domenica 31 marzo 2013

Aumenta la terra (mal)ferma - Tra l'Atlantico ed il Pacifico emerge un'immensa isola (di plastica)



La nazione indipendente delle isole di spazzatura
  

Il prossimo 11 aprile nascerà un nuovo Stato. Si chiamerà Garbage Patch. Pochi ne conoscono l’esistenza, benché abbia dimensioni colossali - due volte il Texas - e sia composto da cinque immensi anelli che spaziano dall’Atlantico al Pacifico. 
I satelliti non riescono a fotografarlo. La ragione? Semplice: sono immense isole formata da residui, fondamentalmente di plastica dispersa, gettati dall’uomo nei mari. 

La fondatrice di questa nazione non biodegradabile è Maria Cristina Finucci, lucchese di 56 anni che vive a Madrid, architetto e artista che sperimenta nuovi linguaggi che stimolano i comportamenti umani. Garbage Patch sarà riconosciuto ufficialmente, con una installazione-performance, all’Unesco di Parigi, con il patrocinio del ministero italiano dell’Ambiente e dell’università veneziana Ca’ Foscari. Come ogni Paese, la nuova nazione il suo padiglione alla Biennale di Venezia presso l’ateneo cittadino, per poi fare atto di presenza al Maxxi di Roma. Lo scopo è richiamare l’attenzione della distratta pubblica opinione su una gravissima minaccia per il Pianeta. La fondatrice presenterà la bandiera, azzurra come gli inquinati oceani. 

L’esistenza delle isole, considerate il maggiore immondezzaio del mondo, è stata scoperta per la prima volta nel 2009. Si tratta di cinque vortici di correnti marine al cui centro si trovano i residui, che però non galleggiano. A causa della fotodegradazione, infatti, il materiale non viene metabolizzato dal mare, si frantuma in pezzi sempre più piccoli fino a diventare microscopico, per finire poi mangiato dalla fauna marina, entrando così nella catena alimentare. «Anni fa venni a sapere della tragedia delle isole di plastica, presa un po’ sottogamba dalla comunità scientifica - spiega Finucci -. Visto che non ci sono foto, era necessaria un’immagine che sintetizzasse il problema. Come artista, prendendo in prestito le tecniche comunicative della pubblicità, ho creato uno Stato per sensibilizzare la gente». 

La scelta del 2013 non è casuale: l’Unesco, che si occupa pure della preservazione dei mari, l’ha dichiarato «Anno dell’acqua». Le isole di plastica avranno anche un sito (www.garbagepatchstate.org) il cui contenuto è stato elaborato dagli studenti di Ca’ Foscari. L’intenzione è ricreare una specie di mito greco con personaggi fantastici che spieghino la realtà delle isole della spazzatura. 

E poi ci saranno le cartoline «Greetings from the Garbage State», raffiguranti un ombrellone e una sdraio in un mare di plastica: «L’unica cosa che possiamo fare ora è evitare di far crescere Garbage Patch», sottolinea l’artista.
Il battesimo all’Unesco parigino sarà una ricreazione artistica del letamaio marino, opera dell’eco-artista: un semi-cerchio, riempito di sacchi con i tappi colorati delle bottiglie, appoggiato a un muro pieno di specchi, nuvole e il rumore della risacca. La madre di Garbage Patch vi pianterà la bandiera e pronuncerà un discorso. Olé!


Gian Antonio Orighi - (La Stampa)
(Fonte secondaria Accademia Kronos)



sabato 30 marzo 2013

Federalismo ecocompatibile per una ristrutturazione amministrativa in chiave bioregionale




Il così detto “federalismo politico"  in verità non convince. Non convince neppure l'abolizione degli ambiti provinciali  e men che meno l'accorpamento dei comuni che si vedrebbero esautorare di svariati poteri e di una loro identità.
 
Le Regioni "politiche" hanno già dimostrato di essere enti costosissimi e completante inutili, fonte di sprechi e di corruzione. Poi non è accettabile, anche ai fini della rappresentatività democratica, che grandi città come Milano, Roma, Napoli, etc. possano influire sulle scelte di territori  poco urbanizzati. Pertanto in un federalismo bioregionale consono alla condizione attuale della penisola, l’Italia andrebbe suddivisa in Regioni Metropolitane, comprendenti solo i confini urbanizzati e suburbani delle grandi città, ed in  ambiti territoriali bioregionali, grosso modo corrispondenti alle Province storiche, che  avrebbero una funzione “localistica” nella gestione del territorio.
 
Le Regioni come oggi sono congegnate e geograficamente delineate non rispettano la vera vocazione identitaria della popolazione e nemmeno i suo interessi amministrativi.
 
Insomma il  “federalismo politico” che  i  governi saltuariamente vorrebbero attuare contribuirebbe ad alienare ulteriormente il senso dell’appartenenza al luogo allontanando vieppiù gli abitanti dalle istituzioni ed oscurando l’identità locale, nazionale ed Europea.
 
La costituzione degli Enti Regionali  in Italia é stato uno dei mali della politica nostrana, funzionale  allo spartimento della torta amministrativa. Ha fatto comodo ai partiti che si sono creati delle piccole repubbliche autonome (e gestite in base a distinte 
egemonie) all’interno dello Stato, contemporaneamente permettendo agli amministratori locali di mungere alle prebende pubbliche e gestire le ricchezze del popolo a fini personalistici. Prova ne sia -ad esempio- il gonfiamento paradossale della spesa sanitaria, con norme interne, attuazioni e finalità differenziate, con l’impossibilità di trasferimento da una Regione all’altra come si trattasse di stati esteri e  con la suddivisione delle cariche e degli enti fra i soliti congiunti politici, senza nessun reale beneficio per la salute pubblica. Ma non voglio parlare di questo… per ora!
 
L’Italia é un piccolo paese che per secoli ha patito il male della suddivisione in vari staterelli, il risultato é che solo dopo l’unità si é ripreso a parlare di identità nazionale ed é stato possibile costruire un popolo, con tutte le difficoltà che ancora persistono e che sono visibili nella nostra società “spaccata” fra nord e sud… fra est ed ovest, fra isole e promontori…
 
Nel frattempo in Europa, a partire dalla fine dell’ultima guerra mondiale, é andato avanti un processo unificatorio che ora si chiama Comunità Europea. Questa unione é buona per il vecchio continente che ha subito per troppi anni divisioni e guerre intestine. La distribuzione dei poteri in chiave di separazione politica non aiuta assolutamente l’integrazione fra i popoli.
 
Perciò consideriamo quale potrebbe essere la conseguenza di un “federalismo politico" -come proposto da forze tipo Lega o movimenti  pan-sudisti- che parte dal concetto della separazione delle varie realtà della penisola ai fini di gestire “meglio” le singole ricchezze. Questa  parcellizzazione dell’Italia porterebbe ulteriori mali al popolo italiano ed all’Europa tutta. Già ora  la struttura regionalistica di -a tutti gli effetti-  “staterelli” indipendenti all’interno del contesto nazionale ed europeo non è un vantaggio per la comunità, anzi porta guai, delusioni ed odi… E di questo non abbiamo bisogno proprio ora che la crisi economica galoppante e la spinta allo sfacelo morale si fa più forte in Italia e nel mondo.
 
C’é bisogno di solidarietà e di capacità di riconoscersi con il luogo in cui si vive senza però cancellare l’unitarietà della vita e la consapevolezza che il pianeta é uno come una é la specie umana. Non si può continuare a separare la comunità degli umani su basi etniche o “sociali” o “religiose” o “politiche”… L’integrazione é solo una ovvia conseguenza del vivere in luogo riconoscendolo come la propria casa. Perciò il vero federalismo può essere solo bioregionale ed il riconoscimento con il luogo di residenza deve avvenire nelle forme più semplici e vicine al contesto socio/ambientale in cui si vive.
 
Questo contesto é ovviamente la comunità del paese, e della città che riunisce una serie di paesi in una comunità facilmente riconducibile ad una identità condivisa. Questa é la “Provincia”. Le Province lungi dal dover essere eliminate dovrebbero anzi assurgere al ruolo rappresentativo dell’identità locale e tale riconoscimento non alienerebbe la comunione ed il senso di appartenenza all’Europa ed al mondo bensì aiuterebbe il radicamento al luogo in cui si vive e la responsabilizzazione a mantenerlo sano e compatto.
 
