martedì 7 marzo 2017

Egitto - La guerra delle spie è finita (ma non del tutto)


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....non credo a un Regeni "ingenuo", neanche tra virgolette. Il suo ruolo di destabilizzazione del governo di Al Sisi è chiaro dal contesto. L'Egitto, liberatosi a forza di collera popolare (l'ingresso dei militari arriva dopo) del despota bruciachiese Mohammed Morsi, Fratello Musulmano, insediato dagli elementi inquinati della primavera araba (e da un'elezione manipolata, boicottata dal popolo e partecipata dal 17% degli elettori), aveva sottratto il più importante paesi del Maghreb-Medioriente ai proconsoli coloniali dell'Occidente. Aveva assunto una politica estera "creativa",  addirittura di avvicinamento a Mosca e Damasco, svolgeva un ruolo determinante in una Libia che si doveva rendere stazione di rifornimento per le sette sorelle, aveva dato prova di efficienza con il raddoppio in pochissimo tempo del Canale di Suez. Grazie alla collaborazione col più debole tra gli attori della scena petrolifera, l'ENI, aveva irritato geopolitici e geopetrolieri; nel giorno del ritrovamento di Regeni, stava concludendo affari miliardari con Roma, in particolare sul giacimento gigante di gas al largo della costa (pensiamo a Enrico Mattei); era diventato un protagonista energetico scombussolando equilibri favorevoli a Isis e Israele, era laico, teneva testa al terrorismo che i Fratelli musulmani avevano condotto contro Mubaraq in prima persona e ora affidato ai cugini dell'Isis. L'Egitto non era crollato né con l'islamizzazione forzata di Morsi, né con i ripetuti colpi di maglio del terrorismo a firma occidentale-islamista: le stragi di Sharm el Sheik, l'abbattimento di aerei di linea, le bombe dal Sinai a Luxor, la campagna di satanizzazione condotta dallo schieramento neocon-talmudista-liberal-radicalchic e di cui Regeni doveva essere l'apice. E, dunque, un colpo fatale al turismo, seconda voce del bilancio.
 
Aggiungiamo i dati del giovane. Iniziazione formativa negli ambienti dell'intelligence Usa, lavoro alle dipendenze di una nerissima impresa di spionaggio e provocazione, Oxford Analytica, diretta da pendagli da forca come l'ex-capo del Mi6 (tempi degli attentati falsi di Londra!), McColl, il pregiudicato e carcerato cospiratore del Watergate, Young, il principe di tutti gli squadroni della morte, uomo della droga e dei Contras e devastatore di Iraq e Centroamerica, John Negroponte.


Basterebbero e avanzerebbero alla grande questo impiego, questi datori di lavoro, tali mandanti. In più i riservatissimi e imbarazzati referenti accademici, poco insistentemente curati dagli inquirenti italiani e pour cause, con la misteriosa cassaforte britannica da cui dovevano fluire le grosse somme di denaro che il giovanotto prometteva al suo interlocutore egiziano per un certo progetto in cambio di informazioni. Solo che, per sfrucugliare gli ambienti suscettibili di essere attivati per destabilizzare quell'Egitto, Regeni era incappato nell'interlocutore sbagliato. Uno che, appena si era sentito offrire soldi, non umanitari per lui e la famiglia in difficoltà, bensì per il "progetto" commissionato da Londra, reso possibile da "certe informazioni", correttamente aveva riferito alle autorità del suo paese.
 
Ora non rimane da noi che l'ultimo giapponese che crede che la guerra non sia finita. E' il capo di Amnesty International Italia, Khoury, che dalla sua trincea sbrindellata dai  dati di fatto, invoca ancora guerra, almeno diplomatica, ad Al Sisi. Crede che ci sia ancora una bella bomba sotto la poltrona dell'odiato presidente e tenta in tutti i modi di innescarla. Ma la miccia su cui agita le sue fiammelle è bagnata.
 
Tutti gli altri, francesi, britannici, tedeschi, se ne fottono e stanno già al banchetto brindando con  Al Sisi ai grandi affari futuri di cui, se va bene, l'Italia regenizzata raccoglierà qualche briciola. Ma non è detto se insiste con Regeni. E' sempre la stessa storia: quella dell'Italia che gli stessi dirigenti italiani svendono allo straniero fino a ridurla allo stato di detrito spiaggiato in cui si trova in questo finecorsa. 1992: navigano sul Royal Britannia,  passeggeri con in mano i nostri beni comuni: Draghi, Andreatta, City di Londra, Soros e, poi, per sicari dell'azzeramento del potenziale industriale nazionale, dall'Iri all'euro e al Fiscal Compact, gli agenti immobiliari Dini, Amato, Prodi, Berlusconi, D'Alema, Bersani, giù giù fino all'ultimo nanerottolo da giardino, il testè decapitato mezzotoscano che doveva, anche con l'operazione Regeni anti-Eni, contribuire al compimento dell'opera.
 
I chierichietti mediatici e politici dell'operazione che tanto hanno latrato sulle contraddizioni, reticenze, deficienze, degli investigatori egiziani, com'è che su un punto assolutamente cruciale, forse decisivo, dell'indagine, su un elemento giudiziario imprescindibile, non abbiano sollevato né questione, né ciglio? Trattasi del computer di Regeni, sequestrato e rapito dai famigliari dall'abitazione del Cairo e per sempre sottratto agli inquirenti egiziani. Che stanno zitti o tergiversano per carità di patria, della nostra patria e della patria mondiale dell'imperialismo dal quale sortiscono certi scorpioni, ma con cui tocca pur lavorare.
 
Fulvio

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