma trasmetteva informazioni sensibili alle controparti dello Stato ebraico. Seguirà poi il cosiddetto lodo Moro, alla cui rottura nel 1979 alcuni riconducono la matrice della strage di Bologna. Cfr. V. Cutonilli, R. Priore, I segreti di Bologna, Milano 2016, Chiarelettere.
6. E. Di Rienzo, Il Regno delle Due Sicilie e le potenze europee 1830-1861, Soveria Mannelli 2012, Rubettino. Secondo Di Rienzo, comunque, «l’unione» italiana (termine di proposito preferito a unità) sarebbe stata l’esito di un complesso e non trasparente intrigo internazionale, definito esplicitamente un dirty affair nel 1863 da un parlamentare britannico. Anche in ragione delle modalità della sua nascita, l’Italia soffrirebbe ancor oggi della medesima debolezza geopolitica che aveva condizionato lo Stato napoletano.
7. A. Friedman, Ammazziamo il Gattopardo, Milano 2014, Rizzoli.
8. Più volte, peraltro, la politica italiana verso la Libia si era smarcata da quella adottata dagli alleati atlantici. È noto che il nostro paese ha contribuito a sventare un colpo di Stato contro il regime gheddafiano che era stato ordito da ambienti vicini alla deposta casa reale e appoggiato dal Regno Unito. Lo strappo maggiore si verificò però nel 1986, quando una soffiata italiana avrebbe permesso al colonnello libico di sottrarsi ai bombardamenti americani. Gli Scud lanciati subito dopo dai libici contro Lampedusa sarebbero allora serviti a mascherare il debito contratto da Gheddafi nei nostri confronti, proteggendo il governo Craxi da ritorsioni che sarebbero state certamente significative.
9. J.L. Rodríguez Zapatero, El Dilema, 600 dias de vértigo, Barcelona 2013, Planeta, pp. 290 ss. L’ex premier spagnolo vi spiega anche come riuscì, attraverso la mediazione di Angela Merkel, a sottrarre il proprio paese all’agguato che si stava mettendo in essere, lasciando da sola l’Italia.


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giovedì 30 marzo 2017

Strabismo occidentale: "Putin, barbaro e oppressore - Soros, paladino dei diritti umani"


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E’ bastato innescare una spia da quattro soldi a Mosca per farci dimenticare tutta una serie di belle azioni della “comunità internazionale” (quella Usa-Nato). Tipo: i 200 tra uomini, donne e bambini polverizzati dall’incursione yankee su Mosul che le truppe irachene vorrebbero liberare e non uccidere, successiva ad altre incursioni a guida Usa in Siria e Iraq, sistematicamente dirette su civili e infrastrutture, quando non contro gli eserciti nazionali impegnati contro Isis e Al Qaida. Tipo: la scandalosa violazione della sovranità siriana commessa da Washington con l’invasione di suoi contingenti e armamenti, facilitati da un nuovo mercenariato, quello curdo, che ha sostituito il jihadista a cui è stato dato il benservito (servirà per gli attentati di ritorsione e destabilizzazione qua e là nel mondo); invasione finalizzata a impedire che siriani e russi arrivino prima a Raqqa, ultimo grande centro da liberare, e a mettere in piedi una colonia Usa su territori arabi predati detta “Kurdistan siro-iracheno”, garante della, da sempre programmata, frantumazione della Siria e salutata in Occidente come la “nuova vera democrazia in Medioriente dopo quella israeliana.

Tipo: il genocidio in corso da tre anni in Yemen e che USA, UE, Nato con l’armaiolo Italia, hanno commissionato all’altra vera democrazia mediorientale, la saudita, quella del record mondiale delle forniture di petrolio all’Occidente, delle scudisciate e mutilazioni inflitte ai reprobi, delle condanne a morte mediante decapitazione e lapidazione (donne). Tipo: i 16 anni di guerra Usa-UE-Nato (con l’ascaro Italia) contro un incolpevole popolo afghano, guerra perduta dal primo giorno, ma utile a conservare controllo e gestione del monopolio Usa dell’oppio-eroina (come in Colombia e nel Centroamerica della cocaina). Tipo: il colpo di Stato strisciante che una fazione di licantropi Usa, quella alleata alla sinistra, attua contro l’altra, alleata ai “populisti”, tritando i detriti post-11 settembre di quella che pareva la democrazia americana ed è sempre stata la più sfrenata plutocrazia fondata sul complesso militar-industriale e oggi anche finanziar-mediatico.

