domenica 24 gennaio 2016

"Le tombe dei re al tempo del Terrore" di Max Billard - Recensione



Nell’Introduzione a Rivolta contro il mondo moderno, Evola fa
giustamente notare che «dovunque si sia manifestata o si manifesterà
una civiltà che ha per centro e sostanza l’elemento temporale, là si
avrà un risorgere, in forma più o meno diversa, degli stessi
atteggiamenti, degli stessi valori e delle stesse forze che hanno
determinato l’epoca moderna nel senso proprio di questo termine»;
dove, al di là dell’attenzione rivolta nello specifico al tempo e al
divenire, emerge l’idea di ricorrenti “segni”, che marchiano
determinate epoche e determinate manifestazioni politiche e sociali.
E, continuando la stessa citazione evoliana, sarà il caso di ribadire
che «mentre dal punto di vista della “scienza” si dà valore al mito
per quel che esso può fornire di storia, dal nostro, si dà invece
valore alla stessa storia per quel che essa può fornire di mito, o per
quei miti che s’insinuano nelle sue trame, quali integrazioni di
“senso” della storia stessa». Anche se, nel caso di cui ci andiamo a
occupare, si ha a che fare con miti negativi e oscure manifestazioni,
propri dei tempi ultimi.

Nel processo sovversivo, che ha condotto l’umanità all’indegno stato
attuale, la Rivoluzione che devastò la Francia nel 1792, autentica
infezione dello spirito, rappresenta da un lato un punto di arrivo, e
dall’altro un punto di partenza, verso ulteriori accelerazioni del
medesimo processo. Tradotta e curata da Renzo Giorgetti, quest’opera
dello storico Max Billard, volutamente dimessa nella forma e nella
veste grafica (per un’intelligente scelta editoriale che intende
riprodurre i canoni propri delle pubblicazioni di inizio Novecento,
essendo a suo tempo l’opera stata stampata a Parigi nel 1906), ci
presenta la documentazione dettagliata e puntuale di un ambito
particolare in cui la follia partorita dalla Rivoluzione Francese si
esercitò, con insolito zelo e inusuale dedizione: la distruzione e la
profanazione delle sepolture reali della basilica di Saint-Denis, in
spregio alla monarchia e alla sua consacrazione da parte della Chiesa,
«un resoconto esatto di una delle pagine più pungenti di quella epoca
oscura nella quale la profanazione non rispettò nemmeno le dimore dei
morti». Un metodico lavoro svolto da apposite maestranze stipendiate,
scrupolosamente registrato con minuziosi elenchi, e sviluppatosi nel
tempo, senza neppure la giustificazione dell’episodio straordinario
legato ai moti incontrollati della piazza e alla massa inferocita
aizzata da odi e rancori a lungo covati.

Dice Billard che «il vento di follia che passava sulla Francia aveva
alterato così tanto il senso morale che si facevano giocare i bambini
al boia, si vendevano piccole ghigliottine» come giocattoli, e il 21
gennaio 1793 si «decapitava, nella persona di Luigi XVI, otto secoli
di monarchia». Il trionfo della ghigliottina faceva sì che si
tagliassero anche le teste delle statue di pietra, e «tutti gli atri
mutilati delle cattedrali ricordano ancora questo vandalismo
rivoluzionario che aveva bruciato gli archivi, saccheggiato le
biblioteche e i magazzini e a cui non rimaneva altro, per completare
la sua opera di distruzione, che violare la dimora dei morti».

La basilica gotica di Saint-Denis, sorta sul luogo in cui venne
martirizzato l’apostolo dei Galli, il vescovo di Lutezia (oggi Parigi)
San Dionigi, ospita in una galleria sotterranea il cimitero dei
Borboni, da DAgoberto a Pipino, da Carlo Martello a Clodoveo II e
Carlo il Calvo, fino ai regnanti più recenti e giunti a ridosso della
Rivoluzione; oltre alle tombe di numerosi personaggi illustri, degni
per il valore dimostrato verso la Chiesa o verso il loro re. La
Convenzione, in una seduta del 31 luglio 1793 presieduta da Danton,
per celebrare l’anniversario della fine della monarchia, decise che
«le tombe e i mausolei dei vecchi sovrani, eretti nella chiesa di
Saint-Denis, nelle chiese e in altri luoghi, in tutto il territorio
della Repubblica, saranno distrutti il prossimo 10 agosto». I “lavori”
ebbero inizio il 6 agosto, e in tre giorni si distrusse l’opera di
dodici secoli. I monumenti che ornavano le tombe vennero, in gran
parte, distrutti, e quelli in metallo fusi, per riutilizzare il rame e
il bronzo e «farne delle bocche da fuoco destinate a fulminare i
nemici della Repubblica», mentre i resti di alcune tombe formarono
davanti al portale della chiesa una montagna simbolica, sulla cui cima
fu posta una statua della Libertà.

