mercoledì 31 luglio 2013

New York Times: "Il cancro fa paura... allora cambiamogli nome!"


Cancro. Una parola che fa tanta, troppa paura. Ogni paziente, quando sente pronunciare quel vocabolo crolla nello sconforto più acuto, subito pensa alla morte, ed è disposto a fare qualunque cosa per combattere il nemico. 

Eppure non tutte le malattie definite «cancro» indicano patologie gravi e irrimediabili. Una buona fetta di queste malattie sono benigne e hanno solo la possibilità di trasformarsi in maligne. Adesso cambiare la definizione stessa di «cancro», che risale al 19esimo secolo, eliminando la parola da una serie di diagnosi comun di malattie che non sono maligne è il nuovo orientamento che arriva dagli Usa. 

La proposta è di un comitato di esperti di oncologia dell'Istituto nazionale della salute Usa. Secondo il team di scienziati - che ha pubblicato il risultato delle nuove raccomandazioni sulla rivista dei medici Usa JAMA - da anni esiste il problema di un numero di diagnosi «eccessive» di cancro, in moltissimi casi per patologie che non sono maligne, pur avendo la possibilità di diventarlo. 

«Cambiare il linguaggio è fondamentale per dare alla gente la fiducia necessaria per affrontare le loro malattie senza esagerare con le cure» spiega al New York Times Laura Esserman, una delle autrici del rapporto e direttore del Breast Center all'università di California a San Francisco. «In questo modo - aggiunge la scienziata - i malati avranno più fiducia».
IL RAPPORTO - In particolare il rapporto vuole eliminare la parola «cancro» dalla diagnosi di «cancro della mammella in situ», una condizione che può rimanere benigna. Allo stesso modo lesioni diagnosticate alla prostata, alla tiroide e persino ai polmoni che sono pre-maligne vanno ribattezzate: la proposta degli esperti è chiamarle «lesioni indolenti di origine epiteliale». 
Lo stesso direttore del National cancer institute, vincitore del premio Nobel Harold Varmus ha dichiarato che quella delle «diagnosi in eccesso» è diventata un problema di salute pubblica: «Abbiamo difficoltà a convincere i pazienti che alcune lesioni scoperte ad esempio alla prostata o di conseguenza a mammografie non sono sempre maligne e in pratica non mettono in pericolo la loro vita».

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