La copia caricaturale nostrana di quel complesso, a sua volta si è lanciata come un solo Mazinga sul boccone moscovita, facendo sparire tra le invettive e l’indignazione dei probi la scellerata gestione poliziesca di una legittima, ordinata, pacifica, manifestazione contro quel carcinoma europeo a 27 che dei diritti umani (sociali, ambientali, di vita, di pace) che non siano appannaggio dei gay, se ne sbatte. La terroristica diffusione della paura di una neroniana obliterazione della città da parte dei Black Bloc. Il fermo di centinaia di inermi passeggeri di pullman impediti dall’esercitare il loro diritto costituzionale a frequentare la capitale e manifestare. L’arresto di altre decine a conclusione di un corteo che, a forza di buona educazione, non ne aveva voluto sapere di sfasciare o gettare qualcosa e di fornire agli agitprop della paranoia di Stato (Repubblica, La Stampa, Corriere e affini, i tg) un minimo di sangue da mescolare alla merda che rifilano ai loro decerebrati lettori.

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Occidente: mazzate a chi si difende. Russia: spintoni a chi offende
Gli euroboss commissionati dai padrini Usa a Roma rilanciano la distruzione delle nazioni europee e relativa cultura, con sullo sfondo la loro impresa più riuscita, l’uccisione della Grecia e suo fastidioso retaggio di civiltà, con sicario Tsipras, vestale Castellina e i taffazzisti dell’ “Altra Europa con Tsipras”. La ciarlataneria politico-mediatica nostrana lancia compatta anatemi contro il repressore di Mosca, a suon di spintoni, della presunta volontà popolare, coprendo così il culo a un regime di nostrani devastatori dell’ambiente che la vera volontà popolare, abbarbicata ai suoi ulivi, cioè alla vita della sua terra, la rispettano a suon di randellate in assetto antiterrorismo a protezione di un missile di acciaio e gas (TAP) che sfonderà il Salento. Poi però, cattolicamente ipocriti fino all’oscenità, scatenano rampogne al carbonifero Donald Trump e rimpianti dell’eco-eroe Obama, legalizzatore del fracking, moltiplicatore delle trivelle marine e negatore dei vincoli ambientali “suggeriti” dal vertice di Parigi.

Alla brutalità.fatta di mazzate, gas tossici CS, idranti, arresti, sevizie in carcere e condanne spropositate inflitta a No Tav, No Muos, No Triv, No Tap, pensionati, terremotati, pescatori e minatori sardi, studenti, operai; alle incursioni omicide dei robocop Usa militarizzati da Obama e che ammazzano impuniti 5000 civili all’anno, quasi sempre neri, alle pallottole d’acciaio rivestite di gomma e, di nuovo, alle manganellate e ai gas velenosi delle europolizie in Francia, Belgio, Germania, protette dall’anonimato, dall’immunità e dal’alibi terrorista, l’intervento della polizia di Mosca contro i fan di Navalny, senza una bastonata, un candelotto, un idrante, sta come un volo di deltaplani a quello stormo di B52 che ha schiantato Mosul.

Ci sono le immagini e, per quanto abbiano potuto inventarsi violenza e orrori russi i vari travet italioti nel concerto occidentale di presstitute russofobe, per quante nefandezze putiniane abbiano preannunciato e poi descritto i vari Formigli, Littizzetto, Travaglio, Coen, Colombo, Caldiron, Fazio, Molinari, Calabresi e tutta la crème de la créme di questo paese al 70° posto nella libertà d’informazione, grazie anche a un sindacato che va in piazza per Giulio Regeni dietro ai pifferai Cia e Mossad, porcaccia la miseria, un qualcosa di sanguinolento che oscurasse le teste rotte dai picchiatori in divisa europei, proprie non si è riusciti a vedere e a mostrare.