Le profanazioni proseguirono per mesi, nella bovina euforia generale
della plebaglia per la tanto agognata rivincita contro i «tiranni del
passato». Non ci si fermò davanti a nulla, le bare vennero aperte e i
poveri resti in esse conservati furono rovistati e derubati di tutto
quello che poteva essere separato dalle polveri, dalle ossa e dalle
poltiglie fangose. Il corpo di Enrico IV, per esempio, che si era
mirabilmente conservato e sembrava dormire, fu messo «in piedi su una
pietra: una donna, dalla figura odiosa, volle sfidare il cadavere, che
era là, addossato a un pilastro, con la sua barba grigia, pallido e
con i suoi denti serrati. Avanzò con il pugno teso verso il volto del
re e lo schiaffeggiò facendolo cadere per terra. Uno dei presenti non
temette di togliere due denti al cadavere raggrinzito, un altro di
strappare una manica della sua camicia e di sventolarla per la chiesa,
fiero come un soldato che ha conquistato uno stendardo». L’Autore,
attingendo a documenti dell’epoca e a relazioni di testimoni oculari,
ci mette a conoscenza del progressivo slittamento delle coscienze,
dove scompare ogni traccia di pietà compassione e rispetto, man mano
che i singoli sepolcri vengono violati. Ogni nuova tomba aperta è
occasione per un altro giro nella spirale verso il basso.

Billard giustamente annota, nelle righe conclusive della sua opera,
che «quegli uomini abominevoli, che violarono l’asilo dei morti, hanno
commesso un crimine e una mostruosa assurdità, come se la violazione
dei sepolcri fosse utile alla causa della libertà, come se le passioni
degli uomini avessero il diritto di frugare nelle tombe». Ma proprio
questo è il punto che ci interessa maggiormente evidenziare di questa
oscura pagina di storia. Tornando alle considerazioni di Evola poste
in apertura del presente scritto, esistono, come dicevamo, dei “segni”
e delle “manifestazioni” che marchiano indelebilmente certi uomini e
le società da loro animate, rendendoli partecipi di un comune filone
antiumano e malefico, dove l’elemento principale ricorrente è quello
della matta bestialità. E seguendo il sentiero prima indicato da Evola
di risalire dal fatto storico al mito, dal frutto all’albero, non sarà
difficile individuare sotto quali influenze si sia sviluppata la
nostra epoca, e a quali poteri reali essa sia soggetta.

Tale “marchio” lo si ritrova puntuale in tanti altri eventi storici:
dalla Rivoluzione d’Ottobre in Russia, alla Guerra civile spagnola;
dalla Cambogia di Pol Pot alla rivoluzione culturale cinese; dai
massacri delle popolazioni Pellerossa in America, al quotidiano e
silenzioso sterminio del popolo palestinese da parte dei sionisti. Una
catena ininterrotta del male e della perfidia, che porta direttamente
all’attuale, ultima manifestazione dello stesso potere, rappresentato
dalla follia iconoclasta e omicida che serpeggia in ogni gesto e in
ogni azione del sedicente Stato Islamico.

La «matta bestialitade» che, seguendo Aristotele, Dante associa a
incontinenza e malizia ne «le tre disposizion che ‘l ciel non vole»,
rimanda a una consuetudine e assuefazione al male tale da annullare
ogni contenuto di umanità, producendo comportamenti e inclinazioni
degni delle bestie, perché in essi è del tutto assente la ragione. Da
qui i comportamenti illogici e irrazionali, le crudeltà inutili e
gratuite, l’atteggiamento malvagio e stolto. Tutti elementi che
ritroviamo, appunto, negli eventi storici prima ricordati. E che,
purtroppo, secondo le leggi cicliche, non potranno che aumentare e
moltiplicarsi sempre più nel prossimo futuro.




Max Billard, Le tombe dei re al tempo del Terrore, Edizioni Saecula,
Zermeghedo 2014, pp. 104, € 10,00.

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