C’é inoltre da dire che dal punto di vista storico le Province da tempo immemorabile hanno rappresentato il “luogo di origine” mentre le Regioni sono state create massimamente a tavolino per soddisfare esigenze politiche indifferenti alla comunità. Vedesi la costituzione del Lazio, formato per soddisfare le esigenze di una città che doveva essere la capitale di un nuovo impero, costituito smembrando la Tuscia, rubando territori all’Umbria (Rieti) e aree all’ex Regno di Napoli (Formia, Gaeta, etc.). Oggi Roma ed area metropolitana con i suoi 6 milioni di abitanti (più i non registrati, quasi altrettanti) ha completamente fagocitato il territorio e la gestione delle risorse relegando il ruolo delle Province storiche a quello di “fornitura di servizi e ubicazione di scomodi impianti inquinanti”… (Ma é logico quando si vede che i 9/10 dei residenti laziali stanno a Roma e siccome siamo in democrazia così deve andare…). In verità, come detto sopra,  le grandi città metropolitane dovrebbero essere tutte “città regione” e magari pure decrescere.. se si vuole che il cancro da loro rappresentato non si propaghi al territorio…
 
 
Paolo D’Arpini
Referente della Rete Bioregionale Italiana



Di questo e simili temi se ne parlerà durante la Tavola Rotonda sulla Riscoperta dell'Identità Locale che si tiene a Vignola (Mo), il pomeriggio del  22 giugno 2013, nell'ambito dell'Incontro Collettivo Ecologista  - Vedi:  http://radiopenelope.it/riscoperta-della-identita-locale-allincontro-collettivo-ecologista-del-solstizio-estivo-22-e-23-giugno-2013-vignola-mo-esserci-per-esserci/#.UVW5ORdg9c0

venerdì 29 marzo 2013

Stavolta parliamo di AIDS.... e di Luc Montagnier


Dipinto di Franco Farina


Chi consiglia la prevenzione profilattica, chi raccomanda l’astinenza, chi propugna il lasciar fare alla natura, chi denuncia che questa malattia è stata inventata in laboratorio dai soliti dr. Stranamore… e chi invece descrive  l’immunodeficienza come una male della psiche od una disfunzione dovuta a squilibri ecologico ambientali.

Del tema AIDS me ne sono occupato molto anche in passato poiché  a Calcata vi sono stati i primi casi italiani conclamati di immunodeficienza e  diverse persone vi sono morte a causa di ciò…  Ricordo che quando ci fu il primo amico  morto “Simone”, scrissi una lettera ad Eugenio Scalfari, che allora dirigeva Repubblica, e lui la pubblicò su Venerdì  integralmente, era intitolata  “AIDS, la lebbra del 2000”  in essa denunciavo l’incapacità di affrontare questo problema da parte della medicina ufficiale, che da allora  ne ha fatto un businnes….

Ancora sono di quell’opinione, ovvero che   l’AIDS è come la lebbra in parecchi suoi risvolti,  ed oggi riporto qui alcuni pareri di medici importanti, non scalzacani, che descrivono il problema di questo male come un problma di “società” oltre che medico-farmaceutico…..

Inizio parlando di   Luc Montagnier,  che  è lo  scienziato  che, nel 1983, ha dichiarato di aver scoperto il retrovirus HIV ritenuto essere responsabile della sindrome AIDS. Per tale motivo  gli è stato assegnato nel  2008 il premio Nobel per la medicina. Nel corso di questi venticinque anni la sua scoperta è stata ampliamente contestata da numerosi altri scienziati tra i quali Peter Duesberg, il massimo virologo esistente, autore del libro “Aids: il virus inventato”, Kary Mullis, premio Nobel 1993, Papadopulos. Turner, Papadimitriou, scienziati australianì, Heinz Ranger, premio Koch nel 1978, Alfred Hassig, professore di immunologia all’università di Berna, De Marchi e Franchi autori del libro “Aids la grande truffa” e tanti altri tra i quali spicca Stefan  Lanka. Lanka venne accusato di 14 omicidi e di cinquecento tentati omicidi per aver affermato che, non essendo  riuscito ad isolare il retrovirus Hiv, dichiarava ufficialmente errate le scoperte di Montagnier. Subì un processo penale ma fu assolto perché non si trovò alcun scienziato disposto a giurare di aver isolato tale retrovirus (sentenza del Tribunale di Gottingen del 24/2/97). Naturalmente i media non ne hanno mai fatto menzione.

Nel frattempo Montagnier ha però riscontrato che sempre più persone, pur avendo avuto diagnostica di sieropositività , non hanno sviluppato la sindrome dell’Aids e, pertanto, afferma:

“…..alcuni individui si infettano (Hiv) ma non sviluppano la malattia (dell’aids) e mantengono spontaneamente sotto controllo la replicazione del virus: Questi individui vengono chiamati èlite proprio perché il loro sistema immunitario ha trovato il sistema giusto per bloccare il virus. La nostra speranza sta nello studio di questi individui"

“…..test genetici possono rilevare fattori ossidativi………..lo stress ossidativo può creare una mutazione del DNA ed è sovente correlato anche allo stress psicologico…………Mens sana in corpore sano ……bisogna convincere  medici e politici…..)" 

“L’aids non porta necessariamente alla morte, specialmente se si eliminano i co-fattori che supportano la malattia. E’ molto importante dare a questi co-fattori lo stesso peso che diamo all’hiv:  I FATTORI PSICOLOGICI SONO DI VITALE IMPORTANZA PER SOSTENERE IL SISTEMA IMMUNITARIO.  E se si elimina questo sostegno, DICENDO A CHI E’ MALATO CHE E’ CONDANNATO A MORIRE, BASTERANNO QUESTE PAROLE A CONDANNARLO” 

Si può ascoltare in internet you tube  una breve (1 minuto)  ma incisiva intervista a Montagnier dal titolo: Nobel Laureate Montagnier, HIV  Can be cleared naturally House of numbers che traduciamo:

Montagnier: possiamo essere esposti all’Hiv molte volte senza essere cronologicamente infettati

Il nostro sistema immunitario può far fronte al virus entro poche settimane se si ha un buon sistema immunitario

Domanda: se si ha un buon sistema immunitario non c’è pericolo di ammalarsi?

Risposta  di Montagnier: sì

Domanda. Anche gli africani se hanno un buon sistema immunitario possono evitare il contagio?

Risposta di Montagnier: sì lo penso. E’ una conoscenza importante che è completamente trascurata. La gente pensa sempre a droghe o vaccini.

Domanda. Succede per denaro?

Risposta di Montagnier: sì è per profitto..”

(Le parti tecniche e le traduzioni sono  della prof.ssa  Paola Botta Beltramo)

 Paolo D’Arpini

giovedì 28 marzo 2013

(EU)carestia - L'Eurozona è una grande arena darwinistica dove solo i più forti sopravvivono



 Italia sottoposta allo strozzinaggio dell'Eu-carestia 

UE e BCE impongono una carestia monetaria che manda in rovina i paesi deboli, e la giustificano con false teorie.

L'Italia e altri paesi soffrono sì di inefficienza e corruzione, ma soprattutto di carenza di liquidità, per pagare i debiti esistenti e per fare investimenti. Non c'è abbastanza denaro per pagare i debiti, quindi i debiti vanno in default, le banche stringono i cordoni, la liquidità si restringe ancora di più, la domanda interna cade, la recessione accelera, i capitali fuggono all'estero a vantaggio dei paesi forti come la Germania, e la situazione degli altri paesi precipita a vite.

UE e BCE negano la liquidità necessaria ad andare avanti, affermando che creare e immettere nuovo denaro produrrebbe inflazione.

Ciò è falso e contraddittorio.

Innanzitutto, va chiarito che il denaro che usiamo oggi – consistente al 92% in credito bancario e all'8% in cartamoneta stampata dalle banche centrali – non ha valore intrinseco, ma legale, e non ha costi né limiti oggettivi di produzione (infatti le banche centrali lo creano in grandi quantità senza garantirlo con oro né coprirlo con ricchezza reale da esse generata o posseduta), quindi non vi è ragione di non crearne quanto serve all'economia reale.