Settemila i manifestanti richiamati in piazza a Mosca dal carisma di Alexey Navalny. Alcune centinaia in una ventina di altre città. Flop cosmico, sempre che non lo guardiate attraverso la lente d’ingrandimento del New York Times, del Manifesto, o di Repubblica, dove vedete una mongolfiera al posto di un aeroplanino di carta. 7000, secondo la Questura, i manifestanti anti-Ue, anti-euro e anti-Nato sabato a Roma. Mosca ha 12 milioni di abitanti, Roma meno di 3. Facendo le proporzioni, i 7000 di Mosca equivalgono a meno di 2.500 a Roma. Me cojoni, una vera rivoluzione anti-Putin! E’ che la forza d’attrazione di un Navalny (3% di consensi, contro l’84% attribuito dai sondaggi di società Usa a Putin) scaturisce dal suo curriculum. Per i cicisbei di corte di cui sopra ne esce una specie di arcangelo Michele che agita la spada fiammeggiante dei diritti umani sul regno di Mordor. Per i russi, che di curricula del genere sono pratici, li hanno visti in casa e li hanno osservati in varie parti del mondo, chi li vanta ha il carisma di una cacchetta di piccione sul marciapiede.


Pesce pilota pescato da Soros
E’ il curriculum di un rivoluzionario colorato. Quelli made in Soros. Un lanzichenecco dell’imperatore. Un soldato di ventura. Di solito un farabutto con storie sporche alle spalle e quindi ampiamente ricattabile. Ne abbiamo visti, del genere, a Tehran, ancora a Mosca, in Georgia, in Libano, in Venezuela, a Haiti. Il due volte condannato per corruzione Navalny ha lo stesso cursus honorum di suoi predecessori. Esce da una cosca di tipo cospiratoriale messa su all’università di Yale, la “Greenberg World Fellows Program”, che alleva candidati a funzioni di spionaggio, provocazione, infiltrazione, ovunque l’Impero intenda destabilizzare. Vengono addestrati, come lo fu Otpor in Serbia, a utilizzare facili e comprensibile parole d’ordine (Navalny: “Tutti corrotti e ladri”) in grado di raccattare scontenti o frustrati, politicamente sprovveduti. L’accusa di corruzione, che la parte del pianeta più corrotta della storia, con un’élite che prospera grazie a depredazione, devastazione, sfruttamento del resto del mondo e dei propri cittadini, lancia contro Putin (e non ha mai lanciato contro Eltsin quando svendeva il suo paese a oligarchi e multinazionali), viene poi condivisa da noi che per corruzione siamo primi in Europa e le offriamo ogni anno un obolo tra gli 80 e 100 miliardi di euro.
Il movimentuccolo di Navalny, “Alternativa Democratica” ha gli stessi padrini finanziatori di tutti gli Otpor e affini messi in scena da Cia e Mossad negli anni di Bush-Obama: il National Endowment for Democracy (NED), inventato da Reagan per fare il lavoro della Cia quando questa, in occasione dello scandalo droga-Contras, si era rivelata al mondo più che un’agenzia di intelligence, lo strumento imperiale delle operazioni sporche, colpi di Stato, sabotaggi, destabilizzazioni, rivoluzioni finte, squadroni della morte di John Negroponte (il principale di Giulio Regeni). E’ un nanerottolo deforme in Russia e un gigante radioso in Occidente. La storia se lo papperà come Ernesto bassotto fa secchi i topi. E’ tua questa talpa?

Se Totò Riina fosse russo, sarebbe un dissidente
Navalny, già funzionario governativo processato per appropriazione indebita (vendeva legname di Stato sottocosto a privati); gli oligarchi Khodorkovsky, Nevzlin, Berezovsky, Gusinsky, Abramovic, tutti della banda criminale di Eltsin, tutti traditori, processati per indicibili delitti di ogni genere, tutti fuggiti all’estero con i miliardi rubati, tutti ebrei; la Politovskaya, una specie di Sofri russa che sosteneva la destabilizzazione Cia-Mossad in Cecenia raccontando balle alla radio della Cia Radio Liberty/Free Europe (frequentata da Giulietto Chiesa ai tempi di Gorbaciov-Eltsin e, a Belgrado, dalle Tute Bianche di Casarini); Dmitry Voronenkov, deputato comunista russo fuggito da Mosca, ucciso l’altro giorno a Kiev e, grazie all’individuazione di un killer russo, subito diventato martire anti-Putin. Poi, colpo di scena, risulta invece vittima dei nazi installati dalla coppia Obama-Clinton, visto che investigatori onesti hanno scoperto l’assassino vero: Pavel Parshov, veterano della Guardia Nazionale Ucraina fondata dal nazista Andrey Parubiy e formata da teppisti con la croce uncinata tratti dai battaglioni nazi.

