mercoledì 8 febbraio 2017

“De profundis”... e il popolo italiano


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Sto leggendo, ancora una volta, il “De profundis”. La prima volta, l’ho letto una trentina d’anni fa, ed  è il primo libro,  del quale ho pensato: ”come è scritto bene!”

E’ stato anche l’unico libro, sul quale ho formulato tale pensiero.

Ora, con le maree telepatiche che mi spingono ad apparire all’esterno, a diventare scrittrice, mentre il mio ruolo, per me chiaramente definito era di lettrice, l’ho ripreso in mano, proprio per quel pensiero.

L’ho riletto una volta, adesso lo sto rileggendo una seconda, sempre per poter essere una scrittrice.

Già, dalla prima volta, che l’ho ripreso in mano, ho notato il suo giocare con i fiammiferi, e come questo mi ricordava il popolo italiano.

Lui si vede vivere, penso comune a molti italiani, non solo a me: e si chiede, con il suo lucido cervello” dove andrò a finire?”.

Lui commette un’azione dopo l’altra, sempre più depravata, sempre un più grave; cioè, lui si vede commettere un’azione dopo l’altra, sempre più depravata e sempre un po’ più grave; lui è un uomo molto famoso, famoso nella Londra della ricerca , se vogliamo, anzi , anche in America era stato chiamato, per cui , possiamo dire che era famoso, nel mondo della ricerca, della riflessione.

Molto onorato: le sue commedie erano sempre accompagnate dal successo.

Non aveva nulla a che fare con la Londra Vittoriana, se vogliamo dire, ma questa si teneva lontano da lui, con le sue critiche.

E lui, al seguito di questo piccolo Lord, iniziò la discesa morale, con quasi una unica curiosità: ”dove andrò a finire?”

Lo dice chiaramente nel De Profundis.

Ed io penso a me, al popolo italiano.

A me, in questo clima di insicurezza economica, che spando e spendo: ”dove andrò a finire? Quello che compro, mi serve per stare in piedi, per affrontare gli attacchi energetici?“.

Al popolo italiano, che nella telepatia riversa tutta la sua crudeltà, la sua indifferenza al rispetto umano.

Riecheggiano le Fosse Ardeatine, con la frase:  ”abbiamo fatto una retata sull’autobus, tutti quanti sono comunisti, tranne questi cinque. Che ne facciamo?”

Risposta: “Visto che ormai sono qui, ammazzali”

L’indifferenza alla persona, al rispetto della persona.

E dietro ogni frase orripilante che ascolto, cui segue un’altra ancora più orripilante, sento la medesima domanda” dove andrò a finire? Questa sensazione di sicurezza, che mi dà la telepatia, e che mi fa scoprire un me, ancora più brutto, ancora più brutto, dove mi porterà?”

Oscar Wilde ha pianto la sua risposta, in un posto ove si piange ogni giorno, e dove, se non si piange, il cuore è essiccato.

Oscar Wilde canta il suo dolore, la risposta che ha avuto, è stata molto lontana dalla sua immaginazione.

Lui la usava, per fare ridere, in un teatro dell’assurdo, per fare cambiare un poco un popolo.

Un’immaginazione grande, insomma, ma la risposta fu molto più grande, anzi lontana, da qualsiasi immaginazione, fantasia,o arte, con il quale avesse voluto guardare – rivestire la realtà.

Nei suoi lunghi periodi, senza virgole o punto e virgola, ti fa sentire a quale dolore, annientamento, può portare il curioso, pigro, indagare sé stessi: giorno dopo giorno, azione dopo azione, con la eterna domanda”dove andrò a finire?”

In un mondo ,così sicuro, tutto è ridotto ad una parola : carcere, dolore, parole che sembrano incollate sopra una parete, tanto significano solo le “d” le “p”, le “e”, le “o”, di cui sono composte.

Poi, un “De Profundis” arriva: anche lui ha giocato con i fiammiferi, un adulto, una persona onorata dalla società, una persona, che giocando con i fiammiferi, non si poteva far male, con l’eterno ritornello nella mente:”dove andrò a finire?”

Ed è  un gioco tra lui ed il male, fino a che lui non è più il protagonista, è  il male.

Mi affidavo alla mia volontà, dice, sapevo che al momento opportuno avrebbe vinto; ed invece no.

Quanti italiani, italiane, come ci chiamano i nostri emigranti, nel telepatico, vanno nel gioco dei fiammiferi.

Sembra un gioco stupido, all’inizio, e le nostre parole tirano altre parole, ed il svelare un lato del nostro carattere, ci spinge a svelarne ancora un pochino, sempre in quella direzione, ad edificare piano, piano, dentro di noi, cioè, all’esterno, nella mente altrui, siamo nel telepatico, un essere che diventa sempre più mostruoso, un essere che non esiste, o che esiste?, con l’eterna domanda”dove andrò a finire?”

“ Sono in terreno inesplorato, la telepatia; dove andrò a finire?”

Oscar Wilde impiega un libro per descriverlo, si chiama “De Profundis”.   

Milena Auretta dr Rosso


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