In secondo luogo, le banche centrali ne creano moltissimo (migliaia di miliardi), ma lo danno alle banche commerciali per attività finanziarie, speculative, che non vanno a sostenere l'economia reale, ma a destabilizzare la società e a frodare i risparmiatori e i futuri pensionati.

In terzo luogo, è falso che l'immissione di denaro nuovo scateni inflazione: non la scatena se va a pagare debiti esistenti per prestazioni reali (ad es., i 70 o 90 miliardi di debiti della pubblica amministrazione verso imprese private) o a far produrre più beni e servizi reali, perché questi beni e servizi reali prodotti in più vanno a bilanciare la moneta creata in più, quindi sia ha più offerta di beni e servizi e più offerta di moneta, in parallelo.

In quarto luogo, è demenziale difendere il potere d'acquisto della moneta con metodi che abbattono l'importo dei redditi e che fanno anzi venir meno redditi – ossia che le autorità monetarie mantengano invariato il potere d'acquisto astratto dell'Euro, se per far ciò adoperano misure recessive che mi fanno perdere il posto di lavoro, o mi fanno ridurre lo stipendio nominale.

In quinto luogo, la policy delle autorità monetarie europee, di fatto, non ha difeso il potere d'acquisto astratto dell'Euro, ma lo ha ridotto notevolmente.

L'Eurozona è una grande arena darwinistica dove i più forti sopravvivono; i partiti politici italiani sono complici o conniventi.

In sostanza, il potere monetario europeo gestisce l'Eurozona come una grande arena darwinistica, dove si combatte per la vita e per la morte: lascia in essa una quantità di moneta insufficiente, cioè che non basta ai bisogni di tutti, in modo che i paesi membri competano, sbranandosi l'un l'altro, per sottrarsela a vicenda; i più forti, come la Germania, riescono ad attrarre le disponibilità monetarie dei più deboli, e i più deboli soccombono, cioè vengono sottomessi e sottoposti a take-over e impoverimento dai più forti (cioè i loro assets strategici vengono comperati a basso prezzo). In più, tutti io paesi dell'Eurozona sono in competizione coi mercati speculativi finanziari, che tendono a sottrarre loro liquidità attraendola con maggiori rendimenti (sicché le banche stanno togliendo denaro dall'economia reale, pubblica e privata, per giocarla nella bisca finanziaria). Quindi l'Eurozona è come un Colosseo in cui, sotto gli occhi degli odierni Cesari, i gladiatori combattono tra di loro, e in aggiunta agli esseri umani ogni tanto si organizzano irruzioni di leoni affamati che attaccano questo o quel gladiatore. I Cesari acclamano ora la libertà di mercato,, ora l’economia sociale di mercato, sempre l’europeismo.

I partiti italiani, con poche eccezioni, hanno collaborato a questo spietato piano darwinista.

Se non si tolgono di mezzo quelle forze politiche collaborazioniste e se non si denuncia questo piano, se non si mette in discussione la permanenza sotto la BCE e l'Unione Europea nell'arena darwinistica dell'Eurozona ,allora non si fa nulla di serio, nulla di idoneo a salvare il Paese da una fine praticamente già decisa e – credo – inevitabile, salvi interventi esterni.

mercoledì 27 marzo 2013

Ubris totale e monatti del kali yuga




Uno dei motivi per cui il repellente vampiro  si è posato sulla giugulare libica è perché essa contiene enormi quantità non solo di sangue-petrolio, ma anche di sangue-acqua(1)... sì, acqua d'ottima qualità, che grazie ai regali orwelliani lo sarà sempre meno. 

Ci troviamo in pienissimo Kali Yuga, e i Signori del caos(2) nella dissoluzione sono a casa loro(3). La conquista usuraia del mondo ne prevede anche l'impestamento(4), perché alla base c'è l'ubris totale, ovvero la pretesa di ri-creare, come unici rappresentanti in terra del mostro Yahweh, veri semidei infernali, un neo-mondo, una neo-natura (compreso il neo-cibo e la neo-acqua). 

 Sembra allucinazione o fantascienza. Tra non molti anni sarà la "realtà". 

 E' interessante notare che le tre bombe radioattive, sempre più micidiali, contemporanee (atomica, all'idrogeno e al neutrone) si devono tutte al "genio" di codesta "razza"(5). La vera contrapposizione, in fondo, è sempre quella classica: tra lo spirito politeista greco-romano (creatore e ordinatore e insieme capace di individuare e tenere a freno, combattere l'ubris umana) e quello monoteista-tribalrazziale giudaico (sfruttatore del lavoro altrui, plagiario, manipolatore, distruttore, ma al contempo volto al possesso e meta-creazione della morta gora). 

Nessun popolo più di quello d'Israele ha odiato e insieme depredato i lavoratori della terra, è stato il loro parassita-esattore. Sempre, dai primordi all'epoca attuale. In ciò è già tutto compreso. Roma, prima e più che per mano barbara, perì a causa del veleno ebraico... lo stesso cristianesimo pontificio, che le diede l'estrema unzione, altro non è che un ramo del medesimo albero letale. Fai entrare in casa Giuda, dietro qualunque maschera, e presto ti aggirerai tra le rovine... entra furtivo, frigna viscido, s'installa come un cancro... indi, al momento opportuno, ti avvelena, ti svena e ti risucchia. 
In cento anni riuscì a dissolvere e a deglutire un grande impero come quello degli zar. 

Suo nemico in generale è l'Homo sapiens sapiens e la stessa natura. L'età del caos - la nostra lo sarà sempre più... ora stiamo solo vivendo le prime avvisaglie - implica devastazioni planetarie che nel mondo globalizzato si propagheranno rimbalzando ogni dove... l'aerosol libico all'uranio è arrivato anche qui ... e così le radiazioni di Fukushima dappertutto(6)... come già fu per Chernobyl... 

Una volta che davvero scattasse l'assalto atomico all'Iran, si apriranno campi di speculazioni finanziarie e d'altro genere CHIMERICHE... e sopravviveranno gli esseri più mitridatizzati... 

I monatti si aggiravano indenni mentre la peste mieteva le sue vittime... non solo non morivano, ma la propagavano... VIVENDO di e sulla peste. 

 I nemici dell'uomo e del mondo naturale sono esseri bacati, sinistri, spettrali, sozzi... anche in questo l'opposto dei divini greci e degli augusti romani, uomini retti, equilibrati e solari, e puliti - a cominciare dalla cura del corpo, tempio dell'anima.

Joe Fallisi


NOTE







(6) Es.: http://www.presstv.ir/detail/172000.html.



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Commento di M.: "Meraviglioso Joe... non si poteva esprimere meglio. Ma ti dico una cosa, e spero sia profezia che tutti noi vedremo avverarsi: essi periranno nel fuoco radioattivo che essi stessi hanno portato per il mondo: aspetta che siano tutti là,  e che siano tanti, e stiano festeggiando la vittoria su di noi. Perché io sento che l'Iran, proprio come modello ed epitome di tutti i popoli indoari che loro vorrebbero uccidere (e l' uccisione dei Greci, dei Romani, e ora degli IRANICI per loro è altamente simbolica... ) ha una grande missione, di cui è conscio: estirparli dalla faccia della terra. E so che lo faranno. Allora tutti noi ci siederemo al tramonto, a guardare quanto è bella Roma, come era bella prima, e come è bella adesso: e il tramonto ci parrà alba, perché in realtà Essa è Eterna."

martedì 26 marzo 2013

"Popolo ebraico non esiste" - lo afferma Shlomo Sand, noto storico di Tel Aviv


Popolo ebraico - una invenzione dei sionisti



Contesto

Professore di storia presso  Università di Tel Aviv Shlomo Sand nel suo libro " Chi ha inventato il popolo ebraico" sostiene che gli ebrei come un popolo distinto non esiste. A suo parere, il popolo ebraico fu inventato dai sionisti per giustificare la  presenza sul territorio di Israele. Le idee del professore hanno causato un sacco di polemiche a seguito della quale il professore ha dovuto anche negare  che il suo libro è un invito per la distruzione di Israele. In un'intervista a "Time News" Shlomo Zand ha detto che Israele dovrebbe smettere di chiamare se stesso uno stato ebraico, e di diventare un paese che è aperto a tutte le nazionalità. Questa è una possibilità per la sopravvivenza di Israele. 