Infine, Alma Shalabajeva, moglie di Mukhtar Ablyazov, deportata e consegnata alle autorità del Kazakistan (paese filorusso) in base all’unico provvedimento corretto mai adottato dall’incredibile Alfano, pianta come vittima sacrificale dal menzognifico mediatico in quanto consorte di un “oppositore” del regime kazako (filorusso). Con pervicacia degna delle loro cause, questi giornalai hanno sistematicamente occultato il fatto che la signora era complice del marito, in quanto ne aveva occultato i delitti e lo nascondeva. Marito ladro che aveva svuotato la banca BTA ad Astana, sottratto fondi per milioni di dollari alle banche russe e ucraine, era ricercato da Interpol e polizie di Kazakistan, Russia, Ucraina e Gran Bretagna. Un delinquente di altissimo bordo internazionale, ma per i nostri gazzettieri e politicanti un democratico dissidente. Come tutti gli altri menzionati prima.

Si comprende che per regimi occidentali, fondati come sono su ladrocinio, truffa, azzardo, rapina a mano armata, speculazione, gente come quella possa elevarsi da criminali a dissidenti, modelli di opposizione democratica. Dai letterati, scienziati, scacchisti, gli Sharansky, Zakharov, Pasternak, Kasparov, che all’epoca dell’URSS venivano incaricati di fare da quinta colonna anticomunista, si è passati ai briganti di passo. Segno dei tempi. Certo, però, che se Putin si deve guardare da oppositori del genere, difficile che venga intaccato quel suo 84% di consenso popolare.

Democrazia e democrature
Riconosciamo a Putin, per esperienza diretta e documentata, non solo di aver tirato fuori il suo immenso e complesso paese dalla catastrofe in cui l’avevano cacciato Gorbaciov, Eltsin e i loro mandanti occidentali, di aver risollevato dalla povertà più abietta un’intera nazione, di averle ridato benessere, dignità, autostima, decisivo ruolo nel mondo, soprattutto per quanto riguarda la difesa del diritto internazionale. Assolutamente imperdonabile. Per neutralizzare l’effetto stima e contagio tocca aprire la cataratte della calunnia. Poi, magari, gli arsenali atomici.

L’Occidente degli Obama, Clinton, Trump, Blair, Merkel, Hollande, Juncker, Renzi e tutto il cucuzzaro di padrini, picciotti e fratelli, si autoproclama “democrazia”, mentre annichilisce a forza di attentati false flag, di tecnologie e chip nel cervello (da oggi in produzione di serie) i propri sudditi, annienta con guerre e terrorismi i popoli disobbedienti, spiana le coscienze con la concentrazione dell’informazione in poche mani sporche di petrolio, armi, chimica e dollari. Rispetto a questo modello di democrazia, quello di Putin sfavilla. Con le sue libere elezioni, i suoi partiti d’opposizione, le sue agenzie, tv, pubblicazioni, di opposizione, di cui, alla faccia degli accanimenti diffamatori, si può aver quotidiana evidenza sul posto e in rete - persino maldestri diffamatori citano le critiche fatte da media e oppositori - sarebbe un paese a cui chiedere asilo politico. Dal 2014 sono mezzo milione i rifugiati dall’Ucraina. E non stanno nei CIE...

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Ma della Siria cosa vogliamo farne?
A Putin, piuttosto, vorremmo porre qualche domanda sulla Siria, sugli Usa che la invadono con i mercenari curdi, tagliano la strada per Raqqa all’esercito siriano, stanno mettendo in piedi, su territori rubati agli arabi, un Grande Kurdistan siro-iracheno che spacchi in due quei paesi. Domande anche sulla Turchia che occupa 2000 km quadrati di Siria e si allarga, su Israele che, sempre più regolarmente, corre in aiuto all’Isis bombardando la Siria, sui curdi che stanno sostituendo i jihadisti nel ruolo di soldati di ventura dell’Impero, sui jihadisti cui, in cambio, è affidato il nuovo caos da creare in Iran, Xinjiang, Cecenia, repubbliche ex-sovietiche, Filippine.

