martedì 19 gennaio 2016

La chiave della pace è fatta di consapevolezza



“Il mito da abbattere nell'umanitá è che la violenza sia un arma per il cambiamento positivo della storia...  Solo chi è stato profondamente consapevole dei danni immensi insiti nel domino violento e della guerra ha saputo, pur a volte usandola per difendersi dalla pazzia dei violenti, dare alla storia cambiamenti profondi" . (Ermanno Butti). 

Ci sarebbe molto da dire su questa considerazione
potenzialmente interessante, ma un po’ generica. La violenza si
configura ampiamente nella istituzione stato, il quale non la elimina,
si limita a fingere di gestirla normandola, ed aggiuntivamente
violando le proprie stesse norme. Purtroppo questo è un problema che
l'umanità non è riuscita a risolvere, salvo strumentalizzarlo
penosamente con attribuzione ideologica all'avversario politico di
turno. In ogni caso, i metodi del neoliberismo non sono "necessari":
sono solamente sanguinari. Così come usano, di solito, le classi
dominanti che si impadroniscano dello stato. Nel secolo XX, nel quale
siamo nati, i giganteschi massacri delle due guerre mondiali sono
state opera criminale delle classi dirigenti delle potenze borghesi.


Purtroppo è un metodo che non funziona. Non basta avere uno stato, se
non esiste una sufficiente cultura della pace e della non violenza, il
che implica un cambiamento radicale dei rapporti di produzione. Finché
esiste lo sfruttamento è inevitabile che prima o dopo da qualche parte
la violenza emerga. Ed eliminare lo sfruttamento comporta un
cambiamento profondo di mentalità e cultura. Da 25 anni l'Italia è
complice del gigantesco crimine terroristico delle guerre coloniali di
aggressione contro gli altri popoli. Una vergogna e una colpa
gravissime nascoste da una patologica nauseante rimozione politica di
comodo sulla pelle e sul sangue del prossimo. Operativamente, per ora,
si può stare relativamente “tranquilli”: le guerre che il neoliberismo
poteva fare naturalmente le ha fatte, ora non può più procedere oltre,
essendo ormai arrivato al confine con un impero più attrezzato del
suo. 


La guerra non è espulsa dalla storia dell’umanità (come hanno
auspicato Albert Einstein e Gino Strada), ma attualmente non è in
condizione di potersi espandere ancora. Ora lo stallo bipolare non ha
vie di uscita. Riguardo la "consapevolezza" evocata nella citazione
iniziale (...solo chi è consapevole....ecc ecc. ) l'argomento è
suscettibile di molte riflessioni. Si tratta di una questione di
mentalità e cultura. E' evidente che finché il mondo in cui viviamo
continua ad armarsi (e i paesi industriali a stimolare il fenomeno
tramite l'esportazione, che fa pil ma non fil) la probabilità che le
armi vengano impiegate non fa che crescere. Ma perché così tanta gente
vuole armarsi ? Esistono alternative ? E' naturale che esistono, e
solo la cultura delle alternative può affrontare il problema. Faccio
ora un esempio semplice. Abito in centro città, poco dietro piazza
Erbe, e dietro l'angolo della mia via c'è una gioielleria. E' protetta
dai furti dalla classica doppia porta blindata a vetrate infrangibili
antiproiettile, ma non basta: è sorvegliata all'esterno da una guardia
armata. E' necessario tutto questo, o ci sono alternative ? Invece di
stipendiare un uomo armato di pistola il proprietario potrebbe
scegliere di pagare una assicurazione contro il furto. A parità di
spesa, pagare un uomo armato produce il rischio di una sparatoria e
anche di un omicidio, mentre pagare una assicurazione che metta al
riparo dall'eventualità di un furto no. E' questione di mentalità, per
il proprietario, scegliere se spendere i propri soldi in armi o in
assicurazioni. Un minimo di cultura di non violenza farebbe
chiaramente scegliere l'assicurazione invece che la pistola. L'esempio
è del tutto pertinente, dal momento che nelle grandi dimensioni il
mondo politico che organizza gli stati e le loro azioni non è che il
prodotto delle popolazioni e della loro mentalità dominante. Se si
vuole la pace non rimane che costruire una cultura di pace e non
violenza, operazione da farsi ovunque sia possibile, attraverso la
invenzione di alternative alla guerra ed alla violenza. Senza produrre
e propagandare alternative allo status quo vigente naturalmente non
cambierà nulla. Ma produrre e propagandare alternative è in nostro
potere. Il pensiero, la riflessione, l'analisi, sono armi non violente
di confronto delle quali ognuno di noi dispone: 90 miliardi di neuroni
pro capite sono a nostra disposizione per ogni genere di nuove sinapsi
a raffigurare problemi e soluzioni. Facciamone uso. 


Gandhi diceva, tra le altre cose: "Non esiste una via alla pace, la pace è la via", ma sfortunatamente il mondo in cui viviamo non è su quella via, e non è in pace. Né, naturalmente, può esserlo, fintantoché i paesi industrializzati esportano armamenti nel mondo. Purtroppo l'Italia è al settimo posto in questa macabra classifica di esportatori d'armi, e non c'è governo che mostri di voler affrontare alla radice il problema. "Contro la guerra dobbiamo essere duri come le pietre” (Aldo Capitini).

Certamente.Oggi come ieri, ed anche più di ieri.

Vincenzo Zamboni

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