- Il tuo ultimo libro provocato polemiche nella società israeliana.L'oggetto della critica ha il suo stesso titolo: ". Chi ha inventato e come il popolo ebraico" Sei sicuro che la parola "inventata" in questione?

- E 'la parola giusta. Il concetto di "popolo" - in sé un'invenzione degli storici, hanno applicato retroattivamente a diversi gruppi di persone. In questo senso, tutte le nazioni del mondo sono stati "inventati". Credo che 300-400 anni fa, questo concetto non esisteva, erano comunità etniche. Popolo ebraico è stato "inventato" dagli storici così come, ad esempio, gli storici di Francia "inventato" il popolo francese nel XIX secolo. La differenza, tuttavia, sta nel fatto che sono riusciti a trasformare il concetto di "popolo" nella realtà: hanno non solo lo Stato, ma anche della comunità linguistica e culturale.

- E il popolo ebraico - non è persona "reale"?

- No. Popolo ebraico - dalla nostra giornata ai tempi biblici - è un'invenzione dei sionisti. Ma non sono riusciti a trasformare il concetto di "popolo ebraico" in realtà. E 'stato due persone: palestinesi e israeliani. Ma non ebraica. Con tutto il rispetto a tali figure, come Woody Allen (il più famoso regista americano -. Ndr). E Jerry Seinfeld (il famoso comico americano -. Ndr)., Non ero con loro niente.Sì, ci sono alcuni codici culturali comuni dei nostri genitori, per esempio - l'umorismo in yiddish, ma queste persone non fanno parte del mio popolo, che sono americani. Non parlano l'ebraico, che non hanno familiarità con la letteratura israeliana, e non li interessa ...

Quando si dice "il popolo francese", o "tedeschi", o italiano, "è necessario rendersi conto che si tratta di un gruppo di persone con le regole comuni non era religioso e secolare. E 'la lingua, la cultura, le tradizioni culinarie, musica, poesia e così via. Questo è il popolo russo, anche mille - duemila anni fa non esisteva, perché la maggior parte degli agricoltori non parlano lo stesso dialetto, non so nemmeno io che sono russo.

- Come, allora, di essere con l'identità ebraica? Ebrei che vivono, ad esempio, negli Stati Uniti, si considerano gli americani, ma non smettere di sentirsi ebreo ...

- Poiché la maggior parte di loro stanno giocando il ruolo della religione e delle tradizioni religiose. Ma la religione non è sufficiente per essere una parte del popolo. Per esempio, John F. Kennedy, il primo presidente cattolico degli Stati Uniti. Aveva radici irlandesi. Chiunque e non sarebbe venuto a credere che Kennedy non era un americano. Barack Obama - le radici del Kenya. Ma lui è un americano! Il senatore Joe Lieberman, che correva per il vice presidente nel 2004, i seguaci del giudaismo. Dal punto di vista della religione, era un Ebreo.Tuttavia, essa appartiene al popolo americano. Che cosa, è rimpatriato in Israele? Smettiamo di ingannare testa. Questo concetto - "il popolo ebraico" - è necessario per fornire pro-sionista hall a Washington. Sionisti creato una nazione, ma non ebraica e israeliana. Noi, il popolo di Israele hanno una lingua comune, una passione condivisa per il calcio ... Non rido! Chi vive qui sa che il calcio - è anche parte del paesaggio culturale locale ... Io affermo che gli ebrei non hanno comune identità nazionale ed etnica, e c'è solo una religione comune.

- Questo è il mio padre, halakhica Ebreo (Halacha - un insieme di osservanza religiosa, in cui viene fatto passare nazionalità ebraica attraverso la linea materna) Dio sa cosa generazione, uomo di mondo, il figlio di ebrei dalla Bielorussia e Ucraina, non c'è niente da fare con te, un israeliano laico, figlio di ebrei polacchi?

- No. Ci sono solo un passato comune e, forse, i ricordi di lui. Ma questo non è sufficiente per costruire il futuro. Il fatto che i nostri genitori sono dallo stesso luogo, ovviamente, ci impone una stampa. Ma il tempo fa il suo lavoro. Prendere l'etnia russa emigrato in America agli inizi del Novecento. I discendenti di queste persone oggi - al cento per cento americano. Possono avere una zuppa di Domenica per una cena in famiglia con i genitori, ma non sono russa. Cultura quotidiana vince ancora alla fine ...

- Come, allora, solo per citarne alcuni israeliani di lingua russa? Alcuni di loro hanno vissuto in isolamento, non parla l'ebraico, guardare la TV russa, leggendo i giornali russi. Molti di loro sono ebrei halachiche, ma pochi di loro sono interessati a ciò che sta accadendo in Israele ...Secondo te, è che queste persone - rappresentanti del popolo russo.

- Proprio così! Solo qui i cattivi-semiti in Russia ha rifiutato di riconoscere il loro parere! Sono russa, e non c'è vergogna! I loro figli sono: sono l'apprendimento nelle scuole israeliane, per lo più in ebraico è molto meglio che in russo. Ilya Ehrenburg una volta ha detto che fino a quando gli antisemiti nel mondo sono, egli chiama se stesso un Ebreo. L'identità nazionale non può essere basata sulla negazione di qualcosa che è molto pericoloso. Questo non è un tappo, che può essere sostituito con un altro o semplicemente gettati via. Lingua russa israeliani che vivono in un ghetto culturale, collegato con il popolo russo, sono collegati con esso, si stabilirono nel pallido anche prima che ci è venuto russo.

- L'idea del sionismo era di ritorno in patria degli ebrei, sparsi in tutto il mondo. Questo è il principio che ha creato lo Stato di Israele. Lei afferma che si tratta di un mito?

- Il mito dall'inizio alla fine. L'espulsione degli ebrei - un mito. Nessuno Romani espulso. Nel corso degli ultimi duemila anni, non c'era un libro scritto su questo argomento! Non ci sono prove di questo, nessun documento storico, non un lavoro scientifico in materia.

- In tal caso, due domande: Che cosa è successo alla comunità locale e nel mondo in cui ci sono stati così tanti ebrei? Come, poi, si diffuse in tutto il mondo?

- La risposta alla prima domanda si diedero sionisti, che è arrivato qui nel XIX secolo. Si e detto che gli agricoltori locali arabi sono discendenti degli antichi ebrei. Io non credo che questo è necessariamente così. Questa terra ha visto molti invasori, e ognuno di loro lasciando l'impronta della sua presenza. Ma non ho dubbi che alcuni attivisti di Hamas da Hebron molto più simili a quelli antichi ebrei di me. In generale, la maggior parte della popolazione locale si convertì all'Islam nel VII secolo, ed è stata una buona ragione. In primo luogo, l'Islam, a differenza del cristianesimo, ha affermato che Dio aveva un figlio. In secondo luogo, all'inizio di quello che ha passato nella fede musulmana, non porta un pesante fardello di tasse. Oggi, se gli israeliani sarebbe offerto agevolazioni fiscali in cambio per la conversione all'Islam, oltre il 50% sarebbe disposto a immediatamente! Anche gli israeliani di lingua russa sarebbe andato a lui, a dispetto della loro complessa relazione agli arabi (ride).

Per quanto riguarda il cosiddetto reinsediamento in massa degli ebrei in tutto il mondo, allora non c'era. Ebraismo semplicemente diffuso in tutto il mondo, molte altre religioni. Dove regni locali o principati di conversione al giudaismo, là e creare un centro di presenza ebraica in futuro.

- Khazar regno, per esempio?

- Anche se lo è. E in un altro modo non si può spiegare la presenza di ebrei in Europa orientale. Roots ashekenazskogo (evropeyskogo. - ndr). Gli ebrei non sono in Germania Ovest, come comunemente si crede. Non è logico per niente, dal momento che l'Europa occidentale - Germania, Inghilterra - è stato più sviluppato di quello della Polonia, ma gli ebrei Ashkenazi fiorì proprio in Europa orientale. Khazar regno unito tribù, tra cui quelli del VIII secolo, e gli ebrei. E 'stato un potente regno. Gerusalemme fondato il non-ebrei, lo cogliere. Ma vi è un'alta probabilità che sia stata fondata da ebrei di Kiev. Kiev è stata fondata dal regno Khazar. Nel XII secolo, i mongoli spinto i Khazari dalle loro sedi, e poi in Lettonia, Polonia e Ucraina ha cominciato a comparire comunità ebraiche.