Abbiamo saputo che l’ottimo ministro Lavrov ha convocato l’ambasciatore di Israele. In compenso il golpista ucraino Poroshenko ha convocato il presidente israeliano, Rivlin, che gli ha assicurato pieno appoggio per il “recupero della Crimea” (vedi foto). Ne parliamo al prossimo giro. Intanto ci diciamo preoccupati.

Fulvio Grimaldi 

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mercoledì 29 marzo 2017

Italia - La porta dell’inferno


La porta dell’Inferno, immaginata da William Blake

«Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l’etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore:
fecemi la divina potestate,
la somma sapienza e ‘l primo amore;
dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch’ intrate.»

(La Commedia – versi 1-9 – Dante Alighieri)
Sui giornaloni ed in TV, come se fosse a capo del governo, il dimissionato Renzi continua a parlare qua e là. Ogni affermazione è il contrario di quella precedente. Lui fa un po' pena ma ancor più chi lo sostiene. Un branco di arrivisti assetati di potere o semplicemente poveri illusi? A proposito, che fine ha fatto il mega aereo di 180 milioni di euro che Renzi, credendosi un imperatore ha comprato con i nostri soldi?…
Italia - Paese con stipendi più bassi d’Europa. Paese con pressione fiscale più alta d’Europa. Paese più corrotto d’Europa. Paese con il tasso di mortalità più alto d’Europa. Paese con le nascite più basse d’Europa. Paese con il maggior numero d’arrivo di clandestini d’Europa. Media al 77esimo posto come libertà d’informazione. Tranquillo italiano, oggi tra un litigio dei componenti della casta e le varie boutades di Paoletti & Co, ho sentito che in Renzi dobbiamo credere sempre di più!
E la finta speranza del M5S? Questi non vogliono andare al governo, tengono a bada la protesta aspettando che la Finanza apolide  finisca di compiere il suo golpe. L’abbiamo visto con il lento cambiamento di rotta operato dai vertici grillini… (a riprova di ciò ripropongo una mia lettera pubblicata su La Stampa:   http://www.lastampa.it/2017/01/11/cultura/opinioni/l-editoriale-dei-lettori/crepuscolo-grillino-QsSim1r6YuZ6YKGMV14XsL/pagina.html)
Paolo D’Arpini - Portavoce European Consumers Tuscia
……………..
Una canzoncina finale ci sta ben: https://www.youtube.com/watch?v=jMGanySpxrE

Pensioni pagate dagli immigrati, un falso mito immigrazionista


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Questa è la busta paga di un lavoratore straniero con moglie priva di reddito e tre figli a carico.

I contributi Inps che vengono versati all'Inps dall'azienda sono 479 euro (di cui 349 euro a carico dell'azienda) ma al contempo, l'Inps versa al lavoratore 317 euro per gli assegni familiari; inoltre il lavoratore ottiene dal fisco uno sconto per detrazioni fiscali per 260 euro quindi non versa un euro di tasse e in aggiunta riceve anche gli 80 euro. 
Quindi sommando importi a debito e a credito questo lavoratore allo Stato non versa nulla ma, al contrario, prende. Infatti 479-317-260-80= +178
Ecco questa è una busta paga tipica di un lavoratore dipendente immigrato, quelli che -secondo i partiti immigrazionisti- dovrebbero  pagare  le pensioni degli italiani.
C'è poi da considerare che oltre a non versare ma a prendere, infatti la sua retribuzione netta è addirittura superiore a quella lorda, i suoi tre figli e la moglie utilizzeranno il welfare (scuola, asili nido, sanità).
Le gestioni INPS ed Erario vengono gestite dallo Stato in modo separato, ma quello che conta è che se verso nel settore contributivo ma prendo dal settore assistenza e fiscale per un importo superiore, alla fine lo Stato da te non prende ma versa. 

