giovedì 27 agosto 2015

"La buona scuola" di renzi serve a promuovere l'educazione "gender"



La Camera ha approvato la riforma della scuola con 277 voti a favore, 173 contrari, dei quali 4 dalle file del Pd, e 4 astenuti. Si tratta del via libero definitivo, sul quale non erano previste sorprese. La seduta ha comunque riservato alcuni fuori programma, a partire dall’avvio turbolento. 

Mentre in piazza Montecitorio manifestavano i sindacati della scuola, infatti la discussione in aula è stata sospesa dopo che la Lega ha esposto cartelli con su scritto “Giù le mani dai bambini”, costati anche l’espulsione del capogruppo Massimiliano Fedriga. La protesta è stata un tentativo in extremis di attirare l’attenzione su uno dei capitoli più controversi del testo e più glissati da parte del governo: l’introduzione nella riforma dell’insegnamento dell’ideologia gender, fin dalle scuole dell’infanzia.


Il gender nascosto nei riferimenti normativi

Il fatto che la riforma introduca una «offerta formativa» che punta a negare l’esistenza delle differenze biologiche tra uomo e donna è stato recisamente negato dal governo e in particolare dalla componente centrista dell’Ncd. Ma uno studio attento del testo dimostra il contrario. In particolare, sono state le associazioni pro Vita e delle famiglie a lanciare un allarme dettagliato, spiegando che l’insidia si nasconde all’interno dei riferimenti normativi cui il ddl rimanda. Ovvero, nel testo della “Buona scuola” non si parla esplicitamente di gender, ma – dietro la comoda facciata della lotta alla discriminazione – al comma 16 si rimanda alla legge 119 del 2013. Un richiamo incomprensibile per i non addetti ai lavori, anche perché a sua volta richiama a un altro riferimento normativo: la Convenzione di Istanbul, che proprio la legge 119 di fatto attua.


Ecco a cosa punta davvero il ddl Buona scuolaCosa dicono, dunque, queste leggi che ora, attraverso il ddl Buona scuola, entreranno di prepotenza nelle classi e, quindi, nelle case degli italiani? La convenzione di Istanbul dice, tra l’altro, che «con il termine genere ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini». Dunque, secondo questa definizione, non si è uomo e donna perché così si è nati, ma perché la società così impone. È la sintesi dell’ideologia gender e, in sostanza, per la convenzione di Istanbul se invece si riconosce una differenza biologica si compie una discriminazione. La legge 119 del 2013, recepisce questa direttiva rendendola piano operativo e dicendo che bisogna «promuovere una adeguata formazione» non solo alle superiori, ma fin «dalla scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione». Ora, a chiudere il cerchio, arriva il ddl Buona scuola con cui il governo inserisce il gender direttamente nelle strategie di lungo termine per l’istruzione italiana. Con la firma di una ministra eletta con i moderati di Scelta Civica e con l’avallo dell’Ncd.

Il tanto contestato comma 16 del ddl Buona Scuola infatti, assicura l’attuazione dei principi delle pari opportunità con la promozione “dell’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall’articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93”.

Queste tematiche includono, secondo la legge citata, la prevenzione della violenza sulle donne e della discriminazione di genere. Fin qui nulla di particolare. Ma per capire che il “genere” di cui si parla non si riferisce alla mera nozione di “sesso biologico”, basta approfondire il quadro normativo a cui il testo si richiama. E in particolare due documenti: la Convenzione di Istanbul, che viene di fatto recepita ed attuata con la legge 119 del 2013 a cui il testo della nuova legge si riferisce, e il Piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, cui fa riferimento l’articolo 5 comma 2 della stessa legge.

Nella Convenzione di Istanbul, ad esempio, vediamo infatti come la definizione di “genere” sia messa nero su bianco, e come non si parli appunto, di “sesso biologico”, ma di “ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti”. 


Facendo quindi chiaramente riferimento al filone dei gender studies, per cui il sesso non sarebbe un’attribuzione naturale e biologica, ma una costruzione sociale. Il Piano straordinario, poi, va anche oltre, attribuendosi come obiettivo prioritario, tra gli altri, quello di educare al “superamento degli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell’essere donne o uomini (…) mediante l’inserimento di un approccio di genere nella pratica educativa”.   Fino a prova contraria dunque, “sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori” al nuovo approccio “gender” è previsto nella Buona Scuola.

Stralcio di una lettera di Fabrizio Risvegli



(Fonte notizie: http://www.stampalibera.com/)

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