- Parlando del popolo palestinese, creato dai sionisti, che cosa vuoi dire?

- L'emergere del sionismo in Israele e le loro attività nel corso degli ultimi 100 anni, violare gli interessi dei residenti locali, che alla fine si sono rivolti nella nazione. Ci letteratura palestinese, il dialetto locale della lingua araba, la mentalità, che è diverso dalla mentalità di persone in altri paesi arabi.

- Può essere sia Israele ebraico e stato democratico?

- No. Se lo stato si definisce come "ebraico", non può essere uno stato di tutti i suoi cittadini, come si definisce il 25% della loro popolazione come non-ebrei.Israele si deve dichiarare una repubblica per tutti i cittadini israeliani. Dovrebbe essere un Paese prima della guerra del 1967, in cui ogni cittadino si hanno gli stessi diritti, indipendentemente dalla loro fede, e la religione, a sua volta, non sarà più parte dello stato. Ammettere che lo "stato ebraico di Israele" non ha futuro - popolazione araba, una volta semplicemente sorpassare ebraica.

- Lei è a conoscenza della poeta nazionale palestinese Mahmoud Darwish. Inoltre, il suo famoso poema "Il soldato, che sognava di gigli bianchi" - su di te ...

- Ho soggiornato con lui quel giorno. Abbiamo parlato tutta la notte ... Ero in depressione, voleva lasciare Israele, e mi ha convinto a restare. Di giorno, mi ha svegliato e mi ha dato questa poesia ...

- Tu sei nato in Austria, in un campo profughi. Il modo in cui i tuoi genitori in Israele era attraverso Samarcanda. Fatecelo sapere ...

- I miei genitori erano ebrei polacchi di Lodz. La loro prima lingua era lo Yiddish.Hanno vissuto lì fino a dicembre 1939, mentre in Polonia i nazisti venuto. Un giorno mio padre è venuto in città e vide i soldati ubriachi appesi nella via principale dei due ebrei. Ha preso la sua famiglia e fuggì con lei ad est, dove l'Armata Rossa. Fortunatamente per lui, per un breve periodo di Stalin ha dato il permesso ebrei polacchi stabilirsi in Unione Sovietica. Così erano in Uzbekistan, mia sorella è nata lì. Nel 1945, la mia famiglia tornò in Polonia, ma non poteva rimanere lì ed è finito in un campo profughi in Austria a Linz. Sono nato nel 1946 e nei primi due anni della sua vita nel campo. Alla fine del 1948, i miei genitori emigrarono in Israele. Che immigrati e non rimpatriati, semplicemente perché non avevano altro posto dove andare.

Intervistato da Dmitry Dubov, Tel Aviv
Notizie Tempo "

lunedì 25 marzo 2013

Un nuovo corso. A ottant’anni dal New Deal



L'età di Roosevelt


Un uomo di cinquant'anni, colpito dodici anni prima da un attacco di poliomielite, scende dalla carrozzella e, pallidissimo, percorre faticosamente a piedi, appoggiandosi al braccio del figlio, i trenta metri che lo separano dal podio in cui lo attende il Giudice Supremo degli Stati Uniti per accogliere il suo giuramento di presidente degli Stati Uniti. E' il 4 marzo del 1933, una fredda e piovosa mattinata di Washington, e il nuovo presidente è Franklin Delano Roosevelt. L'America --- che lo ha eletto più per sfiducia nei confronti del suo predecessore, il repubblicano Hoover, che per convinta ammirazione per il democratico Roosevelt --- è un paese senza fiducia.

Rigurgiti di consumismo sfacciato si alternano con la disperazione di milioni di disoccupati pieni di debiti; l'agricoltura è allo sbando, con i silos pieni di cereali e di cotone che nessuno compera e con le famiglie rurali alla fame; il divieto di consumo degli alcolici ha dato vita a bande criminali organizzate di spacciatori, di distillatori clandestini di alcol, di importatori di bevande alcoliche che prosperano con la copertura della diffusa corruzione di funzionari e uomini politici.
L'America lasciata da Hoover non era soltanto quella delle banche e delle borse dissestate, del debito pubblico avanzante, ma si presentava con il suolo impoverito da decenni di sfruttamento, esposto all'erosione dovuta alle piogge e al vento, con le foreste devastate da incendi, con paesi e città senza fogne e senza discariche dei rifiuti, con città violente e inquinate, solcate da lunghe code di disoccupati pieni di debiti. Nell'America ereditata da Roosevelt era crollata la produzione di acciaio, di alimenti, di automobili, di petrolio. I negozi contenevano merci contaminate con residui di pesticidi e con sostanze velenose, al punto che due giornalisti, Kalleth e Schlink, potevano scrivere un libro di successo, intitolato: "Cento milioni di cavie", per denunciare le frodi alimentari.

Roosevelt aveva impostato la sua campagna promettendo un nuovo patto, un "nuovo corso"--- il "New Deal" --- per sconfiggere depressione e sfiducia, e cominciò il suo discorso di investitura con le celebri parole: "L'unica cosa di cui si deve avere paura è la paura stessa". Gli eventi di quel 4 marzo 1933, raccontati da Arthur Schlesinger nei tre volumi del libro: "Il New Deal", pubblicati da Il Mulino nel 1959-65, ritornano alla mente in questi primi turbolenti anni del XXI secolo, perché forse le azioni politiche --- nei settori dell'agricoltura, della produzione industriale, delle merci, dell'ambiente --- dell'amministrazione Roosevelt negli anni trenta del Novecento potrebbero suggerire qualche idea sulle cose da fare per lanciare un vero nuovo corso politico ed economico nel nostro paese.


Roosevelt e le risorse naturali


Il programma "ecologico" di Roosevelt, riletto a ottanta a anni di distanza, pensando che allora non si parlava di ecologia, di ambientalismo e di verdi, ha molti aspetti sorprendenti. Intanto va ricordato che agli inizi del secolo Teodoro Roosevelt (solo un lontano parente di Franklin Delano), presidente dal 1901 al 1908, nel 1905 aveva già varato un grande programma governativo americano di conservazione della natura.

F.D. Roosevelt capì che la salvezza dell'America dipendeva anche dalla regolazione del corso dei fiumi e dalla lotta all'erosione, dalla ricostruzione della fertilità dei suoli agricoli e dei pascoli e dalla regolamentazione dell'estrazione di minerali, carbone e petrolio, da una nuova politica urbanistica e da un nuovo rapporto città-campagna, da un controllo della produzione delle merci e dalla lotta alle frodi praticate a danno dei consumatori, dalla salvaguardia delle foreste e dall'estensione dei parchi.

Tutte le competenze nel campo delle risorse naturali --- acqua, foreste, difesa del suolo, opere pubbliche, urbanistica, parchi, miniere, rifiuti, eccetera --- furono concentrate in due ministeri, quello dell'agricoltura e quello dell'interno, affidati a due persone, H.A. Wallace e Harold L. Ickes, singolari come competenze e devozione al loro mandato.

E quanto sia opportuna una politica coordinata nel campo delle risorse naturali lo dimostrano la lentezza e l'inefficacia delle azioni dei nostri governi, sparpagliate fra le competenze dei ministeri dell'ambiente, delle infrastrutture, dell'agricoltura, dell’economia, continuamente mutevoli non solo per il succedersi delle persone e dei funzionari e dei nomi, uniti solo nella mancanza di una linea politica, dispersione comoda al fine di moltiplicare uffici e appalti, ma catastrofica per la difesa della natura e dell'ambiente.


Acqua


Gli anni che precedettero la vittoria di Roosevelt erano stati caratterizzati da un seguito di siccità e di degrado del suolo. I lavori intrapresi dalle amministrazioni precedenti per la regolazione del corso dei fiumi andavano a rilento: era stata completata soltanto la grande diga Hoover sul Colorado.