Questo lavoratore non versa un euro allo Stato grava sul welfare con il suo nucleo familiare di 5 persone usufruendo dell'assistenza sanitaria gratuita, asili nido, abitazione del Comune, scuola pubblica.
Ripeto non versando un euro allo Stato, ma a carico del contribuente italiano, figuriamoci se può pagarci la pensione.
Io non voglio pensare che politici come Emma Bonino siano in malafede ma voglio credere che non siano informati su queste "cose che hanno a che fare con i numeri" e che quindi siano convinti che facendo entrare immigrati che hanno redditi bassi e nuclei familiari numerosi che gravano sul welfare ritengano che ci pagheranno le pensioni. Ma non è così.
Ci potrebbero essere immigrati che pagano le pensioni: ad esempio se un ingegnere straniero arriva in Italia con moglie anche lei che lavora e tre figli a carico, se guadagna 60.000 euro lordi e la moglie 30.000 euro lordi non otterrà assegni familiari non avrà sconti fiscali e anche se utilizzerà servizi pubblici li pagherà attraverso i versamenti. Questo è il genere di immigrati che dovremmo incentivare una immigrazione qualificata che apporta valore aggiunto e know-how.

Luigi  - luleonin@libero.it

martedì 28 marzo 2017

Aleksandr Dugin, se sei amico di Putin non puoi stare in Europa....


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Europa e Stati Uniti hanno spesso ricambiato il favore ad Aleksandr Dugin. Un anno fa, il famoso politologo russo è stato messo alla porta in Grecia. Accompagnato dal patriarca di Mosca Kirill per una conferenza sul Monte Athos, Dugin è stato fermato all’aeroporto di Salonicco e gli è stato comunicato che il suo ingresso all’interno dei territori della Ue gli era interdetto. Un anno prima, il Dipartimento del tesoro degli Stati Uniti lo aveva inserito nella lista dei cittadini russi sotto sanzioni per la crisi ucraina. Un mese dopo è il Canada a mettere sotto embargo Dugin. Di lui hanno scritto tutti, da Foreign Policy, che lo chiama “il cervello di Putin”, al Sole 24 Ore, che la settimana scorsa lo ha definito il “Rasputin di Putin”. 

Figlio di un ufficiale sovietico, dissidente negli anni Ottanta, avversario di Eltsin negli anni Novanta, Dugin è un pensatore russo che un saggio della rivista australiana Quadrant ha definito “un consapevole folle postmoderno”. Ma un folle con accessi politici importanti. Il suo libro, “Fondamenti della geopolitica”, è usato nelle scuole militari, Dugin è una presenza fissa sulla tv Tsargrad (canale patriottico voluto dal Cremlino e finanziato dal miliardario Konstantin Malofeev) e quando la Turchia ha abbattuto due aerei russi Dugin ha usato i suoi contatti ad Ankara per aiutare Putin a ricucire con Erdogan. Il filosofo coltiva anche relazioni in tutta Europa, come in Grecia, dove è molto amico del ministro degli Esteri, Nikos Kotziás, così come pare ci sia un legame con Steve Bannon, braccio destro di Donald Trump alla Casa Bianca.  Dugin ha concesso questa intervista esclusiva al Foglio per spiegare non soltanto le sue idee, ma anche la visione che guida la Russia di Putin. 

Alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha parlato della nascita di un “ordine postoccidentale”. Questo è puro Dugin. Quanto è vicino a Putin? “E’ difficile rispondere, non sono così vicino al presidente come pensano alcuni, ma molte idee che ho espresso in filosofia, in politica, hanno molto influenzato Putin”, ci dice Dugin. “Non bisogna esagerare, anche se è vero che c’è stata un’influenza autentica delle mie idee sul presidente. Le idee hanno un proprio destino, e possono influenzare la logica della politica e della storia. Le idee sono enti viventi e possono trovare molti modi per arrivare alla gente. Il problema con l’occidente è proprio questo, è che non crede più nelle idee, c’è un mondo spirituale dove vivono le idee e che l’occidente non riconosce più”.
  
Ad Aleksandr Dugin chiediamo dove nasca la sua avversione culturale per l’Europa che tanto sembra aver ispirato Putin. “Oggi l’Europa occidentale sta nella trappola della modernità e della postmodernità, il progetto della modernizzazione liberale va verso la liberazione dell’individuo da tutti i vincoli con la società, con la tradizione spirituale, con la famiglia, con l’umanesimo stesso. Questo liberalismo libera l’individuo da ogni vincolo. Lo libera anche dal suo gender e un giorno anche dalla sua natura umana. Il senso della politica oggi è questo progetto di liberazione. I dirigenti europei non possono arrestare questo processo ma possono solamente continuare: più immigrati, più femminismo, più società aperta, più gender, questa è la linea che non si discute per le élite europee. E non possono cambiare il corso ma più passa il tempo e più la gente si trova in disaccordo. La risposta è la reazione che cresce in Europa e che le élite vogliono fermare, demonizzandola. La realtà non corrisponde più al loro progetto. Le élite europee sono ideologicamente orientate verso il liberalismo ideologico”.

