mercoledì 13 gennaio 2016

Meritocrazia e servilismo... per far piacere al padrone



Da tempo il “merito” è divenuto un criterio chiave invocato dai padroni e dai loro rappresentanti di destra e di ”sinistra” per distribuire il salario, selezionare i lavoratori, gli studenti, persino i disoccupati.
Ma cosa è il “merito” e qual è la sua funzione nell'attuale società?
In poche parole, il merito è ciò che è utile ai borghesi per avvantaggiarsi nella concorrenza e nella competizione all’interno del mercato capitalistico.
Esso ha sempre avuto il ruolo di sancire il potere unico del padrone o del governante, e il significato di ridimensionare ogni valutazione fondata sulla conoscenza e il “saper fare”, valorizzando invece, come fattori determinanti, criteri come quelli della fedeltà, della lealtà e della cieca obbedienza al padrone, al caporeparto, al capo ufficio, al barone universitario, al politicante di turno. 
Non a caso il più evidente tentativo da parte di un sistema politico di basarsi sulla meritocrazia è stato quello dei regimi fascisti.
Già nel modello fordista la meritocrazia serviva a soppiantare criteri di riconoscimento come la qualificazione e la competenza dei lavoratori.
Nelle fabbriche la meritocrazia ha sempre avuto una funzione antioperaia e antisindacale, volta a dividere i lavoratori della stessa qualifica o della stessa mansione, per definire salari, inquadramenti, etc., in base alle logiche che abbiamo descritto.
L’utilizzo dei premi e delle promozioni “di merito” (leggi lecchinaggio) si è quindi strettamente legato alla penalizzazione degli scioperi e delle assenze (specie per malattia e infortunio).
È proprio questa concezione del merito e della meritocrazia, decisi da parte di un’autorità “superiore”, che è stato messo in discussione dalla lotta operaia nell’autunno caldo (1969).
Col predominio del neoliberismo la meritocrazia è stata riscoperta come panacea delle piaghe insanabili dell’economia borghese.
In realtà, nulla è più lontano dal merito nel sistema capitalistico.
Le aziende, l’apparato statale, la burocrazia, le scuole, i partiti, sono dominati da gruppi sociali caratterizzati da privilegi che spesso passano di padre in figlio, da una corruzione lampante, da appoggi clientelari. Guarda caso i lavoratori che svolgono i lavori più pesanti e che comportano rischi per la salute e la loro vita, sono anche quelli peggio pagati, assai meno dei parassiti che non muovono paglia e fanno la bella vita. 
Come la mettiamo allora col decantato merito? Non è una questione di vocabolario, ma di rapporti di classe. Il merito è sempre di chi ha più ricchezza, più proprietà, più conoscenze e dunque più opportunità.
E’ di chi sostiene per scelta o per vigliaccheria la divisione in classi della società, lo sfruttamento, la pace sociale che fa tanto comodo a chi ha il potere economico e politico. 
Il “merito” in questa società serve ai padroni per soffocare le esigenze e le rivendicazioni economiche e politiche della stragrande maggioranza dei lavoratori. Serve a ridurre il monte salari, a rompere la solidarietà di classe, a moltiplicare le divisioni e la concorrenza fra sfruttati. Serve a scassare i diritti individuali e i contratti collettivi, a scoraggiare la lotta, lo sciopero, le proteste contro un sistema inumano. E’ utile solo per formare un’aristocrazia di privilegiati funzionale al potere dei padroni e dei loro governi. Respingiamolo in massa e difendiamo uniti i nostri interessi di classe!
Da: Scintilla, n. 65 – gennaio 2016 - teoriaeprassi@yahoo.it

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