La nuova amministrazione affrontò subito il problema della regolazione del corso dei fiumi. L'aumento e la razionale utilizzazione delle risorse idriche, la lotta alla siccità e all'erosione, potevano essere condotti soltanto per grandi bacini idrografici: poiché questi si stendevano attraverso i confini di vari stati, le relative opere erano di competenza e responsabilità federale.

Uno dei più grandi fiumi e bacini idrografici del Nord America è il Tennessee che scorre dalle montagne innevate ai campi esposti all'erosione, fino a immettersi nell'Ohio poco prima che questo si getti nel Mississippi. Sul Tennessee erano state costruite, durante la prima guerra mondiale, delle dighe per la produzione dell'energia idroelettrica che serviva a produrre acido nitrico sintetico per l'industria degli esplosivi.

Il governo del New Deal decise di affrontare la regolazione delle acque della valle del Tennessee costruendo una serie di dighe e di centrali idroelettriche, realizzando la prima industria elettrica di proprietà del governo federale. Il 18 maggio 1933, due mesi dopo l'insediamento di Roosevelt alla Casa Bianca, fu creata una speciale agenzia, la Tennessee Valley Authority, il più noto esempio di pianificazione territoriale e industriale del New Deal. La costruzione delle dighe attirò nella zona lavoratori disoccupati da tutta l'America; fu rettificato il corso del fiume, furono fatte opere per fermare l'erosione del suolo e per il rimboschimento delle valli.

L'elettricità "governativa" permise di alimentare fabbriche, pure di proprietà del governo federale, per il trattamento dei minerali fosfatici e per la produzione di concimi: concimi di stato da distribuire agli agricoltori a prezzi politici per ridare fertilità alle terre impoverite dall'erosione. Curiosamente il New Deal fece uscire l'America dalla crisi, fra l'altro, con iniziative di "nazionalizzazione" proprio in direzione contraria alla privatizzazione delle industrie statali e delle imprese pubbliche che si pratica oggi in Italia.


Boschi e occupazione


Lo stato di erosione del suolo dell'America richiedeva interventi immediati e le opere di regolazione del corso dei fiumi sarebbero state vanificate se non fossero state accompagnate da una vasta azione di rimboschimento delle valli. Roosevelt aveva sottolineato, fin dalla campagna elettorale, l'importanza delle foreste. Gli alberi --- disse --- trattengono la terra fertile sui declivi e l'umidità del suolo, regolano il fluire delle acque nei ruscelli, moderano i grandi freddi e i grandi caldi: sono i "polmoni" dell'America perché purificano l'aria e danno nuova forza agli Americani.

Il 14 marzo 1933, dieci giorni dopo essersi insediato alla Casa Bianca, Roosevelt predispose un grande progetto per impiegare un esercito di giovani disoccupati al lavoro nelle foreste. Nell'estate del 1933 300.000 americani, celibi, dai 18 ai 25 anni, figli di famiglie assistite, organizzati nei Civilian Conservation Corps, erano nei boschi, impegnati nei lavori di difesa del suolo che da molti anni erano stati trascurati.

Negli anni successivi, in varie campagne, due milioni di giovani lavoratori, complessivamente, piantarono 200 milioni di alberi, ripulirono il greto dei torrenti, prepararono laghetti artificali per la pesca, costruirono dighe, scavarono canali per l'irrigazione, costruirono ponti e torri antincendio, combatterono le malattie dei pini e degli olmi, ripulirono spiagge e terreni per campeggi.

Nell'aprile 1935 fu creato il Soil Conservation Service col compito di difendere il suolo, anche se era di proprietà privata, per conto della collettività.


Terreni demaniali


All'inizio del New Deal l'America aveva ancora vasti terreni demaniali; nei decenni precedenti il governo non aveva esitato a vendere a prezzi irrisori molti terreni di proprietà federale a chi voleva aprire miniere, installare pozzi petroliferi, utilizzare i pascoli. Nelle terre demaniali residue gli allevatori dell'ovest da sempre avevano portato a pascolare il bestiame senza alcun controllo nè pagamento, con la conseguenza che l'eccessivo pascolo aveva distrutto l'erba e aveva fatto avanzare l'erosione e il deserto.

Nel 1933 il governo decise di far pagare un affitto a coloro che usavano risorse naturali --- pascoli o miniere --- demaniali e di fermare la svendita dei terreni collettivi. Ancora una volta un’azione che va in direzione esattamente contraria a quella, in corso in Italia dalla fine del Novecento, caratterizzata proprio dalla svendita ai privati dei beni collettivi, come sono gli spazi demaniali o le terre soggette a usi civici.


Agricoltura e materie prime


Nell'America della grande crisi c'era sovrabbondanza di raccolti ma prezzi così bassi che gli agricoltori soffrivano la fame. L'erosione del suolo dovuto alle acque e al vento aveva spinto milioni di piccoli proprietari o affittuari ad abbandonare le proprie terre per andare a lavorare come miserabili salariati nelle terre ancora fertili. Le grandi compagnie finanziarie compravano a prezzi stracciati i terreni dei piccoli coltivatori soffocati dai debiti. La drammatica situazione è descritta, fra l'altro, nel libro "Furore" di Steinbeck, del 1939, da cui l'anno dopo fu tratto un celebre film.

Il 12 marzo 1933 il governo Roosevelt propose una serie di incentivi finanziari intesi a trattenere nei campi i piccoli coltivatori e a difendere i prezzi. "Distruggere un raccolto va contro i migliori istinti della natura umana", sosteneva il ministro dell'agricoltura Wallace, e così furono organizzate le distribuzioni, alle classi meno abbienti e povere urbane, di cibo acquistato dal governo e furono incentivati i mezzi per risollevare il mercato.

Fra questi ultimi va ricordato lo sforzo per la utilizzazione industriale dei prodotti e sottoprodotti agricoli. La chimica avrebbe avuto un ruolo fondamentale e William Hale coniò il termine "chemiurgia" per indicare le tecniche capaci di trasformare le materie di origine agricola, zootecnica e forestale in merci: dall'alcol etilico, da usare come carburante e come materia prima per la gomma sintetica, alla cellulosa e alle proteine per ottenere fibre artificiali, dall'amido alle materie plastiche. Le stesse proposte odierne di manufatti di plastica "ecologica", a base di amido, erano già state elaborate negli anni trenta del secolo scorso. Il successo delle merci ottenute dal petrolio ha oscurato un insieme di realizzazioni che ancora oggi potrebbero dare lavoro e reddito all'agricoltura.

Il Dipartimento dell'agricoltura fin dal 1933 creò una rete di stazioni di sperimentazione che furono all'avanguardia nelle tecniche di chemiurgia e incoraggiarono nuove coltivazioni e industrie. Furono studiate nuove materie agro-industriali, che sono state "riscoperte", alla fine del Novecento, alla luce dell'ecologia: dalle cere ricavate dalla jojoba, alla gomma guayule, dalle fibre tessili cellulosiche naturali ottenute da ginestra, canapa, yucca, a nuove materie cellulosiche industriali, eccetera.

In questo periodo venne lanciata la campagna per ridare orgoglio agli agricoltori, ridivenuti consci del ruolo primario del loro lavoro: "I'm proud to be a farmer" (Sono orgoglioso di essere un agricoltore), si leggeva nelle fattorie in quegli anni. Questo orgoglio era indispensabile per coinvolgere gli agricoltori nelle opere di difesa del suolo, di rimboschimento, di innovazione nelle colture.


La lotta alle frodi


Il Dipartimento dell'agricoltura assunse anche un ruolo vigoroso nella lotta contro le frodi. Proprio come nel 1906 il libro: "La giungla" dello scrittore Upton Sinclair aveva denunciato le drammatiche condizioni di lavoro nelle grandi fabbriche di carne in scatola, il libro: "Cento milioni di cavie" denunciava i pericoli per la salute di molti prodotti alimentari, medicinali, cosmetici. Uno degli autori, F.J. Schlink, pochi anni prima aveva fondato la Consumers' Research Inc., per effettuare analisi delle merci nell'interesse dei consumatori, che cominciarono a diventare soggetti e protagonisti politici.

Tugwell, sottosegretario all'agricoltura del governo Roosevelt, subito nella primavera del 1933 decise di abbassare da 1,3 a 0,9 milligrammi la massima quantità di arseniato di piombo, un antiparassitario, tollerata negli alimenti. La Food and Drug Administration, una agenzia del Dipartimento dell'agricoltura fino allora sonnacchiosa, organizzò, per ordine di Tugwell, una mostra delle frodi e dei veleni che finivano sulla tavola degli americani.