A Mosca, la vittoria di Donald Trump è stata accolta con favore, per usare un eufemismo. “Trump negli Stati Uniti ha preso il potere cambiando un po’ questa situazione, e l’Europa si trova oggi isolata”, continua Dugin. “La Russia oggi è il nemico numero uno dell’Europa perché il nostro presidente non condivide questa ideologia postmoderna liberal. Siamo nella guerra ideologica, ma stavolta non è fra comunismo e capitalismo, ma fra élite liberal politicamente corrette, l’aristocrazia globalista, e contro chi non condivide questa ideologia, come la Russia, ma anche Trump. L’Europa occidentale è decadente, perde tutta l’identità e questa non è la conseguenza di processi naturali, ma ideologici. Le élite liberal vogliono che l’Europa perda la propria identità, con la politica dell’immigrazione e del gender. L’Europa perde quindi potere, la possibilità di autoaffermarsi, la sua natura interiore. L’Europa è molto debole, nel senso dell’intelletto, è culturalmente debole. Basta vedere come i giornalisti e i circoli culturali discutono dei problemi dell’Europa, io non la riconosco più questa Europa. Il pensiero sta al livello più basso del possibile. L’Europa era la patria del logos, dell’intelletto, del pensiero, e oggi è una caricatura di se stessa. L’Europa è debole spiritualmente e mentalmente. Non è possibile curarla, perché le élite politiche non lo lasceranno fare. L’Europa sarà sempre più contraddittoria, sempre più idiota. I russi devono salvare l’Europa dalle élite liberal che la stanno distruggendo”.

“Irrisolta la questione ucraina” Ma la Russia non dovrebbe aspirare ad avvicinarsi all’Europa, come sembrava dopo il crollo del comunismo? “La Russia è una civiltà a sé, cristiana ortodossa. Ci sono aspetti simili fra Europa e Russia. Ma dopo il crollo del comunismo, quando la Russia si è avvicinata all’occidente, abbiamo capito che l’Europa non era più se stessa, che era una parodia della libertà, che era decadente e postmoderna, che versava nella decomposizione totale. Questo occidente non ci serviva più come esempio da seguire, per cui abbiamo cercato un’ispirazione nell’identità russa, e abbiamo trovato che questa differenza è fra cattolicesimo e ortodossia, fra protestantesimo e ortodossia, noi russi siamo ereditari della tradizione romana, greca, bizantina, siamo fedeli allo spirito cristiano antico dell’Europa che ha perso ogni legame con questa tradizione. La Russia può essere un punto di appoggio per la restaurazione europea, siamo più europei noi russi di questi europei. Siamo cristiani, siamo eredi della filosofia greca”. Al centro del pensiero di Dugin, accanto alla lotta al liberalismo, è l’Eurasia, a giustificazione dell’ambizione di Mosca di ritornare nelle terre ex sovietiche, dal Baltico al mar Nero, di restaurare il dominio sulle popolazioni non russe, arrivando a stabilire perfino un protettorato sull’Unione europea.

