venerdì 10 marzo 2017

Eutanasia - Discussione aperta e serena sulla “dolce morte”…



Prendo lo spunto dal recente caso di  Fabiano Antoniani, il giovane dj rimasto cieco e paralizzato dopo un incidente,  che giorni addietro  si è recato in Svizzera per  sottoporsi  al suicidio assistito. Come spesso succede questo fatto di cronaca ha riportato la discussione politica sulla "necessità" di una legge che faciliti la dipartita  di chi non se la sente più di vivere in questo mondo, per una ragione o per l'altra.  


Tutto il discorso si può dire  che abbia avuto inizio con Socrate e con la sua decisione di sottomettersi volontariamente alla morte, ovvero di non fuggire alla condanna inflittagli dagli ateniesi per avvelenamento con la cicuta.  Ai suoi tempi alcuni dei discepoli stretti gli consigliarono di non accettare la sentenza e di salvare la pelle scappando da Atene ma il filosofo imperterrito suggerì: “Prima o poi la morte arriva comunque, ora se io fuggissi per amore della vita negherei il valore della democrazia e del verdetto popolare liberamente espresso, inoltre non conoscendo ciò che mi attende nel “post mortem”  la curiosità innata del ricercatore che è in me  mi spinge a non scantonare da questa esperienza,  che  viene spontaneamente. Se dopo la morte non vi è più nulla  potrò godermi un meritato riposo se invece vi è ancora coscienza ed esistenza allora potrò    finalmente corrispondere con spiriti nobili ed elevati ed avere una interessante condivisione sul significa dell’Essere. In entrambi i casi perché preoccuparsi?” Con queste parole serene Socrate bevette l’infuso mortale e se ne  morì descrivendo dettagliatamente le sue esperienze  fisiche e psichiche in ogni momento del processo di dipartita.

Da un certo  punto di vista etico l’interruzione volontaria della propria esistenza   ha una sua dignità morale, non solo nella cultura occidentale ma anche in oriente, ove è accettato il “suicidio” onorevole, vedi il caso dell’auto sbudellamento (harakiri) in Giappone, o l’ascesa sulla pira degli asceti ancor vivi in India (ed a questo proposito ricordo la storia del guru prelevato da Alessandro Magno  nella piana gangetica e che si  immolò sul fuoco ardente poco prima della morte di Alessandro stesso).  Anche in Cina e nella cultura indioamericana la “morte sacrificale” viene accettata come un fatto normale, addirittura nella storia mesoamericana si narra che la creazione del mondo avvenne proprio in seguito al “sacrificio” di due importanti Dei (uno brutto ed uno bello) che si gettarono nel fuoco primordiale e da ciò fecero nascere la vita sulla terra.

 Allo stesso tempo, sempre da epoche immemorabili, viene posto l’accento sulla gravità del suicidio come atto di regressione karmica, ad esempio nella tradizione cristiana ai suicidi è comminato un girone infernale pessimo e persino in India ed in Tibet ai suicidi vengono riservate numerose reincarnazioni espiative (come ciechi o malati gravi).  Ma in questo caso si parla di atti di suicidio in cui si vuole fuggire dal proprio dovere karmico, non si ha il coraggio cioè di affrontare le prove e le sofferenze che la vita ci manda e quindi queste prove devono essere riportate davanti all’anima. 

Insomma c’è sempre il dubbio che  la morte auto indotta sia una specie di fuga o "noncuranza" verso la vita, come nel caso di decesso causato da eccessi e vizi,  in tal senso persino la persecuzione terapeutica -che tiene in vita il malato a “tutti i costi”-  potrebbe esser vista come una forma karmica espiativa conseguente a tale "noncuranza".

Per altri versi invece, dal punto di vista del giuramento di Ippocrate,  la cosiddetta “donazione” degli organi non è altro che un omicidio legalizzato, infatti molti anestesisti si rifiutano di certificare la “morte cerebrale” di infortunati (soprattutto giovani) ai quali vengono poi espiantati degli organi sani, poiché  tali asportazioni possono avvenire solo su “un organismo  vivo”  -il cuore della vittima  ancora batte-  mentre l’esame delle onde pensiero segnalanti l’attività cerebrale  indica  una linea piatta. Il che non significa però che tale “morte cerebrale” sia reale decesso, infatti la stessa condizione si manifesta ad esempio in uno stato di assorbimento profondo, come il samadhi dello yogi, ma già sappiamo che dal samadhi si può tranquillamente uscire e riprendere le funzioni vitali… Dal che se ne deduce che “materialmente” la donazione degli organi avviene “uccidendo” il donatore. Queste ipocrisie e falsità mediche sono poi “giustificate” dal punto di vista moralistico del mantenimento in vita di un corpo malato irrimediabilmente che viene conservato artificialmente “vivo”, attraverso il trapianto di organi sani da parte degli "ignari" donatori,  come tanti casi eclatanti descritti dalla cronaca.

Lasciando  da parte la “morale” resta comunque aperto il discorso della legalità e del diritto umano,  in Italia come nel resto de mondo  il legislatore decide (in teoria) su base  razionale e quindi la normativa  è ancora aperta sia pur confusa. 

Credo che il “feroce”  karma umano stia già lavorando nel tracciato del dovuto…. e mi si perdoni l’argomento "truce"...

Paolo D'Arpini  



1 commento:

  1. Commento di Gianni Caroli:

    “Eutanasia è un vocabolo greco, composto di un prefisso “eu” che vuol dire buono; e da “tanatos” che significa morte. La “buona morte” che ciascuno si augura per i malati terminali in preda a sofferenze acute, non  ha niente a che vedere però con la morte per disidratazione ed inedia, che i magistrati di Cassazione hanno inflitto alla indifesa Eluana Englaro: essere vivente, e senziente. I cui dolori fisici sono stati inenarrabili, perché se il cervello è spento alla ragione, i sensi ed il sistema nervoso che li irradia in parte funzionano. La morte per sete è orrenda, per i malesseri che provoca prima che intervenga il coma iperglicemico che uccide l’infelice torturato...”

    RispondiElimina

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.