Naturalmente le proposte di riforme merceologiche incontrarono la forte opposizione dei produttori industriali e solo nel 1938 fu approvata la nuova legge sulla purezza di alimenti, cosmetici e medicinali, il Pure Food, Drug and Cosmetic Act.


La comunità e la città


La rinascita delle città fu un altro dei punti importanti del New Deal: come risposta alla congestione urbana e alla sua violenza fu avviato un progetto per portare al di fuori dei ghetti urbani la popolazione povera, in modo che gli abitanti potessero vivere alla luce del sole, respirare aria buona e anche avere una piccola superficie di terreno da coltivare. Furono così costruiti quartieri residenziali autosufficienti nei quali le famiglie, ridotte sul lastrico dalla povertà urbana e rurale, potessero trovare rifugio occupandosi di artigianato, di coltivazione della terra anche per trarne il proprio cibo.

Il progetto prevedeva di localizzare le fabbriche in zone aperte e distanti fra loro, di sviluppare un nuovo tipo di città industriale suburbana, resa possibile dall'era dell'automobile. Queste idee ebbero fra l'altro il sostegno di un architetto-pensatore come Lewis Mumford che, proprio nel 1934, scrisse: "Tecnica e cultura", proponendo la transizione ad una società "neotecnica", meno violenta ed inquinata.

Il programma rimase in gran parte sulla carta, ma mostra l'ambiente culturale dei primi anni dell'amministrazione Roosevelt e la vivacità degli studiosi, urbanisti, progettisti che riuscì a mobilitare. Comunque il governo del New Deal avviò un processo di bonifica urbana, opere di edilizia popolare, sia nelle città, sia nelle campagne, per eliminare le abitazioni malsane e fatiscenti e ridare così, con case adeguate, anche una dignità alle famiglie dei diseredati. Una pagina dei conflitti fra il nuovo corso urbanistico e le forze frenanti della speculazione edilizia si ha nel film "La vita è meravigliosa".


Merci e ambiente


Roosevelt capì che la crisi economica e dell'occupazione dipendeva anche dalla mancanza di un coordinamento e di pianificazione nella produzione delle merci.

Negli anni venti una scelta merceologica ispirata ad un finto moralismo aveva provocato, con il divieto della vendita di bevande alcoliche, un commercio clandestino di alcolici e quindi la crescita della più grande organizzazione criminale e di corruzione pubblica mai vista fino allora, e certamente lontana progenitrice di quella criminalità organizzata con cui ci dobbiamo confrontare oggi in Italia.

Roosevelt comprese che solo mettendo un freno a questa violenza il paese avrebbe potuto affrontare la crisi. Il lunedi 13 marzo 1933, nove giorni dopo il suo insediamento, propose una legge che autorizzava la produzione e la vendita della birra a 3,2 gradi alcolici. Il venerdi successivo la proposta era già approvata dal Congresso; non era ancora la legalizzazione delle bevande alcoliche, ma l'inizio e il segnale di una politica antiproibizionistica che diede un grave colpo alla criminalità e alla corruzione.

Il 16 giugno 1933 fu approvata la legge che creava la National Recovery Administration, un organismo con funzioni di studio e di proposta nel campo della pianificazione delle opere pubbliche e della produzione industriale. Per sconfiggere la povertà e la disoccupazione occorreva concordare con gli imprenditori orari di lavoro e salari tali da consentire la ripresa della produzione dell'industria e dei consumi delle famiglie. Le aziende che aderivano all'accordo potevano contrassegnare i loro prodotti e merci con l'"Aquila blu" ("Blue Eagle"), un marchio che assicurava i consumatori che le aziende stesse contribuivano, anche con sacrifici dei propri profitti, allo sforzo di ricostruzione del paese e che pertanto i loro prodotti andavano preferiti.

La ripresa della produzione, industriale ed agricola, assicurata dalla politica di pianificazione, diede di nuovo fiducia anche alla ricerca e all'innovazione. Attraverso una simbiosi con la ricerca universitaria, negli anni dell'amministrazione Roosevelt furono fatte alcune scoperte industriali di grande importanza. Solo per citarne alcune: furono messi a punto dei processi per la produzione della gomma sintetica partendo sia da sottoprodotti agricoli, sia da prodotti petroliferi. Furono messe a punto benzine ad alto numero di ottano che consentirono lo sviluppo dell'aviazione e dei trasporti aerei civili. Furono messi a punto processi per la produzione di fibre tessili artificiali, dalle proteine del latte, della soia e dell'arachide, dai residui della lavorazione del cotone, e furono inventate fibre tessili sintetiche destinate a rivoluzionare l'industria e il modo di vivere e di consumare di tutto il mondo, come il nylon presentato ai consumatori nel 1938.

In questa atmosfera ebbe sviluppo anche la ricerca universitaria "pura"; gli scienziati ebrei sfuggiti alle persecuzioni razziali in Europa trovarono in America non solo libertà d'insegnamento, ma anche apparecchiature e mezzi finanziari che portarono a scoperte destinate ad avere effetti lontani.

Non tutto, nell'era di Roosevelt, andò liscio. Molti progetti non furono realizzati, ma di certo l'epoca del New Deal fu un periodo di speranze e di fiducia nel futuro a cui si può guardare ancora oggi..


Il New Deal e l'Italia


Il New Deal di Roosevelt fu seguito con attenzione in Italia fin dai tempi fascisti. Gli anni trenta sono stati anni di crisi anche in Europa e in Italia e gli economisti e gli studiosi che conoscevano l'America prestarono attenzione a questo strano esperimento di pianificazione nella democrazia, di intervento dello stato nel rispetto della libera iniziativa. Non si deve dimenticare che sono gli anni della pianificazione sovietica e Roosevelt fu accusato, dalle forze conservatrici americane, di essere un comunista, o, peggio, un bolscevico.

Anche sotto l'influenza sollecitata dal New Deal americano nel 1933 fu creato in Italia l'Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI) con fini di coordinamento e di intervento statale nei settori disastrati dell'industria.

Ma l'interesse scientifico e politico per il New Deal si fecero sentire soprattutto negli anni dopo la Liberazione, quando si trattava di ricostruire l'Italia uscita dalla guerra e di colmare gli squilibri fra nord industriale e sud agricolo. Gli intellettuali radicali e socialisti antifascisti, rientrati in Italia dagli Stati Uniti portarono la conoscenza e l'interesse per il New Deal in un'Italia rimasta, anche nella sua nuova classe dirigente, provinciale ed esclusa dal grande giro internazionale. Adriano Olivetti, con il suo movimento di "Comunità", fece conoscere in Italia le opere del New Deal e di Mumford, le nuove correnti di pensiero sulla pianificazione democratica e su una nuova urbanistica.

Al New Deal si ispirarono coloro che proposero i grandi programmi di opere pubbliche e una struttura di finanziamento e pianificazione dell'uso delle risorse naturali nel Mezzogiorno, quella che divenne poi, nel bene e nel male, la Cassa per il Mezzogiorno. Al New Deal si ispirarono coloro che, nel primo centro-sinistra, si batterono per la nazionalizzazione delle imprese elettriche e per l'estensione al ministero del bilancio di competenze anche nel campo della programmazione, con la creazione di un apposito ufficio.

A dire la verità le attività della programmazione italiana (il più celebre documento è il "progetto ottanta", predisposto alla fine degli anni sessanta) erano più attente agli aspetti economici che alla salvaguardia e alla valorizzazione delle risorse naturali o alle scelte produttive e merceologiche. Ciò forse perché la classe dominante era costituita da economisti e giuristi, più che da studiosi di agricoltura, chimici, forestali, urbanisti, ingegneri.

Ogni tanto gli economisti e alcuni uomini politici hanno dichiarato l'opportunità di fare di nuovo riferimento al New Deal, che sarebbe necessario un New Deal italiano, ma le buone intenzioni non hanno fermato il degrado morale ed economico, e anche ambientale, quest'ultimo, del resto, figlio dei primi due e della crisi del senso dello Stato. Il successo del New Deal di Roosevelt era invece proprio basato sul recupero del senso della comunità e dello Stato.