“I paesi vicini alla Russia erano costruzioni artificiali dopo il crollo dell’Unione sovietica e non esistevano prima del comunismo”, dice Dugin al Foglio. “Sono il risultato del crollo comunista. Erano invece parte di una civiltà euroasiatica e dell’impero russo prerivoluzionario. Non c’è aggressione di Putin, ma restaurazione di una civiltà russa che si era dissolta. Queste accuse sono il risultato della paura che la Russia si riaffermi come potere indipendente e che voglia difendere la propria identità. L’Ucraina, la Georgia, la Crimea, hanno fatto tanti errori contro la Russia e aggredito le minoranze russe che vivono in quei paesi”. Ma le avete invase. “La Russia con grande potere ha risposto alle violazioni dei diritti georgiani, osseti, ucraini, abkhazi, crimei. L’Europa non può comprendere l’atto politico per eccellenza, la sovranità, perché essa stessa ha perso il controllo della propria sovranità. Trump ha cominciato a cambiare la situazione negli Stati Uniti e ha ricordato che la sovranità è un valore e noi russi con Putin abbiamo ricordato questo al mondo prima di Trump”. La Russia quindi metterà gli occhi anche sui paesi della Nato al proprio confine, la questione di Kaliningrad, ex Koenigsberg, la patria di Kant, il cuneo fra est e ovest? “Geopoliticamente, i paesi baltici non rientrano nella sfera di interesse dei russi, con la Georgia siamo in un momento di stabilità, il problema resta con l’Ucraina, perché la situazione non è pacifica, non abbiamo liberato i territori dove l’identità pro russa è dominante, dove è vittima di un misto di neonazisti e neoliberali. L’Ucraina resterà il problema numero uno, ma con Trump c’è la possibilità di uscire dalla logica della guerra”.

Europa e islam. Putin si vanta di aver costruito un concordato con l’islam in Russia, mentre l’Europa è sotto attacco islamista. “Il problema non è con l’islam, ma le élite hanno fatto entrare milioni di musulmani, senza integrarli perché c’è un vuoto senza identità”, prosegue Dugin al Foglio. “In questo liberalismo non c’è più assimilazione culturale, gli europei non possono proporre ai migranti un sistema di valori, ma solo la corruzione morale. Questa politica suicida europea non può essere accettata dai migranti musulmani. E l’Europa si impegna per porre i musulmani, soprattutto i fanatici fondamentalisti, continuando a distruggere l’Europa: islamisti da un lato distruggono l’Europa e dall’altro ci pensano le élite liberal. L’ideologia wahabita e dello Stato islamico è il problema, non l’islam tradizionale che è vittima del fanatismo islamista. Senza questa politica dell’immigrazione, l’islam che esiste nelle sue terre non rappresenterebbe un rischio per l’Europa”. “Putin è forte, ma non lascia eredi”.

Da tre anni, la Russia ha costruito l’immagine di un paese che adotta politiche opposte a quelle dell’Europa. “I matrimoni gay e l’Lgbt sono questioni politiche, non morali. Non a caso l’ideologia liberale vuole destrutturare l’idea di uomo e donna. Putin ha compreso questo molto bene e ha cominciato a reagire contro questa visione che distrugge la società. Questo non è il problema della scelta personale e individuale, non ci sono leggi contro l’omosessualità, ma leggi contro la propaganda di questa ideologia gay che distrugge l’identità collettiva, che distrugge le famiglie, che distrugge la sovranità dello stato cercando di cambiare la società civile. Non è una questione morale o psicologica, ma politica”. Dugin è considerato un grande sostenitore di Putin, ma qui ne rivela i limiti.

“La storia è sempre aperta, non possiamo dire cosa sarà della Russia. Per creare un futuro forte e sano per la Russia dobbiamo fare molti sforzi, niente è garantito, ci sono molte sfide per la Russia e Putin è riuscito a rispondere a molte di queste, vincendo. Il problema del nostro paese consiste nella nostra forza e debolezza, Putin garantisce alla Russia la conservazione della sovranità e dell’identità, il ritorno sulla scena della grande Russia, ma siamo anche deboli, perché Putin rappresenta se stesso, non è riuscito a creare una eredità che possa garantire la sopravvivenza di questa idea della Russia. Finché c’è Putin, la Russia ha speranza di essere forte, ma Putin è un problema perché non ha istituzionalizzato la sua linea di pensiero. La Russia oggi è Putin-centrica”. Dunque, cosa vede in serbo per l’Europa? “Sono un seguace di René Guenon, che ha identificato la crisi della società occidentale europea ben prima del XXI secolo. La forma di degradazione spirituale dell’Europa è cominciata con il modernismo, la perdita dell’identità cristiana, ma è arrivato al culmine negli anni Novanta, quando tutte le istituzioni vennero plasmate dal liberismo di destra in economia e dal liberalismo di sinistra nella cultura. L’approvazione dei matrimoni gay mi hanno fatto capire verso dove stava andando l’Europa. Si arriverà presto al momento finale, dopo ci sarà il caos, la guerra civile, la distruzione. Forse è troppo tardi per ribaltare la situazione”.