Si potrebbe pensare adesso, in questo inizio del XXI secolo, di far uscire l'Italia dalla crisi economica e morale con un "nuovo corso" ? Se nascesse una nuova classe dirigente con un nuovo senso dello Stato quali azioni dovrebbe intraprendere ?

Immaginiamo che improvvisamente le autorità centrali e regionali mettano da parte i cavilli giuridici e "istituzionali" (dietro cui spesso si nascondono gelosie di centri di potere e di affari) ed avviino un grande programma di sistemazione delle acque, di difesa del suolo contro l'erosione, di rimboschimento. Tale programma può essere condotto soltanto nell'ambito dei bacini idrografici che devono diventare --- come del resto prescrive la legge italiana --- le nuove unità geografico-politiche in cui svolgere le azioni di pianificazione territoriale e di difesa delle risorse naturali.

In ciascun bacino idrografico la "autorità" prevista dalla legge dovrebbe predisporre opere per fermare l'erosione attraverso la pulizia e la sistemazione degli argini e del greto dei fiumi, il rimboschimento dei pendii delle valli. La forza delle acque fluenti potrebbe essere utilizzata per ottenere energia idroelettrica --- una fonte di energia rinnovabile --- attraverso la costruzione di bacini artificiali e centrali progettate non per massimizzare i profitti delle imprese elettriche, ma a fini multipli, per regolare il moto delle acque, assicurare riserve di acqua nei mesi di scarse piogge, e creare spazi per attività ricreative.

Una pianificazione di questo genere presuppone di far cessare l'appropriazione privata delle golene e delle rive dei fiumi, di regolare (e anche vietare, in certe zone) i prelevamenti di sabbia e ghiaia dal greto dei fiumi; una vera autorità di bacino dovrebbe avere il potere di intervenire sulla proprietà privata e sull'iniziativa privata quando queste assumono carattere speculativo e di rapina e danneggiano i beni collettivi.

Difesa del suolo significa soprattutto ricostruzione del manto vegetale nelle sue varie forme, attraverso il rimboschimento con alberi, la ricostruzione della macchia, attraverso tecniche colturali che impediscano l'asportazione della terra fertile e consentano la protezione e formazione dell'humus, che è l'unico modo in cui può essere rallentato il moto violento ed erosivo delle acque. La difesa del suolo presuppone una lungimirante politica di riutilizzo delle zone in cui sono state sospese o sono scoraggiate le coltivazioni agricole tradizionali. Significa una nuova cultura forestale popolare diffusa.

Eserciti di "forestali" sono stati messi, nei decenni passati, al lavoro in varie zone d'Italia, soprattutto nel Mezzogiorno, spesso tollerando che gli stessi disoccupati, per poter essere ingaggiati l'anno successivo, lasciassero degradare o magari divorare dal fuoco le giovani piante.

In un New Deal italiano del XXI secolo l'agricoltura dovrebbe tornare ad essere il settore "primario" dell'economia. La libera circolazione delle merci e dei servizi in Europa e una nuova disciplina contro gli sprechi imposta dall'Unione Europea porteranno a limitare sempre più le sovvenzioni alle produzioni agricole eccedentarie. Invece di continuare a piagnucolare per ottenere la proroga delle protezioni, un New Deal agricolo potrebbe pensare ad un ritorno dell'agricoltura al suo ruolo primario nella gestione delle risorse naturali.

Le opere di razionale sistemazione delle risorse idriche e di difesa del suolo contro l'erosione potrebbero creare proprio nella collina e nella montagna disponibilità di materie prime agricole, zootecniche e forestali suscettibili di trasformazione sul posto, grazie anche a nuove fonti di energia idroelettrica, con operazioni di "chemiurgia", in nuove materie prime e merci: carburanti alternativi al petrolio (come l'alcol etilico), fibre tessili artificiali, materie prime per la produzione della carta, materiali da costruzione ottenuti dal legno, fonti di proteine alimentari. Chi sa che un giorno non si legga anche nelle case di campagna italiane la scritta: "Sono orgoglioso di essere un agricoltore" ?

Ad un New Deal di questo genere aveva del resto pensato Adriano Olivetti negli anni cinquanta del Novecento col suo progetto di integrazione della fabbrica e dell'agricoltura nelle zone povere di collina o nel Mezzogiorno; e è già avvenuto, in questa direzione, anche se in forma spontanea e non pianificata e spesso piena di contraddizioni, in certe zone (Veneto, Marche) del cosiddetto NEC (Nord-Est-Centro).

L'operazione sarebbe di particolare importanza nel Mezzogiorno e nelle isole dove solo il lavoro e la produzione agricola e industriale di merci, basata sulle risorse naturali locali, può sconfiggere la criminalità organizzata che attecchisce solo nello sconforto.

In senso contrario ad un New Deal vanno le iniziative per far abbandonare la coltivazione di grandi estensioni delle nostre colline e montagne, addirittura finanziando l'abbandono con soldi della Comunità europea; oppure i grandi insediamenti con effetti sconvolgenti sull'agricoltura, sulle acque, sulle colline, con avanzata dell'erosione del suolo.

Nel senso del New Deal andrebbe una nuova moralità nell'uso dei beni collettivi; la privatizzazione, in corso in Italia, di coste, spiagge, rive dei fiumi, spazi demaniali, non fa invece che accelerare il degrado territoriale, l'erosione delle spiagge, la distruzione delle foreste e delle dune, che sono poi le protezioni naturali dell'entroterra.

Un New Deal dovrebbe ricuperare all'uso pubblico e pianificato proprio pascoli, terre e spazi demaniali e collettivi, oggi ancora soggetti ad usi civici, le acque.La salvezza potrebbe essere cercata in un ministero delle risorse naturali, con competenze ben diverse da quelle dell'attuale ministero dell'ambiente che finisce per essere il ministero dei depuratori e delle discariche.

Un nuovo corso italiano richiederebbe il recupero della cultura e del gusto dell'urbanistica, intesa come scienza della pianificazione degli insediamenti, delle vie di comunicazione, dei modi di trasporto. Ad una politica della città e della mobilità, oggi governata dalla case automobilistiche, della compagnie petrolifere e dagli speculatori immobiliari, dovrebbe essere contrapposto un reale potenziamento dei trasporti collettivi basati non sullo spreco --- come l'"alta velocità"--- ma sui reali bisogni della popolazione, anche ai fini del decentramento delle attività produttive e dei servizi.

Un Deal Deal ecologico presuppone dei controlli e una pianificazione sulla produzione, sulla quantità e sul tipo delle merci, alla luce dei vincoli posti dalla necessità di diminuire sprechi di risorse naturali scarse, inquinamenti e rifiuti. Da qui la necessità di uffici governativi per gli standard di qualità delle merci, per il controllo di tale qualità, di uffici di analisi e di controllo contro le frodi, di attività di previsione e di scrutinio delle scelte anche legislative.

Negli Stati Uniti nel 1970 è stato creato, presso il Congresso, un ufficio per lo scrutinio tecnologico (l'Office of Technology Assessment) che avvertiva i parlamentari e il governo sugli effetti tecnici, ecologici, sociali delle scelte legislative. Ad esempio: il finanziamento di una rete ferroviaria ad alta velocità quali conseguenze può avere sul territorio, sul trasporto aereo, sulla sicurezza delle persone ? Scrutinio tecnologico è molto più della semplice valutazione dell'impatto ambientale, da noi ridotta a mascheratura di scelte prese al di fuori del Parlamento.

Infine il New Deal qui prospettato --- o sognato ? --- comporterebbe il coinvolgimento dell'Università e della ricerca in progetti socialmente ben definiti e compatibili con la difesa e la valorizzazione delle risorse naturali.

Inutile dire che i progetti sopra accennati richiedono lavoratori e specialisti dall'ingegneria all'ecologia, dall'economia alla chimica, alle scienze agrarie e forestali. Sarebbe anche questo un modo per sollecitare nei giovani laureati un senso di servizio della collettività, oggi così labile, per farli sentire, come i giovani intellettuali del 1933, orgogliosi di lavorare per lo Stato e non per un governo o per una struttura di partito e di clientele.


Giorgio Nebbia   nebbia@quipo.it